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Alba pagana

Il 9 settembre 1943 iniziò con il rumore sordo dei cingoli dei carri armati tedeschi che passavano il Po sul vecchio ponte di barche.
In paese, dopo la momentanea euforia del giorno precedente, già si era installato un piccolo distaccamento della Wermacht e la bandiera con la croce uncinata sventolava sull'asta del municipio: la guerra non era per niente finita, anzi sarebbe diventata sempre più feroce e tragica, ma questo gli abitanti non potevano saperlo, anche se il naturale intuito di gente legata alla terra li aveva prudentemente fatti stare in casa.
Nelle vie non c'era anima viva e perfino i gatti se ne stavano rintanati, mentre i cani guaivano per il rombo assordante degli autocarri carichi di truppe che si avviavano al ponte di barche.
Nonostante ciò l'osteria era gremita e tutti gli avventori, nel timore di parlare, si osservavano, scrutavano le reciproche espressioni, onde avere la risposta inequivocabile su chi sarebbe stato un amico o un nemico.
Il medico condotto, fascista della prima ora, ma uomo sostanzialmente mite, decise di prendere la parola - Gente, non credo che ci verrà fatto del male, per quanto il nostro tradimento li abbia inferociti. Avete letto il proclama affisso sui muri? Non dice forse che solo le azioni ostili avranno una ritorsione pesante da parte loro? Noi ce ne stiamo buoni, facciamo gli affari nostri e vedrete che riusciremo a tirare avanti fino alla fine di questa sporca guerra.
Il Guercio sputò lo stecchino che teneva fra i denti, si alzò in piedi e, fissando il medico, prese a parlare - Lo speri o ci credi? Io ho fatto questa guerra; prima l'Albania, poi la Grecia, dove ho perso l'occhio e ho visto come si sono comportati là i tedeschi. Ho orrore perfino a pensarci: villaggi incendiati, donne violate, uomini massacrati, l'inferno in terra. E i greci non li avevano traditi.
Don Zeffirino si mise a pregare in silenzio e più d'uno si associò, perché tutti sapevano che il Guercio diceva sempre la verità, senza sminuire o ingrandire i fatti; l'unico che decise di intervenire fu Aldo Marchetti, meglio conosciuto come "Gerachetto" per le sue abituali frequentazioni degli ambienti fascisti - Il tradimento ignobile perpetrato ai danni del nostro grande e valoroso alleato richiederà inevitabilmente una giusta vendetta; con il sacrificio di qualche migliaio di italiani traditori, potremo costruire un mondo nuovo insieme al grande Reich.
Il Guercio si trattenne dal fare una pernacchia, ma fu un sacrificio immane vedere quel piccoletto che, con le mani appoggiate sui fianchi, il busto eretto e lo sguardo trionfante, invocava del sangue italiano per placare l'ira tedesca.
In quel momento entrò di corsa il messo comunale, gridando - Arrivano, stanno passando sul ponte i prigionieri italiani!
Bastarono quelle poche parole, gridate con angoscia, per far precipitare tutti fuori in strada; si allinearono sul marciapiedi, tenendosi stretti al muro, quasi a volersi sostenere.
Già in distanza, preceduti da camionette tedesche, si vedevano i nostri venire avanti lentamente e quando arrivarono vicino all'osteria tutti videro quello che restava del nostro esercito: uomini con la divisa in disordine, stanchi per la lunga marcia, affamati, assetati, ma, soprattutto, avviliti. Gli occhi di quei soldati sembravano spenti, come se all'incredulità di trovarsi di colpo l'ostilità del proprio alleato si fosse sostituita la rassegnazione per l'incapacità di essere perfino dei nemici. Abbandonati da chi li doveva comandare, senza nessuna direttiva, avevano ceduto le armi senza sapere nemmeno il perché.

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