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I Lupi
Durante l'inverno del 2005 nevicò abbondantemente sull'Appennino. Mi trovavo a Leonessa, un borgo di origine medievale situato su un altipiano che supera i novecento metri di quota.
È una zona che si trova a nord-est di Roma, in quella striscia di terra laziale fra l'Abruzzo e l'Umbria. L'altopiano è costellato di frazioni, tra cui Casanova, situata a circa due chilometri da Leonessa, e dove c'è la vecchia casa appartenuta a mio nonno omonimo.
La costruzione è piccola, come del resto tutte le altre del paese. Una ripida scalinata esterna porta davanti al portone d'ingresso; entrati, ci si trova in un ambiente vetusto. Salendo altri quattro gradini, si accede a una stanza vecchia dai muri ingialliti, con un camino e il pavimento dissestato, dove c'è un grosso tavolo in legno e delle sedie. Una porta immette in una camera con mobili ottocenteschi e un letto, mentre altri due gradini portano in un corridoio con due stanze: una abbandonata da anni, piena di materassi, vecchi mobili e ragnatele ovunque; l'altra, alla fine del corridoio è una stanza da letto, con mobili dei primi decenni del Novecento.
Tra il mobilio si trovano molte statuette di santi e immagini sacre, che testimoniano quanto fossero superstiziosi gli italiani di un tempo.
Appena arrivai accesi il camino.
Essendo di febbraio, il paese in quel periodo era deserto. Nel primo pomeriggio feci una passeggiata tra le case affondate nella neve. Il cielo era cupo. Le nuvole coprivano le cime dei monti. C'era molto silenzio e nell'aria si sentiva l'odore di legna bruciata (proveniente da qualche camino acceso nelle case circostanti). Incrociai un vecchio nella via; mi disse che erano stati giorni terribili.
<<Certo, ha nevicato parecchio!>> risposi.
Mi guardò con gli occhi spalancati, celesti, poi disse: <<No, non è la neve! Si sono sentiti ululati lontani... dalle vecchie case abbandonate di Villa Falcucci>>.
Non diedi molto peso alla cosa, presi il bus e mi recai a Leonessa.
Sulla piazza del paese c'erano mucchi di neve spalata alti come le case, nei vicoli invece intasava il passaggio. Entrai in una birreria, chiamata La Tana: c'era poca gente. Presi due pinte di birra scura irlandese. Non parlai con nessuno. Uscito dal locale, passeggiai tra le strade semideserte della città. Poi andai alla fermata del bus per tornare alla frazione di Casanova. Si era fatto buio. Cominciava a nevicare; i fiocchi cadevano lentamente. Sentii una voce femminile chiamare il mio nome; mi voltai, ero solo nel piazzale. Nel buio gelido vidi apparire una donna, con lunghi capelli castani, la pelle chiara e abiti leggeri nella neve. Mi disse che c'eravamo conosciuti da bambini. Mi tornò alla memoria l'estate del 1979 e una bambina di nome Nora. I ricordi erano confusi. Mi tornavano alla mente giorni divertenti, ma c'era qualcosa di oscuro che mi spaventava. Ci salutammo, presi il bus e durante il viaggio ripensavo a quell'estate: i miei genitori avevano affittato per un mese un appartamento nel centro di Leonessa, in via della Ripa, poiché l'abitazione di Casanova era in ristrutturazione per dei danni al tetto, e conobbi questa Nora Renzi. Lo strano era, che avevo dimenticato tutto fino a quella sera.
Rientrato in casa, mi sistemai per la notte nella camera ottocentesca; molto tetra, con una grossa cassettiera scura, dove sopra c'era un lume e la statuetta di qualche santo, tra cui vecchie foto in bianco e nero di parenti ormai morti e per lo più sconosciuti. Sulle pareti erano appesi due quadri: uno raffigurante la Madonna e l'altro era un piccolo paesaggio. Oltre al letto c'era anche una poltrona, sempre dell'Ottocento.
Spensi il lume sopra la cassettiera e sprofondai nel sonno. Sognai Leonessa... abbarbicata alle falde del monte Tilia, con i campanili gotici che spuntavano tra le vecchie case. Le strade erano deserte, senza neve e il cielo grigio. C'erano dei pipistrelli che volavano sopra il campanile della chiesa di San Pietro, che affaccia sulla piazza. La Torre Angioina, sul monte, spuntava tra i rami secchi. Tutto era uno sfacelo: teschi e scheletri ovunque.
La mattina mi svegliai molto presto. Sentii davvero degli ululati come disse il vecchio. Guardai attraverso i vetri dalla finestra del salone d'ingresso, che dava su una stradina; sulla sinistra si vedeva la piazza. Nevicava, mentre cominciava a fare giorno. Nella neve vidi una grossa sagoma scura tra l'umano e l'animale: ricordava un lupo. Subito dopo notai una figura di donna avvolta in un mantello nero con lunghi capelli castani al vento. Sbucò un altro di quei grossi animali che definirei lupi mannari: teneva tra le fauci un cadavere e se lo sbranava insieme all'altro lupo. La donna si inchinò e ne bevve il sangue. La vidi bene, era Nora.
Dopo un po' di tempo, passato tutto, uscii di casa. C'era della gente in piazza vicino al cadavere. Mi dissero che era quello del sindaco di Leonessa, di nome Primo Vannimartini, che abitava a Casanova. Ora annegava nel suo sangue semidivorato. La gente sulla piazza disse che c'erano state altre vittime di questi lupi, che si erano rifugiati tra le rovine di Villa Falcucci e bisognava fare una battuta di caccia. Capii che la gente pensava fossero normali lupi. Ero confuso, ma quello che avevo visto dalla finestra non era un sogno: c'era Nora con due grossi licantropi.
Pranzai in un ristorante di Leonessa. Presi delle pappardelle al sugo di lepre e per secondo abbacchio alla scottadito, insieme a un boccale di birra chiara. C'erano altre persone nel tavolo vicino che mangiavano la polenta, come si cucina nel Lazio, con il sugo di salsicce e spuntature di maiale.
Uscito dal locale andai al bar per un caffè espresso. Aveva smesso di nevicare, il paese era ricoperto da una spessa coltre bianca. Il barista disse che da parecchi anni non nevicava così tanto.
Tornato a casa, mi misi a rovistare tra i vecchi mobili. Da quando ero adolescente non passavo più una vacanza qui a Casanova. A parte la camera dove dormivo, i mobili erano tutti dei primi decenni del Novecento: anni Venti o al massimo anni Trenta. Nella stanza abbandonata, trovai in un cassetto vecchi fumetti degli anni Settanta, che avevo sicuramente comprato io da ragazzino: alcuni me li ricordavo. C'erano dei Kriminal, Satanik, ma soprattutto gli scandalosi all'epoca e oggi dimenticati fumetti per adulti della Ediperiodici ed Edifumetto: il Vampiro, lo Scheletro, i Sanguinari, Terror, Oltretomba... e anche qualche numero della Corsara Nera e la Donna Ragna.
Mi misi a leggere, sdraiato sul letto, nella stanza ottocentesca; dalla finestra entrava la luce pallida del cielo invernale. Lessi un Oltretomba, intitolato Le voci del cimitero di Kebek, e un numero del Vampiro dal titolo La neve nera. Finché cominciai ad accusare torpore. Nel dormiveglia mi vennero immagini di ricordi: un sole forte e le montagne leonessane verdi; io, ragazzino che entravo nel cimitero di Casanova, dove su molte lapidi potevo leggere il mio cognome; un'ombra diventare Nora, tra le tombe e le esalazioni umide del terreno... la sua pelle e il suo corpo seminudo...
Mi destai dal torpore, dovevo vederla. In quello stato di agitazione mi accorsi che avevo dimenticato i miei farmaci antipsicotici a Roma.
Mi misi in cammino verso Villa Falcucci, sulla stradina piena di neve tra i rami spogli degli alberi. Arrivai che era il crepuscolo. Le vecchie case diroccate erano ricoperte di rovi e neve. C'erano delle cornacchie sopra i muri e i rami secchi delle querce. Cominciavano a uscire i lupi mannari, enormi, neri; tremavo dalla paura e dal freddo. C'era una casa diroccata da cui usciva del fumo dal tetto semicrollato e con una finestra illuminata, da dove un'ombra mi disse di entrare. Varcato il portone salii delle vecchie scale e arrivai in una stanza rischiarata da un fuoco acceso sul pavimento. C'era Nora, con il volto pallido, gli occhi sbarrati luminosi e i capelli in disordine; indossava una lunga veste viola mentre faceva malefici. Mi disse: <<Sei tornato finalmente! Ricordi quel giorno al cimitero? Solo ora lo ricordi. Tra le esalazioni delle tombe c'era qualcosa di malefico!... Mi affidarono ai frati per esorcizzarmi, perché ormai sentivo salire in me poteri occulti. All'età di ventun anni scappai sui monti, tra i boschi di faggi. Quando arrivò l'inverno, i lupi mi accerchiarono affamati e mi assalirono: graffiandomi, strappando i miei vestiti per cercare di mordere la mia carne, facendo fuoriuscire il mio sangue, che leccavano avidamente e che li trasformò in licantropi, diventando i miei servi. Così cominciai a nutrirmi di sangue, vivendo come uno spirito maligno tra i boschi. Quest'inverno decisi di scendere a valle tra le vecchie case diroccate; per farti tornare, per divorare il tuo cervello, per bere il tuo sangue!>>
I lupi fuori cominciavano a ringhiare. In quel momento fui preso da un furore incontrollabile. Ero stato incosciente sì, ma avevo portato con me un grosso coltello preso in cucina. Saltai addosso a quella strega; nella lotta rimasi ferito dai suoi morsi e graffi. Riuscii a immobilizzarla e con il coltello cominciai a tagliargli il collo. Il sangue sgorgava copioso e le urla erano rauche, richiamavano i lupi fuori.
Il collo di Nora fu reciso del tutto. Sentii dei rumori di motori e degli spari. Dalla porta stava entrando una di quelle bestie; mi accorsi che era diventato un normale lupo: morta la strega i licantropi furono liberi dal maleficio. Un uomo apparve sulla soglia, sparò con il fucile uccidendo l'animale; lo stesso successe agli altri lupi che avevano perso le loro sembianze di mostri. Erano arrivati i cacciatori da Leonessa. Quando mi trovarono, il corpo di Nora si era degradato nel sangue. Ormai sembrava fosse lì da molti giorni.
Tornato a Roma, mi chiedevo se davvero avevo visto i lupi mannari e la strega. I ricordi di bambino erano veri, mi erano tornati alla memoria; il resto però si confondeva con i mie abituali deliri e allucinazioni.
Continuo a prendere farmaci antipsicotici; ma il male non è solo nella mia mente, nel profondo dell'inconscio; forse in quel cimitero c'è qualcosa, tra quelle montagne.
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1 recensioni:
- Grazie lele!
- Grazie, il racconto mescola fantasia e realtà, i luoghi e alcuni cenni biografici sono veri.
- Molto carino! Bravo!
