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Cronoloop

La cronomacchina cessa di ronzare all’improvviso, capisco d’essere arrivato. Ho una strana sensazione: mi sembra di rivivere questo momento per la milionesima volta, comunque mi scuoto, apro il portello.
È come le impronte di Aldrin sulla Luna, è come Colombo quando avvistò l’America, invece fuori ci sono solo due militari che mi aspettano, e anche piuttosto dimessi, neppure in alta uniforme. Accanto a loro c’è una limousine nera con una portiera aperta che mi aspetta. La limousine è sporca, avrebbe bisogno d’una bella lavata, peccato lasciare così una macchina tanto bella, sto pensando mentre supero i due militari ed entro in auto. Nel lussuoso abitacolo un generale con la faccia tesa, gli occhi infossati, la barba lunga e la divisa in disordine, mi sta aspettando. Un generale che conosco ma del quale non so il nome.
L’auto parte e guardo il panorama dal finestrino blindato mentre il generale stancamente mi mette al corrente degli ultimi sviluppi della situazione. Tutte cose che già conosco a menadito perché ho sentito infinite volte, intanto l’auto prosegue nel suo viaggio verso una base militare nascosta trai monti. Sono stanco, stanco di ripetere gli stessi gesti, d’ascoltare le stesse parole, ma forse tutti sono stanchi di rivivere gli stessi momenti. Stiamo andando verso una villetta all’interno della base. C’è la mia ragazza che mi aspetta, staremo assieme fino al momento del ritorno. Abbiamo superato il tratto di deserto e ora l’auto imbocca il rettilineo che porta alla base, eccola, le sbarre sono già alzate, ancora poche centinaia di metri e saremo davanti alla villetta. Il generale intanto non ha mai smesso di parlare malgrado la mia palese disattenzione. La limousine s’arresta, scendo lentamente e mi avvio verso la porta d’ingresso, salgo i cinque scalini e sono sul porticato, la porta adesso dovrebbe aprirsi e lei mi getterà le braccia al collo piangendo.
Ma la porta resta chiusa, ho un attimo d’indecisione, poi spingo ed entro: la casa è in penombra, vado in camera, lei è sdraiata sul letto, ancora in camicia da notte, mi chino su di lei, la bacio, sta piangendo. L’abbraccio e restiamo entrambi in silenzio, sento la limousine ripartire. Resto sdraiato accanto a lei, chiudo gli occhi.
Tutto è sempre uguale a sempre, ma qualcosa, qualche piccola cosa è mutata, lei non mi ha atteso davanti all’ingresso, era sul letto: le varianti sono allora possibili.
Mi alzo e vado in bagno, orino, mi bagno a lungo la faccia con l’acqua fredda, mi guardo allo specchio: sono invecchiato, dimagrito, la pelle ha assunto un colorito giallastro per niente buono ed è attaccata alle ossa della mia faccia, gli occhi sono arrossati come fossi febbricitante e infossati, i capelli non sono più neri, ma opachi e brizzolati.
Lo scotto da pagare per il primo balzo temporale di solo sette giorni, è stato alto per me, per tutti, sicuramente troppo alto, ma chi avrebbe potuto prevederne le conseguenze?
Devo cambiare qualcosa nell’immutabilità degli atti, ho visto che è possibile, comincio dalle piccole cose, devo uscire dalla routine, far uscire tutti dalla routine.

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