Per Laila l'unico contatto con il mondo esterno era rappresentato da una minuscola grata attraverso la quale filtrava la tenue luce di una perenne luna piena. In qualche remota parte dei suoi ricordi sapeva dell'esistenza del sole; per quanto si sforzasse non le era possibile visualizzarlo nei pensieri.
Nel suo presente non vi era altro che un'infinita lugubre notte, soffocante come la solitudine che le toglieva il respiro.
La sua stanza era enorme; al centro un letto a baldacchino con lenzuola di seta nera, tutta la parete sul lato destro era occupata da numerosi scaffali colmi di libri di stregoneria e magia nera, tutti molto antichi e alcuni scritti in una lingua sconosciuta.
Laila s'impose di evitare di rivolgere lo sguardo verso il soffitto, era troppo inquietante l'immagine dipinta: un mostro grigio senza occhi, ricurvo su di se, con una falce stretta fra le mani.
Aveva appena deciso di coricarsi a dormire per mettere a tacere il suo dolore quando sentì scattare il lucchetto della porta intarsiata della sua stanza da letto.
Apparve, come una visione spettrale, la donna che diceva di essere sua madre; Laila soffriva fino sentirsi l'anima dilaniata, non riusciva ad amarla come una figlia è normale che faccia, questo la faceva sentire profondamente in colpa, non riusciva a perdonarselo.
Erano così diverse: Laila possedeva una carnagione color bronzo, labbra carnose, grandi occhi nocciola e una folta chioma di ricci rosso rame; la madre, invece, era di un colorito grigiastro, gli occhi due fessure così piccole da non riuscire ad individuarne la tonalità, il naso appuntito come una lama e con la sua sottile e violacea bocca sentenziò:
"Fra otto ore, sulla montagna degli spiriti maledetti verrai iniziata; purezza, innocenza e luce ti abbandoneranno. Quando il rituale avrà fine, la tua anima diverrà nera e pronta a unirsi in matrimonio con Druxen".
Laila sgranò i suoi grandi occhi terrorizzata e implorò singhiozzando:
"Noo, madre ti prego, ho paura! Non voglio andare su quella montagna e non voglio sposarmi!"
L'algida donna la guardò con disprezzo zittendola con voce cupa:
"Come osi? Piccola, insignificante ragazza?"
Si avvicinò al viso di Laila tirandole i capelli e costringendola ad alzare gli occhi verso quel dipinto che tanto la spaventava.
Si sentì scaraventare a terra e in preda al panico non si accorse che molto velocemente la madre se n'era andata richiudendo la massiccia porta con il lucchetto che la teneva prigioniera.
Disperata andò a rannicchiarsi sotto la grata con il volto nascosto fra le mani. Era certa di non avere via di scampo; la sua disperazione divenne un pianto straziante, avrebbe preferito la morte anzichè l'immediato futuro che l'attendeva.
Improvvisamente una leggera brezza le sfiorò la testa come una dolce carezza consolatoria.