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Un ragazzo del '99

Non aveva quasi più nessuno, Luigi, all'infuori di suo padre che era sempre sulla montagna verso Gioia Vecchio a fare la legna o a pascolare le pecore dei signori o a spaccare pietre e che di tanto in tanto riscendeva al paese completamente inselvatichito.
Il terremoto gli aveva tolto quella santa donna di sua madre e le due sorelle, Angiolina e Maria Libera, che lavoravano con lui la terra dalla primavera fino all'autunno e poi tessevano un corredo di ruvide tele di ortica o di canapa durante il lungo freddissimo inverno marsicano.
Era per questo che quando s'invaghì di Lucia le rivelò subito la sua intenzione di sposarla nonostante i loro diciotto anni non ancora compiuti. Glielo disse una sera di maggio, quando pensò di andare in casa senza tanti preamboli. Si presentò impacciato e goffo col suo fagotto di panni annodato sulla cima e dal quale trasse quello che era rimasto delle tele destinate alle sue sorelle prossime allora alle nozze.
Lucia lo accolse con una certa ilarità, che si manifestava in lei, come nei bambini, quando riceveva un dono che aspettava. Del resto le piaceva molto quel giovanotto bruno e robusto che incontrava sui suoi passi dovunque andava e che ora era lì a chiederla in sposa.
Osservò quelle tele, le toccò con una certa timidezza, poi, con un gesto semplice, gli mostrò apprezzamento e gratitudine.
Con il pezzo di stoffa più sottile ti cucirò con le mie mani la camicia delle nozze. Il taglio più ruvido, invece, lo tingerò color caffè e lo farò diventare il mio abito da sposa, prese il coraggio di dire.
Arrossirono, Lucia e Luigi, di fronte ai loro sogni così palesati.


La madre della ragazza, insieme ai pochi parenti che si offrirono, fece i modesti preparativi per le nozze. Una camera per gli sposi ricavata dalla sua ormai troppo grande e vuota: un letto di tavoloni poggiati su quattro scanni di ferro, un pagliericcio pieno di foglie di granoturco con sopra il suo vecchio materasso realizzato con la tosatura delle pecore dei signori proprietari di greggi e ricoperto da pesanti coperte in lana tinta sulle candide lenzuola di lino pesante salvate dalle macerie.
Sui vetri della finestra, unico ornamento, due tendine bianche ricamate a intaglio da Lucia.
Fu lì che gli sposi si amarono la prima notte di nozze. Fu lì che andava crescendo il loro amore innocente.
La felicità appena trovata esisteva nelle piccole cose quotidiane che prendevano significati intensi nei loro pensieri semplici. La tragedia del sisma, che pure aveva sconvolto le loro vite, riusciva pian piano a sbiadirsi e a prendere le sembianze del ricordo.
Intorno, le brutture del mondo con la sua guerra i suoi feriti e i suoi morti rimanevano, ma tutto era per loro lontano e inimmaginabile.
"Gli Austriaci riescono a sfondare le nostre linee a Caporetto... ci si avvia verso la disfatta definitiva... inutile aver resistito tanto finora... occorre un nuovo generale e nuove forze... non si può accettare la pace bianca invocata dai socialisti..." erano parole minacciose ma lontane. Tanto lontane dalla loro minuscola casa, dai loro campi aridi da dissodare, dal loro nido fatto di foglie di granoturco e velli di pecora.

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0 recensioni:

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18 commenti:

  • Cesira Sinibaldi il 06/03/2010 17:18
    Grazie, germana! Ti leggerò.
  • Anonimo il 04/03/2010 10:37
    Mi è piaciuto moltissimo Cesira!
    Misurato e poetico. Brava!
  • Ivan il 02/03/2010 20:42
    Sono arrivato alla fine senza accorgermene, come sempre il tuo "narrare" é corretto e scorrevole. Tornerò a rileggerlo, non so perché ma ho l'impressione che mi sia sfuggito qualcosa...
  • Cesira Sinibaldi il 11/02/2010 21:43
    Grazie a tutti quelli che mi leggono! A tutti quelli che commentano in assoluta libertà.
  • Stefano Galbiati il 11/02/2010 10:00
    bellissimo racconto con un finale molto commovente... mi è piaciuto!
    Brava!
  • Cinzia&Donato A4Mani il 26/01/2010 22:04
    Piacevole lettura.
    Scorrevole.
  • maria grandinetti il 22/01/2010 13:06
    Se avessi riletto senza troppo fretta le mie considerazioni avrei evitato la doppia ripetizione di "sforzo". Rimane il fatto che sono lieta quanto te dello scambio animato e franco. A presto e buona giornata
  • Cesira Sinibaldi il 22/01/2010 11:56
    Ancora grazie. Mi sono arricchita mediante un interessante scambio di opinioni!
  • maria grandinetti il 22/01/2010 11:39
    Sarebbe stato troppo ingenuo da parte mia un pensiero del genere. Sei una donna che vive nel 2010. Pur volendo, lo sforzo di scrivere come si faceva nel 1917 avrebbe imposto ricerche e sforzi probabilmente troppo ingenti e magari non del tutto efficaci. Quello che penso è che il racconto evoca un epoca passata e, per quel che può valere, vedo bene nella stesura una scrittura "tradizionale". Anzi, se posso essere più dettagliata, ha quasi l'aspetto di un racconto orale; d'altra parte, come tu stessa dici, avevi usato il corsivo per distinguere il discorso diretto, il che, non è che un'alternativa al virgolettato. Il fondamentale non esiste, io credo; in ogni opera di scrittura, è l'autore a decidere. In questo caso, siamo noi a chiedere il commento, liberi di accettare di buon grado, di contestare o di negare. Continuo a pensare che il racconto avrebbe bisogno di quei segni d'interpunzione! E continuo a ribadire che è solo una mia opinione
  • Cesira Sinibaldi il 22/01/2010 10:15
    Ciao, Maria! Raccontare d'altri tempi non significa usare tecniche adeguate per età, pensa a tutte le sperimentazioni in letteratura, sono due binari diversi. Pensa anche a un "classico classico" come Verga che, come prima avevano fatto in Germania, per raggiungere gli obiettivi del flusso di pensiero, introduce il discorso indiretto libero... Io, nel mio piccolo, però, l'ho visto solo ora, avevo scritto il discorso diretto in corsivo, cosa che il "copia incolla" mi ha evidentemente tolto. Quello sarebbe stato importante ma non fondamentale.
  • maria grandinetti il 22/01/2010 08:21
    Non condivido. Il tuo, è un racconto di altri tempi e lo stile si attaglia perfettamente alla materia di cui è fatto. Le virgolette chiariscono e non confondono, ma è solo una mia opinione...
  • Cesira Sinibaldi il 21/01/2010 22:07
    Sono proprio contenta della tua lettura e dell'osservazione sulle virgolette. Tu mi dici che rivedi un racconto chissà quante volte; io anche, a volte esagero. Sull'uso delle virgolette ho combattuto e letto tanto e mi regolo in questo modo ( ma non credo che lo faccia solo io, anzi è diffuso nella scrittura contemporanea): se vanno a rallentare il ritmo narrativo o il flusso emotivo di un periodo, allora le elimino. Faccio prevalere il contesto. Se invece la scrittura è di tipo classico, più lenta e ricca, allora non interferiscono e le uso con attenzione. Questo è confrontarsi: sono pronta ad essere smentita...
  • maria grandinetti il 21/01/2010 19:37
    Racconto asciutto, pulito, scritto con un linguaggio lineare, privo di orpelli. Bello come una giovane acqua e sapone: la tua protagonista. Credo che dovresti usare sempre le virgolette nel linguaggio diretto, anche se è seccante ricordarsene ogni volta! Alla prossima...
  • Minalouche TS Elliot il 19/01/2010 19:50
    Una lettura delicata, che tocca il cuore, mi ritrovo in alcune tue descrizioni... cioè ritrovo mio nonno materno, Guglielmo, i suoi pochi racconti (non amava parlar della guerra... un povero ragazzetto di campagna tra gli arditi...), il suo disprezzo per D'Annunzio, molti suoi compagni son morti per lui, e le lenzuola, i materassi di foglie... davvero bella, Cesira.
  • Cesira Sinibaldi il 18/01/2010 10:33
    Grazie a chi mi legge e a chi commenta. I ragazzi del '99 sono ancora purtroppo attuali... finchè guerra ci sarà...
  • Paola B. R. il 18/01/2010 00:25
    Molto bello e commovente; anche mio nonno era un ragazzo del '99...
  • Marco Uberti il 14/01/2010 21:32
    Terribile la guerra, inutile spargimento di sangue, inutile patria inutili ideali se questo è il risultato, scritto molto bene, mi piacerebbe pensare che racconti simili fossero solo di fantasia...
  • Anonimo il 14/01/2010 21:19
    È toccante, scitto come sempre divinamente. Grazie ancora

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