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Kunstwollen è il Paradiso

Capitolo primo

La bettola emerse dalla foschia come un miraggio.
L'uomo inspirò, espirò, inspirò di nuovo. Frugò nei taschini dell'impermeabile, tra briciole e fazzoletti raggrinziti, e tirò fuori l'astuccio delle sigarette. Lo rivoltò tra le mani rugose e lo soppesò con indifferenza. Era vuoto. Lo gettò via distrattamente. Sospirò e volse il suo sguardo angosciato verso destra, verso il vicolo avvolto nel miasma delle serpentine di scarico, lugubri luci al neon come stelle in un firmamento indistinto. E la pioggia che si infrangeva obliqua e tintinnante sui telai arrugginiti delle finestre. Oltre tenebre immobili e anfratti dimenticati. E più in là ancora, attraverso miglia di nulla, si dischiudeva misterioso e solenne il tetro orizzonte. Eterne distese di detriti e di frammenti e di cenere. La sagoma aguzza della città. Bassifondi marcescenti. Odore di morte e putrefazione.
Tossì. Il bagliore cinereo del lampione irradiava il suo profilo inflessibile, il suo profilo statuario. Attraverso la sozza vetrata della bettola scrutò di sbieco una giovane donna rischiarata dalla fiamma volubile e incerta di una candela. Una come te non dovrebbe essere da queste parti, amica. Guardala. Gli occhi, buchi neri nell'immensità azzurra. Capelli lucenti e la ciocca che le ricade languida sulla fronte. Le sue labbra vagamente curvate in un sorriso capovolto. Quel lungo abito di seta indaco. Guardala.
Era seduta a un tavolo, sola. Stringeva tra le mani un vecchio Moleskine rosso e lo sfogliava con aria assorta. Un raggio di luce obliquo le rischiarava le mani tremanti, le dita così sottili, gli anelli splendenti. Bevve un sorso di vino, gli occhi smarriti nel vuoto della notte e della città. L'impronta del suo rossetto color porpora si impresse come un fantasma, come un monito, come una profezia, sul bordo del bicchiere. Deglutì e riprese a sfogliare il Moleskine logoro, antico scrigno di ricordi sfuggenti.
L'uomo aprì timidamente la porta sotto l'insegna della bettola. Scampanellò qualcosa e la donna trasalì, ma gli occhi grandi e malinconici non parvero tradire inquietudine. Sorrise cauta. L'uomo appese l'impermeabile e si guardò attorno. Un juke-box distrutto dal tempo implacabile. Poster sgualciti su pareti in rovina. Menù macchiati di lacrime mai versate. Due dita di polvere sugli ottantotto tasti di un pianoforte a coda. Insegne baluginanti e ronzanti nell'oscurità diffusa. Scintille qua e là. Un ventilatore che turbinava lento, irrequieto e cigolante.
Di là dal bancone, di là da una polverosa raccolta di libri di Raymond Chandler, di là da una sudicia e dimenticata macchina per l'espresso, il barista era immobile, imbalsamato in una posa bizzarra e singolare. Un volto senza volto, un'anima senza anima. Un simulacro pallido, il colore della morte. Emise un rantolo e batté le palpebre. E fu tutto.
Per il resto, la bettola era deserta.
L'uomo si avvicinò alla donna, ma non disse nulla. Solo la contemplò con riverenza, una reliquia sacra nella perdizione di quell'universo sull'orlo del declino. Si sedette a un tavolo nell'angolo meno illuminato, accanto a delle squallide riviste di moda impilate una sull'altra. Vi trovò poggiato un bicchiere di vino e iniziò a bere. Assaporò il sapore acre, ricco, fastoso. Poi un sussurro infranse il silenzio.

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1 commenti:

  • Anonimo il 06/06/2011 17:12
    Lunghino...

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