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Senza fiato

Tornai a casa che era già notte da un pezzo. I lampioni spenti, tutta la via buia...
La luna non traspariva, era da un'altra parte. Le piastrelle del vialetto bagnate dalla pioggia smessa da poco, in fondo la luce rotonda sopra il portone... Avevo già la chiave pronta.
Da qualche sera mi curavo di non restare molto sotto la luce a cercarla, poiché sui muri che mi introducevano al portone avevo notato due insetti, uno in alto a destra, uno in alto a sinistra, che, per le dimensioni e la loro possibile agilità, mi inquietavano. Non erano ragni comuni. Avevano zampe robuste sotto una specie di corazza ed una testa sproporzionatamente grande e ben definita rispetto al corpo.
Mi impressionavano gli occhi espressivi, ai quali davo una connotazione maligna, e le fauci, che esprimevano forza ed aggressività. Non li avevo mai visti, soltanto in queste ultime quattro sere, ed ogni volta erano più grandi e robusti.
Ero rapido nel rientrare e nel chiudermi dietro la porta, ma questo non mi tratteneva dal sentire un brivido nella parte bassa della testa e l'improvviso bisogno di passarmi la mano sul collo, mentre con l'altra spingevo la porta, come se quella pressione aggiunta la chiudesse meglio.
Dopo un sospiro sullo zerbino alla base delle scale mi sentivo un po' meglio e pronto a salire. I miei passi, sempre più silenziosi gradino per gradino, diventavano un soffio davanti la porta di casa. Anche qui la chiave pronta. Entra prima lei. Dopo un sospiro gli impressi la rotazione funzionale che, seguita da un suono metallico, mi permise di entrare. Chiusi alle mie spalle anche questa porta.
Ero dentro. Quello era un altro mondo. Conoscevo l'origine della sua creazione, ma solo da poco mi stupivo della sua esistenza. Avvertivo la presenza di qualcuno anche se non lo incontravo. L'oscurità era prevalente, infatti le luci erano molto distanziate dal soffitto. L'emanazione luminosa disegnava un cono di luce nel buio e buona parte della stanza rimaneva in penombra. Cercai subito il mio posto, quello che provocava in me minor disagio, forse più scuro degli altri ambienti della casa. Un buon posto per non vedersi. Pile di libri, giornali, scatoloni e mucchi di panni delimitavano gli spazi percorribili, opprimendo l'aria ed anche l'animo.
Con la schiena contro l'armadio piegai le ginocchia sedendomi sui talloni. Mi lasciai scivolare.
Osservavo con insistenza le cose che vedevo da una vita. In realtà quella era la trasposizione oggettiva della mia mente. Un magazzino pieno di cose per lo più inutili.
In quel momento trovai l'unica fuga nel mettere la testa tra le mani e fissare le multiformi venature delle mattonelle, attribuendo loro dei significati pittorici. Quando questo non mi bastò più, passai ad un'attività altrettanto inutile: accesi una sigaretta e mi persi tra le forme del fumo nelle zone in cui il buio divorava la luce. I pensieri si spostavano rapidi, i dissidenti erano quelli che veramente mi laceravano.
Il dialogo interno si infittiva. Cedetti alla disperazione. Tutto questo era inarrestabile! Non sapevo cosa pensavo, non sapevo a cosa pensavo mentre pensavo, quello che riuscivo a fermare per brevi istanti era rimpiazzato così rapidamente da non lasciarmi il tempo di capire cosa ne pensavo... Il mio corpo era immobile, ma io avvertivo movimento.

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2 commenti:

  • valeria ste il 30/10/2010 21:27
    disperazione psicologica ma tattile... inquietante! bravo!
  • Michele Rotunno il 29/10/2010 11:30
    Paura della vita e di vivere, non sono uno psicologo ma qualcosa di simile dev'essere. In verità l'unico approccio con quello che hai descritto risale a molti anni fa quando fui costretto a intervenire presso un amico alcolizzato che trovai come te rannicchiato in casa urlante contro una torma di ragni neri e grossi che lo assalivano, ovviamente era tutto nella sua mente. Mi dispiace, la mia esperienza è tutta qui.
    Comunque, bravo come sempre.
    Ciao

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