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L'ospite d'onore
È una bella notte di fine maggio, una di quelle notti che invoglia a stare all'aria aperta e così decido di rientrare a casa a piedi, in fondo si tratta solo di mezzora di cammino.
Mi trovo a metà strada quando il cielo si scurisce improvvisamente, si alza un vento freddo, la luna e le stelle vengono coperte da nuvole dall'aria minacciosa e poco dopo sento le prime gocce di pioggia sulla mia pelle.
La pioggia inizia a cadere intensamente e cerco riparo contro una porta che si trova sotto ad un balcone.
Mentre mi domando quanto tempo sarei dovuto rimanere lì sotto, la porta accanto a me si apre e spunta un signore in frac, con l'aria da maggiordomo.
"Ben arrivato, signore. La stanno aspettando. Mi segua, prego."
Evidentemente sono stato scambiato per qualcun altro. Vorrei obiettare, far notare l'errore, ma il maggiordomo era già sparito.
Decido di entrare, meglio spiegare l'equivoco una volta in casa e al riparo dalla pioggia.
Appena varcata la soglia rimango stupito. Un grande atrio si apre davanti a me. Alle pareti ritratti di uomini di altri tempi in pose autoritarie, alcuni indossano abiti eleganti, altri divise da ufficiali dell'esercito. Deve trattarsi della casa di qualche nobile. Un'ampia scalinata coperta da un tappeto rosso porta al piano di sopra, dove immagino si trovino le camere da letto. Si tratta di una vera villa, nonostante da fuori sembrasse una casa modesta.
Il maggiordomo mi aspetta alla mia destra, davanti ad una porta. La apre e mi invita ad entrare. Successivamente si dilegua chiudendo la porta alle mie spalle.
Mi ritrovo in una sala finemente decorata e al centro noto un gruppo di persone.
Vengo accolto da un uomo di circa ottant'anni e dall'aspetto signorile.
"Bene, ecco giunto anche il nostro ultimo ospite".
"Buonasera a tutti. Chiedo scusa, ma credo ci sia stato un errore. Io mi stavo soltanto riparando dalla pioggia di fronte alla vostra porta. Vogliate scusarmi, toglierò subito il disturbo"
"Nessun errore. Aspettavamo proprio lei e quello è il posto che le ho riservato" replica l'uomo mentre mi indica una poltrona sulla quale è posato un bigliettino. Mi avvicino e prendo il foglietto tra le mani. Rimango di stucco quando vedo che sopra vi è scritto il mio nome.
"Ora la prego si sedersi, così possiamo iniziare"
Sono senza parole, totalmente confuso. Decido di sedermi mentre riorganizzo le idee.
"La vedo confuso" mi dice l'uomo sorridendo "le chiedo scusa se non le ho fatto pervenire un invito ufficiale. Ma lasci che le presenti gli altri ospiti."
La prima è Charlotte. Una bella ragazza bionda con la carnagione chiara e una spruzzata di lentiggini sul piccolo naso alla francese e nelle zone limitrofe. Mi colpisce subito il suo sorriso, rassicurante e pacifico, quasi ipnotizzante. Mi viene da pensare che se gli uomini fossero tutti in grado di sorridere a quel modo il mondo sarebbe un posto migliore, senza liti e senza guerre. La seconda cosa che mi colpisce di lei è lo sguardo, spento. Mi stringe la mano ma non mi guarda in faccia, guarda dritta di fronte a lei. Infine noto un bastone bianco accanto alla poltrona e allora capisco che è cieca.
Successivamente faccio la conoscenza di Anthony, un ragazzino con occhiali tondi e cappelli a caschetto che mi ricorda un po' Harry Potter. Avrà circa dodici anni, ma dai modi di fare sembra essere molto più maturo.
Il terzo ospite è Ricardo. Rimango sbalordito dalla sua stazza, un gigante. Stimo un'altezza di circa due metri e trenta, cassa toracica ampia quanto quella di almeno due uomini messi assieme, braccia possenti e muscolose. Quando, nel presentarsi, la sua mano avvolge la mia mi rendo conte che potrebbe tranquillamente stritolarmela senza il minimo sforzo. I lineamenti del suo volto sono marcati e duri e ha una lunga cicatrice sulla guancia sinistra. Avrebbe potuto tranquillamente essere un assassino o lo scagnozzo di qualche boss mafioso. Però... Però gli occhi hanno qualcosa di particolare, una strana dolcezza velata di tristezza. Stonano decisamente con il resto della figura.
Infine faccio la conoscenza di sir Arthur, un levriero che si siede davanti a me porgendomi la zampa per poi andarsi ad adagiare sulla poltrona a lui riservata.
Quanto al signore che mi ha introdotto agli altri, si tratta del conte di Wilsbourg, ultimo erede di una lunga dinastia di nobili.
Scopro che questo eterogeneo gruppo di persone è solito riunirsi ogni settimana e, ogni tanto, si diletta ad invitare un ospite speciale con il quale conversare. Quella volta era il mio turno.
Il conte mi spiega che lui ha passato tutta la sua vita a studiare il comportamento umano. Sostiene inoltre che per comprendere bene un fenomeno sia necessario averne una visione dall'esterno e, dato che lui, in quanto essere umano, non riuscirebbe mai ad essere completamente oggettivo, si fa coadiuvare da sir Arthur. Le loro ultime ricerche si concentrano sull'istinto di autodistruzione dell'essere umano. Mi fa notare che l'uomo ha sempre avuto una sorta di predilezione per il masochismo. Spesso gli esseri umani sviluppano abitudini, o meglio vizi, che li portano lentamente verso la morte, o comunque vicino ad essa. Mi cita la droga, le sigarette, l'eccesso di alcool e persino gli sport estremi che spingo l'uomo a sfidare la morte. È come se alcuni uomini rifiutassero questo dono meraviglioso che la vita.
Sir Arthur abbaia.
"E come fa notare il mio collega" dice il conte "non dobbiamo dimenticarci delle sostanze inquinanti prodotte dall'uomo che non mettono a repentaglio solo la sua esistenza, ma quella di tutte le forme di vita presenti sul nostro pianeta. L'uomo crede di essere l'essere vivente più intelligente della Terra, ma non capisce che in realtà è l'unico che si sta lentamente autodistruggendo"
Aggiunge che ultimamente anche Anthony sta contribuendo a tempo perso alle loro ricerche. Scopro così che il ragazzino sta facendo un dottorato di ricerca in psicologia, disciplina nella quale si è laureato a dieci anni con il massimo dei voti, e che nel contempo si è iscritto alla facoltà di biologia perché, sostiene, vuole individuare il confine tra genetica e psicologia nella determinazione del comportamento umano.
Sono stupito dall'assortimento che compone questo trio: un vecchio nobile, un ragazzino che preferisce studiare psicologia e genetica piuttosto che giocare con i videogame come la maggior parte dei suoi coetanei e un cane indubbiamente intelligente, ma sulla cui reale partecipazione alle ricerche mantengo qualche dubbio.
"Le posso assicurare che il contributo di sir Arthur è fondamentale" mi dice Anthony.
Lo guardo con aria sorpresa. Come ha fatto a sapere ciò che stavo pensando? Riesce forse a leggermi nella mente?
Il ragazzino si limita a sorridermi.
Decido di cambiare argomento e così mi rivolgo a Charlotte e le chiedo di cosa si occupi.
"Io sono una pittrice. Mi diletto a fare ritratti" mi dice incantandomi col suo sorriso.
La risposta mi lascia perplesso. Come può una non vedente dipingere dei ritratti? Mi domando se stia scherzando.
È Anthony a rispondermi limitandosi a guardarmi e dire:
"No"
A conferma di quanto detto la ragazza estrae dalla sua borsa una cartellina e la apre e ne estrae dei fogli.
"Ho fatto un ritratto a ciascuno dei presenti. Tranne lei, s'intende"
Me li mostra uno ad uno.
Anthony è rappresentato come un ragazzo di circa trentacinque anni, con i capelli a caschetto e un paio di occhiali tondi. Potrebbe tranquillamente essere lui tra qualche anno.
Successivamente mi mostra un bellissimo uomo dai lineamenti fini e con in mano una rosa. Solo dopo averne osservato lo sguardo, dolce e con un velo di tristezza, capisco che si tratta di Ricardo.
Il terzo ritratto è quello di un uomo sui quarant'anni, dal portamento nobile e vestito in modo elegante. C'è intelligenza nei suoi occhi. Penso si tratti del conte, ma poi sento una voce dire:
"No. È sir Arthur"
Anche questa volta Anthony mi ha letto nel pensiero.
Sono indubbiamente quadri bellissimi, dai tratti delicati e realizzati con una particolare cura ai dettagli. Mi domando come abbia fatto.
Infine mi mostra il ritratto del conte. Rimango basito. È rappresentato esattamente come appare nella realtà. Un ritratto degno di un vero pittore.
Capisco allora che Charlotte, non potendo vedere, non si fa influenzare dalle apparenze, ma disegna ciò che legge nell'animo della gente, vede le persone per ciò che sono realmente e non per ciò che sembrano a prima vista. Lei ha "visto" la delicatezza di Ricardo, la maturità di Anthony, la nobiltà di Sir Arthur. Tutti sono intrappolati in un corpo che non rispecchia la loro anima, ma che al contrario fuorvia chi li guarda solo in superficie, senza entrare nel profondo del loro animo. Tutti ad eccezione del conte, l'unico a non indossare maschere.
Mi domando se la mia interpretazione sia corretta e, ancora una volta, ancor prima che i miei pensieri si trasformino in parole, sento la voce di Anthony:
"Sì"
"Bene" dice il conte "visto che ci siamo deliziati gli occhi con le opere di Charlotte, perché non coccoliamo anche le nostre orecchie? Ricardo, saresti così cortese da farci sentire la tua nuova opera?"
Poi si rivolge a me e precisa:
"Ricardo è un musicista. Compositore e pianista, per la precisione"
Stento a credere che un uomo di quella stazza possa realmente suonare il piano, le sue dita sono larghe quanto delle salamelle, come può premere i tasti giusti senza inavvertitamente schiacciarne altri?
"Suonerò volentieri, se Charlotte mi farà l'onore di accompagnarmi" dice il gigante.
Charlotte sfoggia il suo sorriso radioso accettando con piacere l'invito. Successivamente prende una valigetta posata ai piedi della sua poltrona dalla quale estrae un violino.
Ricardo si impossessa del pianoforte che si trova in un angolo del salone. Vedere quell'uomo enorme seduto sullo sgabello del pianoforte è un'immagine quasi comica. Mi domando se lo sgabello sarà in grado di reggerne il peso.
"Sì" mi dice Anthony.
Ricardo inizia a suonare. Rimango sbalordito dalla sua bravura. Le dita si muovono veloci sulla tastiera, producendo una melodia incantevole.
Poco dopo Charlotte inizia ad accompagnarlo con il violino.
Vengo rapito da quella musica. È come se venissi improvvisamente portato via da quella stanza, catapultato altrove. Un'insieme di immagini e colori si impadronisce della mia mente.
Grigio. Nuvole. Inverno. Alberi spogli. Tristezza. Solitudine.
Poi improvvisamente luce. Sole. Lei. Bellissima. Gioia. Amore. Progetti per il futuro. Bianco. Il matrimonio. Felicità.
Un bicchiere che si rompe. I sogni che vanno in frantumi. La malattia. Lei che deperisce di giorno in giorno. Lui al suo fianco. I dottori. Le preghiere. La morte. La tristezza.
La musica cessa e le immagini abbandonano la mia mente. Sono di nuovo nel salone del conte e mi rendo conto che sto piangendo. Quelle note non hanno colpito solo le mio orecchie, ma mi sono entrate nell'anima, facendomi provare un misto di sensazioni incredibile. Durante quei minuti io ero Ricardo, mi sono veramente innamorato e ho veramente sofferto per la perdita della mia amata.
Ora comprendo il velo di tristezza nel suo sguardo.
La musica ha colpito anche gli altri presenti. Il conte è seduto sulla poltrona con gli occhi chiusi; Anthony si è tolto gli occhiali e si sta passando rapidamente le dita sotto gli occhi, probabilmente per asciugare qualche accenno di lacrima; sir Arthur ha appoggiato il muso sullo schienale della poltrona, aggrottando la fronte assumendo un'espressione decisamente triste.
"Opera sublime" dice il conte.
Poi si rivolge a me.
" E lei invece scrive, giusto?"
"No, veramente io non ho mai scritto nulla"
"Non ha mai scritto nulla finora. So che ha delle idee interessanti nella sua mente, perché non prova a dar loro una forma? Vada a casa e si metta davanti al computer, vedrà che le parole verranno fuori da sole"
Mi guarda con un sorriso rassicurante.
"Ma ora non voglio intrattenerla oltre. È stato un piacere averla con noi questa sera. Goeffry la accompagnerà alla porta"
Mi congedo dal resto del gruppo, lasciandoli ai loro discorsi a confine tra la scienza e il surrealismo e mi avvio verso la l'uscita in compagnia del maggiordomo.
La luna e le stelle splendono in cielo, il clima è mite. Sarà un vero piacere camminare fino a casa.
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