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Racconti su problemi sociali

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I silenzi sospesi

“Mi piace venire in questo posto, non appena mi è possibile, ascoltare il silenzio che qui regna sovrano. Chiudo gli occhi e vedo immagini che nessun altro potrà mai vedere: sono ricordi che si riallacciano al presente, volti di cui non ricordo più il nome e che si avvicendano nella mente, oppure sembrano uscirne quasi a strappi, come i coriandoli lanciati per carnevale. S’alternano a visioni di paesaggi di località che non ho mai visto, ma che tanto mi sarebbe piaciuto visitare; sono sprazzi dipinti nel cervello che si compongono secondo l’estro del momento e come le idee che nascono all’improvviso mi provocano un senso di stupore, come l’aver scoperto qualche cosa che era sempre stato lì, ma che i miei occhi non riuscivano a scorgere.
Sì, mai come in questo posto riesco a creare con una forza insopprimibile che ha solo la necessità di un ambiente adatto per poter prorompere.
Passano gli anni, le stagioni si avvicendano, oggi cammino sulle foglie morte, che ancora, svolazzando, cadono dagli alberi. Gli alberi, così silenziosi, muti, ma che parlano con le loro forme, spesso contorte come se anche per loro esistesse la sofferenza di vivere, loro che ogni anno sembrano morire in questo periodo, per tornare poi a rivivere la primavera successiva. A me non è concesso un simile privilegio e già l’autunno è in corso, una lunga estenuante stagione che mi intorpidisce lentamente, in un silenzio interno che poco a poco, senza che me ne potessi accorgere, mi ha sopraffatto.
L’unica voce che è in me è quella della mente, appunto con queste immagini che riesce a creare per abituarmi al distacco e così si affievolisce la realtà, le emozioni si smorzano, nulla può turbare questo deserto dei sensi.
Io chiamo tutte queste cose i silenzi sospesi, perché per gli altri non ci sono, ma sono come a mezz’aria, all’intorno, dentro di me, in ogni mia cellula e quando questo stato di equilibrio precario verrà meno ne resterà solo uno, totale, defi

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Identificazione mancata

Io sono l'Addetto alla Registrazione delle Entrate, Ufficio 5, Sottosezione 3, ma tutti qui mi chiamano Addetto all'entrata. Non ricordo da quanto tempo lavoro nella Grande Azienda: i giorni si susseguono tutti uguali, come i mesi e gli anni fiscali.
Alla fine di ogni giornata il Presidente mi da una pacca sulla spalla e mi sorride, soddisfatto.
Alla fine di ogni mese il Presidente mi da 1100 euro in una busta bianca e mi sorride, soddisfatto. Alla fine di ogni anno fiscale il Presidente commenta con me l'andamento dell'Azienda, i progressi e i recessi e mi sorride, soddisfatto. Mi dice di pensare a riposarmi, di andare a sonnecchiare su qualche spiaggia tropicale come lui sicuramente farà con la segretaria, all'insaputa della moglie.
Ma io non posso mica. E poi non ne ho mica bisogno. Mia moglie comincia, ogni primavera, la sua tiritera per convincermi a portare i bambini da qualche parte. Ma io non posso mica. Non me la sento di lasciare la città, non voglio allontanarmi dall'ufficio, dalle mie carte tutte in ordine, dal pessimo caffè della macchinetta, dal Presidente che sorridente mi promette un aumento che non arriva mai, prima di darmi una pacca sulla spalla e chiudersi nell'ufficio con la segretaria.
Io sono l'Addetto alla Registrazione delle Entrate, Ufficio 5, Sottosezione 3, e ogni mattina, puntuale, alle 8 sono seduto alla mia piccola scrivania bianca, poggiata su un pavimento bianco, nel mio piccolo cubicolo bianco vicino all'ingresso. Afferro la mia penna bianca, allargo un po' il nodo della cravatta, e rimango in attesa. Rimango in attesa di un cliente o di un collega, di qualcuno che voglia entrare nell'Ufficio 5, Sottosezione 3. Quando arriva qualcuno, gli occhi mi si riempiono di gioia: finalmente posso fare la mia parte, far roteare il mio ingranaggio in quel complesso macchinario che è la Grande Azienda. "Prego identificarsi" chiedo con la voce monotona più giusta, con la voce che ci vuole, dice il Presidente, per dare un'idea di profes

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No Comment

Nel buio, quattro uomini scendono le scale con un pesante fardello. In silenzio, attenti a non fare rumore, e soprattutto per evitare di far sbattere la cassa sulle pareti. Una volta fuori, la mettono su una macchina che si era fermata di sotto. Dopo averla legata e assicurata bene, la macchina partì. L'accompagnano con gli occhi fino alla sua scomparsa, e poi si allontanano in direzioni diverse.

Un giovane uomo, viaggiando in autostrada, fa attenzione a non oltrepassare la velocità massima, solo problemi con la polizia, no. Sopra la macchina una cassa da bagaglio a forma di barca. L'effetto di alcol è passato lasciando posto a disagio, dolore, stanchezza e una sorta di pentimento. A volte asciuga qualche lacrima. E, di tanto in tanto, un sospiro. Deve passare alcuni Stati, i primi li ha lasciati alle spalle. E, con loro, una parte di ansia e paura. Spesso vede il tetto della cabina e mormora alcune parole, parti di preghiera interrotte da un pianto lento. È entrato in terra rumena... l'ansia sembra lasciare il posto alla stanchezza ed alla fatica. Gli occhi stanno per chiudersi. Si allarma. Dovrebbe arrivare vivo. Vede un autogrill. Decide di fermarsi, un paio di minuti, prendere un caffè e poi partire di nuovo. Perché il tempo non aspetta, deve arrivare in fretta... nessun altro pensiero.

Ferma la macchina, si trascina rapidamente verso l'autogrill, ordina e a aspetta con impazienza il caffè, poi lo beve in fretta. Si sente un po' meglio, almeno le gambe sono più leggere. Esce e cammina dove l'ha lasciato la macchina. Improvvisamente... non crede a suoi occhi. La vettura è lì, con il colore metallo grigio lucida di un beffardo sottotono, la merce è mancante. No, non è possibile, non può succedere. Si sente un pezzo di ghiaccio dal cuoio capelluto fino alle dita dei piedi. È un sogno, un incubo. Dio, ti prego, dimmi... che non è vero... Povero me... Le gambe non la tengono più, la disperazione sta per farlo stramazza

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   1 commenti     di: suzana Kuqi


Regredire è un po' morire

Divenire. Non siamo altro che un continuo e perenne divenire. Una fase ciclica che parte ma no, non cessa mai. Non ci rimane altro che adeguarci. Continuare il nostro spettacolo su quel palcoscenico su cui la vita ci pone mettendoci continuamente alla prova. Così, semplicemente, per constatare fino a che punto abbiamo la capacità di cogliere e affrontare al massimo ciascuna di quelle sfide.
Tutto cambia. A distanza di poco. Quasi senza neppure darci la possibilità di realizzare, di capire ciò che avviene intorno a noi. Eppure noi ne siamo i soggetti, i protagonisti. Coloro che dovrebbero avere il controllo assoluto sulla vita, sul mondo. Ma, nonostante ciò, non sempre è così. O, forse, lo è. Dipende da prospettive, punti di vista, circostanze. Il mondo porta con sé progressi, rinnovamenti. A volte, semplifica la vita. Fa avverare sogni e desideri. Ma tutto ciò viene introdotto nella quotidianità dal mondo o dall’uomo? Il mondo assorbe le volontà dell’uomo. È solo quest’ultimo che, con le proprie mani, ha il potere di plasmarsi un’esistenza più adeguata alle proprie esigenze, ai propri bisogni. Semplicemente a sé.
In tempi più remoti e lontani, l’uomo, con lo svegliarsi della propria intelligenza, vedendo far capolino nel cielo quell’enorme ammasso lunare, sognò, un giorno, di potervi andare su. Ma “l’uomo non potrà mai andare sulla Luna”. Qualcuno disse proprio così. E invece? Invece ha dato tutto se stesso perché i sogni portano a tanto. Quei desideri ardevano e pulsavano così forte dentro lui che, alla fine, è riuscito a far sì che si concretizzassero.
Quest’evoluzione gli ha permesso di avere “tutto e subito”.
Un “tutto e subito” relativo però.
Ha introdotto mezzi di comunicazione che agevolano fabbisogni, occorrenze, necessità. Ha reso più agiata la propria vita tramite quella tecnologia che è paragonabile alle due facce di un’unica medaglia. Due facce che si trovano agli antipodi, che rapp

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Forza e coraggio!

Son passati 13 anni da quando la notizia della morte di Fabrizio De Andrè, tuonava su tutte le pagine dei quotidiani, il cantautore genovese che con la sua musica, e prima ancora con i suoi testi costruiti intrecciando parole meravigliose, riesce a far penetrare nelle vene la speranza, faber è sempre stato dalla parte degli oppressi, degli umili, degli ultimi... l'album storia di un impiegato, parla ad esempio di un impiegato che sentendo un canto, quello del maggio, stanco delle sue condizioni disagiate decide di ribellarsi, di prendere una posizione, per farsi ascoltare, per ricordare a se stesso che lui è vivo e che lui conta e ha dei diritti, e lotta per questi diritti. Giorni fa su "il fatto quotidiano", è stato pubblicato un articolo a proposito di questo, il quale diceva che è proprio in un momento di crisi, come quello che stiamo affrontando che è fondamentale essere positivi e sperare in un miglioramento, nonostante vada tutto male, nono arrivare alla fine del mese è sempre più un'impresa, purtroppo però la vita è cattiva, vuole metterti alla prova, e allora le cose iniziano ad andare male, il paese si blocca, la gente lavora ma non riesce a portare i soldi a casa per pagare l'affitto, o per preparare il pranzo, mai una vacanza, lavoro, fatica, senza nulla in cambio, ogni giorno è uguale, fino a quando non si riceve la lettera di licenziamento e ci si ritrova senza nulla... queste vicende sono vere, sono molte.. e andare a parlare a queste persone di speranza è davvero difficile, ma perdere la vita perché non c'è un sistema che funziona, perché governano dei ladri che pensano solo alle loro tasche non si può, sarebbe come dargliela vinta, è difficile, difficilissimo, ma bisogna stringere i denti e trovare la forza, magari aiutandosi con qualche frase di de andrè e convincersi che l'uomo ha bisogno di speranza.
Primo levi scrisse che la battaglia che consiste nell'aiutare l'umanità a diventare migliore e quindi ad essere felice non è m

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   3 commenti     di: marzia


Senectudo

Questa volta fu complice e sensale la vita stessa. Vivere in solitaria ha molti vantaggi ed anche attrattiva, ma nel bilancio finale gli svantaggi lasciano tracce più profonde nel tracciato della vita interiore.
Il protagonista della storia, che chiamerò Walter, è una persona vera, un vecchio amico d'infanzia che ha avuto una vita molto simile e parallela alla mia: grande viaggiatore, divorziato da anni, con figli ormai grandi ed autonomi, al momento della pensione si è ritirato a vivere, solo, in un piccolo paese sul mare della Sardegna. Scrive le sue memorie, va a pescare, cerca funghi, fotografa le meraviglie della natura e pensa, pensa tanto al passato, alla vita trascorsa, agli errori commessi ed ai torti ricevuti. Gli abitanti del paesino lo hanno accettato, ma lui è burbero, di poche parole, difficile alle amicizie, chiaramente gli manca qualcosa.
Cosa gli manca lo abbiamo capito tutti: è l'Amore, quello con la A maiuscola; ma ormai questo sentimento è stato archiviato, come il matrimonio, la mondanità e tutto il resto.
Mi ha telefonato invitandomi ad andarlo a trovare, ogni tanto lo facciamo, da lui avrei trovato delle novità, mi ha incuriosito, ci sono andato. Già in vista della casetta isolata noto che ci sono tendine alle finestre, quelle che lui chiamava “ricettacoli di polvere”, poi fiori nel giardinetto davanti a casa e ortaggi rigogliosi nel campetto sul retro.
Walter esce dalla porta e mi viene incontro a braccia aperte, con un sorriso smagliante, vestito casual ma elegante, senza macchie ne rattoppi come il solito.
Mi abbraccia, strano, penso, non l'ha mai fatto. Mi riempie di parole di benvenuto, è quasi logorroico, lui che per ottenere una risposta bisognava fargli la domanda due volte; decisamente è successo qualcosa. Mi fa vedere i fiori, l'orto, parla della prossima semina, di tinteggiare la casa, parla di tutto ma mi rendo conto che sta girando intorno all'argomento principale, cioè la ragione per cui mi ha fatto and

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Sonno di un bambino

I
Piove, scende fitta e silenziosa, una manna da questo cielo sempre più strano per irrigare la terra assetata da troppi giorni. Sono già le sei, apro di malavoglia la luce e resto in ascolto: silenzio, nessun movimento dalla tua camera, solo il ticchettare dell’orologio in corridoio smorza questo gelo che sopprime le mie sicurezze. Mentre mi rivesto della vestaglia, rivolgo l’orecchio alla strada con un groppo in gola: un’auto rallenta sulla curva di casa nostra, tra un po’ si aprirà il cancello e tu rientrerai finalmente con passo furtivo e consapevole del tuo ingiustificato ritardo. Io qui ad aspettarti a braccia conserte, come spesso ho fatto negli ultimi anni. No,…… L’auto prosegue, l’attesa continua incessante. Mi appoggio alla finestra e guardo fuori, con le dita mi strofino gli occhi pesanti mentre un mix di pensieri ed emozioni si accavallano in questi minuti lenti e monotoni: dove sei tesoro mio? Mi fa paura,…. D’impulso prendo il cellulare e controllo le chiamate: nulla, assolutamente niente da ieri sera, né un sms, né uno squillo caduto a vuoto, il nulla e questo silenzio, solo il gocciolare piano dalle grondaie,…… Prima di uscire, mi avevi abbracciato teneramente rassicurandomi: “Mamma, tranquilla, torno presto, non faccio come lo scorso sabato, vado solo a farmi un giro con Diego giù a Lignano,…Ok?” Uno sguardo ingenuo illuminava il tuo viso ancora di ragazzino, tu e Diego, sempre voi due, tutti i fine settimana assieme come Cip e Ciop,……. altro che trovarti la morosa, quella sarebbe solo un optional per te! Quegli occhi blu mare,…. “ Va bene, ma non bere troppo, che poi se ti fanno la prova, devo chiamare papà per farti venire a prendere!” Girandoti, mi sorridevi rassegnato: “Ma mamma,……”.
Il sole sta facendo capolino da sotto le nuvole dense, finalmente un po’ di sereno dopo due giorni di pioggia. Vago su e giù per la stanza in preda ai miei demoni interiori. Sì, è vero non sono sempre st

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