username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti su problemi sociali

Pagine: 1234... ultimatutte

Carne da galera.

Il sistema la vuole debole, ubbidiente e portata all'autodistruzione; la rende eroica per ripulire i confini, martire per sostener le croci.
Al momento opportuno diventa crocevia di voti e per meglio conservarla nel tempo, viene imbalsamata con il mutuo soccorso che l'avvolge dolcemente in una rete d'illussione e fedeltà.
Poi finiti i comizi il sistema torna tale, la carne nuovamente sola, diventa pallida percorsa dal tempo, un improvviso sbalzo di temperatura le ridona la vita, confusa si agita contorcendosi tra il sangue e le viscere ormai nauseabonde, ribellandosi così in un vuoto di rabbia incolmabile.
Il sistema impaurito la inchioda il più in alto possibile,
il macellaio travestito da giustizia, la divide in tante piccole parti distribuendole alla folla che sbavandone il sangue grida:
Carne da galera! Carne da galera!
Il macellaio osservando il sistema risponde:
Tranquilli ne abbiamo a volontà...

   12 commenti     di: ALESSIO SANNA


Gli occhi del suo bambino

Era seduta in un angolo, con suo figlio tra le braccia. Sulle guance i segni della disperazione. Gli occhi grandi, pieni di paura. Fissava il vuoto. "È un incubo", continuava a ripetere. Aspettava solo il momento in cui si sarebbe svegliata e la realtà le avrebbe sorriso di nuovo, come sempre. Invece no. L'incubo era realtà. Lo capì dal pianto incosciente del suo bambino. Non riusciva a trovare una spiegazione a tutto quello che le stava succedendo. Non l'avrebbe mai immaginato. Eppure era successo. Lui le aveva messo le mani addosso, non per accarezzarla. Le aveva graffiato il cuore, annebbiato l'anima. Non riusciva a muoversi. Il dolore l'aveva paralizzata. La stanza era vuota, umida. Non c'erano più mobili, sedie, quadri. Era sparito tutto. Intorno a lei solo quattro mura bianche, divorate dal buio. Era disperata. Pensò a quando era piccola. Giocava con le bambole, sognando una famiglia. Si sarebbe sposata e avrebbe vissuto nella felicità. Il candore dei suoi sogni non conosceva le ombre che si stavano affacciando sulla sua vita da adulta. Si guardò intorno, cercava un interruttore per accendere la luce in quella stanza, voleva uscire dall'incubo. Niente. C'era solo vuoto. Pianse, abbassando gli occhi per la disperazione. Fu in quel momento che incrociò lo sguardo del suo bambino, che le sorrideva con la gioia dei suoi pochi mesi di vita. Eccola la luce. L'interruttore che avrebbe schiarito il buio intorno a lei. Aveva trovato la forza per andare avanti. Gli occhi di suo figlio asciugarono le lacrime che le rigavano il volto, cancellarono i segni della disperazione. Si guardò di nuovo intorno. La stanza era di nuovo piena, la luce era tornata. Si rialzò, pronta a vivere la sua vita, armata del suo bambino.



Il fruttivendolo olivastro

“Hey Calh, che mi dici dei peperoni?”
Calh non risponde, ma muove appena l’angolo destro della bocca, socchiudendo contemporaneamente gli occhi, e la signora che ha posto la domanda capisce, unica nel negozio, che è meglio lasciar perdere, i peperoni li comprerà la prossima volta.
Sono passati solo cinque anni da quando Calh ha rilevato il suo negozietto, ma la clientela è già ben delineata e lui sa bene che la signora alla quale ha appena fornito l’informazione circa i peperoni da non acquistare è una cliente fissa, una buona cliente, ed il mancato guadagno di oggi si tradurrà in un doppio guadagno domani, quando lei, gratificata dal trattamento riservatole, tornerà, e spinta dal senso di riconoscenza metterà nella sua borsa un quantitativo di merce doppia rispetto a quello che aveva intenzione di portare a casa.
Calh conosce bene queste dinamiche, anche i suoi erano nel commercio, pur se in un settore diverso, e certe cose funzionano allo stesso modo un po’ dappertutto.
Il ricordo di quelle mattine trascorse in quello squallido mercatino, (ma che era squallido Calh lo capisce solo ora che è a contatto con questa realtà nuova), a vendere roba sostanzialmente inutile come quelle collanine confezionate da sua madre con ciò che si trovava in spiaggia e canestri intrecciati alla meno peggio da suo padre a gente sostanzialmente bisognosa di tutto, era uno dei più vividi nella sua memoria e, seppure in maniera più naturale, senza un calcolo dietro, anche i suoi invogliavano la sparuta clientela nello stesso modo in cui Calh aveva fidelizzato al suo esercizio la signora dei peperoni.
Lui sa bene che le sorti di quel piccolo bugigattolo da fruttivendolo sono fondamentali per sé e per la propria famiglia nucleare venuta qui assieme a lui, senza contare i tanti parenti rimasti in patria - primi fra tutti i genitori?" e dipendenti in larga parte dalle sue rimesse monetarie.
No, il negozio, (chiamato semplicemente “Da Calh”), è troppo im

[continua a leggere...]



Fatima

“Non è il caso di fare nomi, sei Fatima, Fatima e basta”.
Certo, non è il caso di fare nomi, la donna lo sa bene, ormai i controlli sono serratissimi, ed anche un piccolissimo, insignificante errore, una parola detta in pubblico, ad esempio sull’autobus o al mercato, senza contare i delatori, può vanificare la buona riuscita di una operazione pianificata da molti mesi, ed a cui si sono dedicate molte persone.
Fatima infatti non è che l’ultimo, decisivo ingranaggio di una catena umana il cui fine ultimo è uno solo: portare l’esplosivo sul ponte, avvicinandosi quanto più possibile al posto di blocco costituito da un carro armato e due autoblindo con i relativi soldati, (dodici in tutto, l’operazione è preparata minuziosamente), e fare saltare tutto, cosciente del fatto che a saltare potrebbe essere anche lei, ma non importa.
“Sei pronta”?
La domanda le giunge dopo qualche secondo, ed a porgliela è stato Fez, l’organizzatore dell’operazione - chiaramente anche questo un nome di copertura?" ed il sentirsi chiedere se è pronta a compiere un’azione così incredibile, così inumana, un’azione a cui solo pochi mesi prima non avrebbe mai pensato, accende in lei la zona cerebrale deputata alla memoria, e fa in modo che Fatima riveda come dalla poltrona di un cinema le immagini della sceneggiatura che l’ha portata ad indossare, sotto il vestito, l’esplosivo che si prepara ad usare.
Solo pochi anni prima Fatima era ancora una donna normale, con una vita normale?" per quanto possa esserlo la vita di una giovane di questa zona arretrata del paese, ancora legata rigidamente alla divisione arcaica dei compiti tra uomo e donna, ed al seguire ossessivamente i precetti religiosi che gli addetti al culto non mancavano di ricordare giornalmente a tutti i fedeli?" un marito, dei figli, una casa.
Poi, dapprima a dispetto di quanto assicurato dal dittatore tramite tutti i mezzi di informazione possibili, successivamente come quasi auspic

[continua a leggere...]



Identificazione mancata

Io sono l'Addetto alla Registrazione delle Entrate, Ufficio 5, Sottosezione 3, ma tutti qui mi chiamano Addetto all'entrata. Non ricordo da quanto tempo lavoro nella Grande Azienda: i giorni si susseguono tutti uguali, come i mesi e gli anni fiscali.
Alla fine di ogni giornata il Presidente mi da una pacca sulla spalla e mi sorride, soddisfatto.
Alla fine di ogni mese il Presidente mi da 1100 euro in una busta bianca e mi sorride, soddisfatto. Alla fine di ogni anno fiscale il Presidente commenta con me l'andamento dell'Azienda, i progressi e i recessi e mi sorride, soddisfatto. Mi dice di pensare a riposarmi, di andare a sonnecchiare su qualche spiaggia tropicale come lui sicuramente farà con la segretaria, all'insaputa della moglie.
Ma io non posso mica. E poi non ne ho mica bisogno. Mia moglie comincia, ogni primavera, la sua tiritera per convincermi a portare i bambini da qualche parte. Ma io non posso mica. Non me la sento di lasciare la città, non voglio allontanarmi dall'ufficio, dalle mie carte tutte in ordine, dal pessimo caffè della macchinetta, dal Presidente che sorridente mi promette un aumento che non arriva mai, prima di darmi una pacca sulla spalla e chiudersi nell'ufficio con la segretaria.
Io sono l'Addetto alla Registrazione delle Entrate, Ufficio 5, Sottosezione 3, e ogni mattina, puntuale, alle 8 sono seduto alla mia piccola scrivania bianca, poggiata su un pavimento bianco, nel mio piccolo cubicolo bianco vicino all'ingresso. Afferro la mia penna bianca, allargo un po' il nodo della cravatta, e rimango in attesa. Rimango in attesa di un cliente o di un collega, di qualcuno che voglia entrare nell'Ufficio 5, Sottosezione 3. Quando arriva qualcuno, gli occhi mi si riempiono di gioia: finalmente posso fare la mia parte, far roteare il mio ingranaggio in quel complesso macchinario che è la Grande Azienda. "Prego identificarsi" chiedo con la voce monotona più giusta, con la voce che ci vuole, dice il Presidente, per dare un'idea di profes

[continua a leggere...]



Abbandonato

Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?
Le preoccupazioni mi assalgono,
il terrore divampa.
Non ho denaro, Dio mio.
Mi rinfacciano la mia condotta.
" Prova a fare qualcosa... ".
Dio mio, io ho aiutato coloro ai quali chiedo aiuto.
Ma loro danno con l'umiliazione.
Incutono insicurezze nel mio animo che si sta abbandonando a te.
Dio mio, Dio mio, non mi abbandonare.
Gli stenti e le umiliazioni che soffro siano le messe a cui manco.
Dio mio io ti cerco.
Dammi la possibilità di andare avanti.
Così è stato finora nonostante i duri colpi della vita.
Dio mio perché mi hai riscattato?
Per lasciarmi forse in balia degli ingrati?
Moltiplico le preghiere, pratico l'elemosina, perdono al mio prossimo, porgo la guancia e abbasso la testa.
Dio mio, Dio mio dove sei?
L'urlo del mio intimo ascolta e venga a me la tua pace.

Amen



Buc lo sfortunato

Non so di preciso quando incontrai per la prima volta Buc.
Ricordo soltanto che era una splendida giornata di sole ed era primavera.
Dovevo avere intorno ai 15/16 anni. Ero più giovane allora.
Spesso mia madre, con tono di rimprovero, mi mandava a far compere presso la salumeria a pochi passi da casa.
Giravo l’angolo del palazzo e dopo pochi metri me la trovavo di fronte.
Lo facevo con piacere anche perché passavo di fianco al campetto della scuola elementare dove avevo trascorso molti anni felici. Avevo tanti amici quando facevo le elementari ed ero bravo ad apprendere. Anche le scuole medie andarono molto bene sia in termini di amicizie che in termini di voti. Con la scelta del Liceo Classico le cose andarono diversamente ma questa è un’altra storia…
Dicevamo di Buc giusto? Beh all’epoca fu un incontro fortuito ma cambiò per sempre la mia vita, le mie certezze.
Quella mattina mi sentivo particolarmente solo.
Era un periodo di forti incomprensioni in famiglia e a scuola.
Desideravo solo uscire di casa e fare lunghe passeggiate.
Non volevo altro.
Amici poi neanche a vederli col binocolo.
Conoscevo persone ma non erano esattamente ciò di cui avevo bisogno.
Mi chiudevo in me stesso giorno dopo giorno.
Alla fine lo diedi per un dato di fatto e non me ne preoccupai più di tanto. Mi bastava la compagnia della mia persona.
Questo fino a quel fatidico pomeriggio di primavera.
Ero soprappensiero e camminavo come per inerzia.
Neanche la scuola vicina mi aveva destato da riflessioni amare e prossime alla depressione.
Il giorno dopo avrei dovuto affrontare una dura interrogazione di matematica ( che io odiavo perché non la capivo) e rischiavo di essere rimandato a settembre con la sciagurata previsione di studiare anche durante le vacanze.
Già immaginavo la faccia dei miei genitori, quando avrebbero appreso la “bella novella” del mio fallimento in matematica. Le cose sarebbero precipitate rendendomi l’esistenza ancor pi?

[continua a leggere...]

   2 commenti     di: Eduardo Vitolo



Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Problemi sociali.