Gasparinu Piloru guardava l'aria piena di gregne di spighe di russellu e non poteva fare a meno di sentirsi salire dentro la gioia, una grande soddisfazione a vedere su quello spiazzo ricavato in un costone del feudo del Conzo. Quell'anno il grano era venuto 'ngranatu, spighe lunghe a ottu carri, tutto lasciava presagire che il grano prodotto sarebbe stato tanto e di buona qualità. Avrebbe potuto, pagando le spese delle mezzadria, di mettere da parte il grano per la mancia e forse qualcosa ancora da vendere, depositando poi il denaro ricavato in banca.
Certo quel raccolto, sin dall'inizio, si era presentato con molte difficoltà climatiche. Le prime piogge che solitamente arrivavano a settembre, quell'anno si erano fatte attendere così a lui pi simari primintiu non era rimasto altro chi sciaccari a siccu la terra che era dura come la roccia. Gli animali si torcevano sutta lu juvu, tiravano l'aratro che appena scalfiva il terreno mentre il vento di scirocco che soffiava impietoso, faceva alzare nugoli di polvere e pagliuzze che accecavano i poveri animali ed il loro padrone
Vento, vento, vento che soffiava impetuoso quando era necessario che esso calasse e vento che necessitava e si faceva aspettare, lo sapeva bene Gasparino che aveva coltivato quella tenuta con grandi difficoltà, tra i ritagli di tempo, magari mentre gli animali che stava pascolando, sazi di erbe, si fermavano a riposare. Il vento di gennaio aveva soffiato su quelle pianticelle al punto che il pover'uomo, guardandole, aveva imprecato sulla malasorte e disperato per qualche settimana aveva evitato di passare da quella tenuta per evitare di rattristarsi ulteriormente. Ma ancora una volta si dimostrò vero il vecchio detto: "Asinu puta e Diu fa racina. Volendo con questo dire che le componenti della natura possono distruggere una pianta e successivamente ridarle vitalità e vigore. Marzo fu soleggiato ed i venti leggeri accarezzarono a lungo quelle piantine di grano che ripresero vigore. Il gran
Maggio 2021: il macabro ritrovamento di 215 resti di bambini presso la Scuola Residenziale di Kamloops, in Canada, scatena una eccezionale ondata mediatica. I rilevamenti con il GPR (Ground Penetration Radar) attestano la presenza di corpi senza una lapide, senza un segno, senza neppure l'indicazione che questo fosse un cimitero. Tombe senza nome, appunto.
Il fenomeno, purtroppo, non è nuovo nell'America del Nord, ma, per farlo comprendere ai lettori Italiani, e fare chiarezza sull'intero processo che porterà al viaggio di Papa Francesco, l'Autrice decide di iniziare una puntuale inchiesta.
Lo scopo della prima parte del libro è quello di mostrare dettagliatamente la vera natura delle Scuole Residenziali, a partire dalla loro fondazione. Attraverso testimonianze dei Nativi, documenti nascosti nelle Scuole e il ritrovamento dei cimiteri senza nome emerge l'aberrante fenomeno che le trasformò in veri e propri "inferni in terra". Freddo, fame, malattie ed inoltre ripetute violenze fisiche e abusi sessuali. Per comprendere ciò che i Nativi hanno passato, le testimonianze sono riportate senza giri di parole, con cruda essenzialità.
È necessario, anche se difficile, leggere facendosi forza.
Nessuno difendeva questi bambini, anzi la riduzione del numero dei Nativi era spinta dai governi, anche attraverso contagi deliberati e sterilizzazioni forzate.
Nella seconda parte viene analizzata "L'epoca delle scuse" a partire dagli anni 2000. Si scusano alcuni stati, alcune chiese, ma i Nativi chiedono le scuse della Chiesa Cattolica, vista come la principale responsabile per l'alto numero di persone implicate. Questo richiede il coinvolgimento del Papa, che riceve una delegazione di Nativi in Vaticano, e in seguito affronta un "viaggio penitenziale" in Canada.
Infine, le parole del papa vengono analizzate da diversi punti di vista, in particolare si esamina la differenza tra "chiedere scusa" e "chiedere perdono", al riguardo sono riportati estratti da diver
Quella che sto per raccontarvi è la storia di una ragazza di non molte pretese. Avrei desiderato semplicemente una vita normale fatta di comuni banalità come avere l'acqua calda con cui fare un bagno o dormire su di un materasso che non puzzi di umido.
Vivo a Boston, in periferia, in un quartiere dove mancano i colori, ogni cosa appare grigia, come il carbone che ogni giorno siamo costretti ad estrarre dalle miniere.
La mia casa è uguale alle altre: una lugubre costuzione dalle tristi finestre che non sorridono. Alle volte, ritornandoci, mi capita di "rientrare" dai miei vicini perchè le loro abitazione è identica alla mia. Perfino le tendine si somigliano: mostrano, crude, l'emblema della povertà, non un riccetto, un merletto, che denotano il lusso di una vanità di che non possiamo permetterci. Mio padre è un intelletuale costretto al lavoro di miniera per mantenere me e i miei quattro fratelli. Le sue idee scintillano di libertà e ugualianza fra le classi sociali, così, dopo gli sfruttamenti della della classe dirigente nei confronti degli operai, si è messo in sciopero ad oltranza insieme ad un gruppo di colleghi disperati, per le condizioni disumane in cui si lavora.
Infatti il lavoro in miniera è il più brutto al mondo, il cunicolo è stretto, buio, non si respira e si rischia di cadere perchè è molto ripido e ci si arrampica un po' avunque, alle viscere di quella terra umida e viscida, che ci castiga, ci umilia; nel profondo di quegli abissi ci sentiamo abbandonati dal mondo intero.
A questo punto vi chiederete perchè parlo al plurale mentre descrivo la miniera, è perchè anch'io ci lavoro, di nascosto a mio padre mi intrufolo nella folla degli operai che non partecipano allo sciopero e contro i quali il mio papà lancia grida di insulti come "venduti!". MI fa male la voce di mio padre che libero come un gabbiano che vola su un mare in tempesta urla a quella folla grigia e triste senza sapere che proprio li, ci sono anch'io, ch
Il corpo, avvenente di forme, non faceva caso allo spirito ingenuo che ancora dimorava tra la mente e il cuore.. e che a volte sospirava di sogni apparentemente facili..
Aveva dalla sua la giovane età che non si curava di comportamenti, ma incalzava di ragionamenti su come arrivare a conoscere addobbi di lustrini di notorietà.
La via da percorrere appariva essere indicata principalmente dalla tv e dai giornali di gossip, dove altri corpi avevano già fittizi spazi di luce come estrosi manichini a comando di sensuali danze e storie, sempre con espressioni ammiccanti a rendere così schiavi e pronti i probabili mecenati del piacere.
Il corpo, ecco che così iniziò a proporsi in foto, poi ecco provini con piglio determinato o timido, usando parole e sorrisi anche senza senso o profonde affermazioni di volontà per invogliare qualsiasi occasione giungendo così alla grande baldoria di incontri tra sconosciuti valutanti l'esteriore capacità ma soprattutto l'intimità.. da raccomandare e da tenere in catalogo per un veloce eventuale richiamo...
Ecco, il corpo ciarliero e illuso di presunto riconoscimento va a feste, semplici manifestazioni per integrare il sospirato successo con inviti spesso a predisporsi in vie orizzontali tra battute e complimenti, tra promesse e pagamenti...
Un attimo... ma deve lavorare solo il corpo... e il talento dov'è? Ma sì, ci vuole talento anche per gestire il comportamento da tenere con cellulari e ricordi infine per incastrare eventualmente gli anfitrioni.
Il corpo, tra caos d'incertezze e sputtanamenti, capisce in conclusione che tutto distorto appare ora l'originario pensiero coltivato...
Fame di popolarità è per lo più solo ingenuità per chi è anonimo e non preparato all'arte della vita, per chi pensa che l'avvenenza sia lo strumento più adatto e infine obbligato per un risultato insperato.
Stanco di lazzi e ironie sull'essere considerato solo prostituto senza cervello, medita...
Basta! Io corpo voglio dedic
Sono occupato…. maledettamente occupato…. e lo sono ormai da più di quattro anni.
Appena sveglio, e dopo una rapida doccia, (inutile svegliare mia moglie quando posso fare io, inoltre Mariella è sempre debole, stanca, depressa, no…meglio di no), sveglio dolcemente il bambino, lo lavo, lo vesto, facciamo colazione insieme e poi, scherzando come sempre, lo porto a scuola.
Di certo non mi azzardo a lasciarlo nei dintorni dell’edificio scolastico, se ne sentono di tutti i colori di questi tempi, e come ogni giorno mi godo il cenno di compiacimento della bidella verso questo padre così attento.
Tornando a casa mi fermo a comprare il necessario per oggi, ormai esercito con maestria l’arte del fare la spesa e già da lontano valuto e soppeso con precisione melanzane, pomodori, zucchine, arance; conosco i prezzi di mercato a memoria e supero senza degnarli di uno sguardo quegli esercizi che hanno prezzi troppo alti per puntare con sicurezza verso quelli con quelli più convenienti.
Sono molto occupato.
Torno a casa per le nove, e mentre comincio a pensare alle faccende domestiche ascolto in sottofondo il respiro regolare di Mariella, so già che si sveglierà intorno a mezzogiorno, del resto perché dovrebbe alzarsi prima? No…meglio lasciarla dormire, forse in queste ore mattutine riuscirà a riposare per davvero.
Mi muovo con consumata sicurezza e millimetrica precisione per casa, ed impiegando il miglior rapporto possibile tra sforzo fisico e tempo impiegato nell’arco di due ore ho lavato i piatti rimasti dalla cena, spolverato, messo a mollo i vestitini che Marco ha sporcato giocando con la terra nel parco, pulito il bagno e stirato, (a stirare per la verità non sono molto bravo, ma sto migliorando anche se molto lentamente; non ho molto tempo da dedicare a questa attività perché si sa…sono sempre molto occupato).
Prima di uscire per prendere Marco da scuola preparo anche il sugo, per risparmiare tempo, e mentre soffriggo le cipolle pens
"Cavolo, di nuovo il Natale", pensava Christian ogni anno, quando si avvicinavano le feste. "Deve venire per forza tutti gli anni?"
Ogni volta, verso Dicembre, chiudeva gli occhi e sperava che qualcuno gli comunicasse che erano sospesi tutti i festeggiamenti natalizi. Niente regali, niente letterine a Babbo Natale. Tanto per lui era inutile.
Erano ormai tre anni, da quando aveva imparato a scrivere, che chiedeva a quel vecchio signore con la barba bianca un regalo speciale, la cosa più importante del mondo: una mamma. Non ne aveva mai avuto una. Quella che lo aveva partorito, lo aveva abbandonato vicino ad un ospedale, disteso in una cassetta, una di quelle per i pomodori. A volte pensava che sarebbe stato meglio per lui essere un pomodoro. Avrebbe allietato il pranzo di qualcuno, per poi sparire per sempre dopo la digestione.
Voleva una mamma, una vera, tutta per lui. Insieme agli altri bambini viveva bene, era felice. Erano tutti simpatici, giocavano insieme, facevano i compiti, si divertivano. Quella grande, bellissima famiglia, non gli faceva mancare niente. Eppure lui desiderava una mamma. Ogni volta che ci pensava, nel suo lettino azzurro, immaginava come sarebbe stata: alta, bassa, bionda, bruna. Poi si diceva che voleva semplicemente una che gli volesse bene, come una mamma vuole bene al suo bambino. Non gli importava l'altezza, il colore dei capelli, degli occhi.
In casa famiglia tutti gli volevano bene, ma l'amore di una mamma è speciale. Lui lo sapeva, anche se non l'aveva mai provato. Lo immaginava come un dolce profumo di fragole, che gli arrivava al naso ogni volta che sognava il giorno in cui sarebbe si sarebbe avverato il suo desiderio.
Anche quell'anno, inesorabile, il Natale era alle porte, e Christian aveva scritto la sua solita, densa, bellissima lettera piena di speranza. La mattina del 25, in casa famiglia, tutti i bambini correvano verso l'albero, alla ricerca del regalo richiesto. Quello di Christian era in una piccola scatol
Jairo si sveglia alle 5 della mattina per arrivare in quel puzzolente incrocio, per vendere piccoli accessori per automobile, sotto il sole cocente di Citta' del Mexico, alle sei della tarde jairo si e' guadagnato quei tre quattro dannati dollari e i sui polmoni si sono avvelenati di idrocarburi per dare il benvenuto ad un cancro che non lo fara' campare più di trent'anni. Non e' negro Jairo, la sua pelle e' manciata e sudicia, incallita, a soli 12 anni Jairo ma e' li' in quell'incrocio gia' da quattro, prima andava a scuola, ma in famiglia non ci sono ne' soldi per il trasporto e ne soldi per i libri e quindi il suo destino e' quell'incrocio.
Le due arterie viarie hanno un flusso di due milioni di autoveicoli il giorno, molti ignorano la presenza di Jairo, ma lui riceve da ogni autiveicolo un biglietto di sola andata per il paradiso, dove la sua pelle non sara' piu sudicia e manciata e quei milioni di automobilisti che lo hanno ucciso finalmente lo conosceranno. Era il venditore di piccoli accessori per le loro macchine.
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