È sceso dalla macchina trafelato è corso verso di me e mi ha gridato a 2 cm dal mio naso:
"Sei un extracomunitario di m...!!!"
Spiegare la discriminazione a chi non l'ha mai subita, a chi non l'ha mai provata sulla propria pelle apparentemente è semplice ma in realtà non è così, è complicato.
Ma è bene parlarne, mai come di questi tempi è bene parlarne. Senza vittimismi, ma con realismo e concretezza, oggi più che mai c'è bisogno di costruire una base comune, un luogo di incontro dove cercare di costruire le fondamenta di una società migliore per i nostri figli.
Dicevo, spiegare la discriminazione far capire cosa si prova ad essere discriminati è difficile, nella migliore delle ipotesi, per chi ha tratti somatici evidentemente differenti è come rinascere ogni giorno, è come dover ricominciare da capo ogni volta che sorge il sole, ogni giorno della tua vita.
È cioè, nella migliore delle ipotesi nell'ambiente dove uno vive, nel vicinato conosciuto o in un piccolo paese dove ci si conosce tutti la gente ti rispetta anche se si e' diversi.
Normalmente, nella migliore delle ipotesi!
Ma quando ci si sposta in città o in un altro quartiere, in contesto nuovo sconosciuto insomma, proprio a causa tratti somatici diversi, diventa necessario raccontarsi dall'inizio, e cioè si riparte dall'anno zero e bisogna spiegare chi si e' e come si e' arrivati sin lì perché i tratti indicano in modo evidente che non si e' originari di lì.
Così succede a volte a mia moglie qui nel nostro Bel Paese! I suoi tratti Latinoamericani la rendono distinta dai tratti locali tipici.
Cosicché fuori della nostra comunità dove è conosciuta e stimata anche per il grande impegno nel sociale, al di fuori di qui spesso, anzi ogni volta deve raccontarsi e spiegare come e perché e' arrivata fin qui.
A me personalmente e' successo poche volte, ma quella mattina e' successo ed in maniera così violenta e traumatica tanto che la cosa mi ha so
Di corsa, di fretta, un'elevazione, un balzo, un cellullare dimenticato, una sgommata di merda sul water, mangia, bevi, fuma, divertiti, apri le gambe, fatti possedere e succhia. Succhia la vita lentamente, leccandola, come si lecca un ghiacciolo. E fai in fretta, colazione, doccia, denti, una spruzzata di deodorante, e a studiare, lavorare, ancor meglio cazzeggiare, l'importante è non fermarsi. E sali su un treno, lo raggiungi di fretta, magari ti sta un po' stretta, la vita, ma tu la stupri, proprio come la trama di quel film, King Kong e Cleopatra, due perfetti sconosciuti, due che secondo la logica non avrebbero mai dovuto incrociarsi, ma così il destino ha voluto e lo fanno lo stesso, scelta non ne hanno. E così tu, gli impegni, la figa, e così noi, la macchina, la moneta, e così tutti, un branco di spermatozoi che si spintonano per uscire dal cazzo all'atto di una sega. E tutta la forza, l'entusiasmo, la vitalità diventano nulle, solo liquido che macchia la nostra via. I binari della vita sono colmi di spettatori, gli eroi fra le fiamme eterne, ed io mi ritrovo qua, dove sono assenti perfino i più umili passeggeri.
Son passati 13 anni da quando la notizia della morte di Fabrizio De Andrè, tuonava su tutte le pagine dei quotidiani, il cantautore genovese che con la sua musica, e prima ancora con i suoi testi costruiti intrecciando parole meravigliose, riesce a far penetrare nelle vene la speranza, faber è sempre stato dalla parte degli oppressi, degli umili, degli ultimi... l'album storia di un impiegato, parla ad esempio di un impiegato che sentendo un canto, quello del maggio, stanco delle sue condizioni disagiate decide di ribellarsi, di prendere una posizione, per farsi ascoltare, per ricordare a se stesso che lui è vivo e che lui conta e ha dei diritti, e lotta per questi diritti. Giorni fa su "il fatto quotidiano", è stato pubblicato un articolo a proposito di questo, il quale diceva che è proprio in un momento di crisi, come quello che stiamo affrontando che è fondamentale essere positivi e sperare in un miglioramento, nonostante vada tutto male, nono arrivare alla fine del mese è sempre più un'impresa, purtroppo però la vita è cattiva, vuole metterti alla prova, e allora le cose iniziano ad andare male, il paese si blocca, la gente lavora ma non riesce a portare i soldi a casa per pagare l'affitto, o per preparare il pranzo, mai una vacanza, lavoro, fatica, senza nulla in cambio, ogni giorno è uguale, fino a quando non si riceve la lettera di licenziamento e ci si ritrova senza nulla... queste vicende sono vere, sono molte.. e andare a parlare a queste persone di speranza è davvero difficile, ma perdere la vita perché non c'è un sistema che funziona, perché governano dei ladri che pensano solo alle loro tasche non si può, sarebbe come dargliela vinta, è difficile, difficilissimo, ma bisogna stringere i denti e trovare la forza, magari aiutandosi con qualche frase di de andrè e convincersi che l'uomo ha bisogno di speranza.
Primo levi scrisse che la battaglia che consiste nell'aiutare l'umanità a diventare migliore e quindi ad essere felice non è m
All'anagrafe Ciro Scapece, dagli amici chiamato Ciro o'bello, per tutti gli altri semplicemente don Ciro.
Il soprannome se lo era guadagnato per via di uno sfregio sotto la mascella destra, dovuto ad un duello fatto con la famosa "Molletta" ( Coltello con apertura a scatto ). Quando si ha 15 anni e facile perdere la testa, soprattutto se si permettono d'infamarti con epiteti riservati a quelle persone che hanno la madre che di professione intrattiene uomini a pagamento. " Figl'è zoccola" per colpa di questa frase si fece due anni di riformatorio.
La madre nonostante tutto era persona perbene, faceva quel mestiere solo per dare da mangiare ai suoi 5 figli. Dopo la morte del marito avvenuta in un campo di lavoro in Germania, dove fu imprigionato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, la signora si trovo sola, con un'unica scelta possibile. La donna capi subito che per Ciro stare sulla terrà ferma era pericoloso, per il suo carattere ribelle, ecco perché decise di mandarlo a lavorare su di un peschereccio.
Il giovane Pescatore era un ragazzo sveglio, i fratelli Scognamiglio proprietari dei 5 pescherecci della flotta, gli volevano bene, dopo pochi anni lo misero a capo di un'imbarcazione. Si era guadagnato la stima dei propri capi, tra tutte le imbarcazioni la sua era quella che tornava con più pesce a bordo. A nulla servivano le lamentele dei colleghi che l'accusavano di sabotaggio, infatti più di una volta si erano trovati con grossi problemi da dover affrontare: reti tagliate, mancanza di gasolio, guasti improvvisi. I Capi avevano fiducia del giovane, che oltre dalle soddisfazioni lavorative, venivano gratificati ulteriormente dalle conoscenze femminili del ragazzo
Don Ciro però di tutto questo non era completamente appagato, apri anche qualche pescheria per sistemare il resto dei fratelli, ma sentiva di valere di più. In pieno boom economico, Napoli divenne il crocevia del contrabbando di sigarette, ecco l'occasione di una vita: per lui persona
L'odore di fumo era straziante. Fissando il soffitto che una volta era bianco pensavo alle travi ormai del tutto nere. Vedevo passeggiare quel fumo grigiastro tra le molecole di ossigeno, lo stesso ossigeno che aveva reso possibile la combustione del tredicesimo fiammifero.
Quattordici.
La fiamma mi affascina, la potrei paragonare alla vita.
Quindici, un fuoco intenso. Si spegne senza neppure raggiungere la metà del fiammifero.
Sedici. Accendo, soffio, si spegne.
"Siamo fiammiferi", sussurro ridendo. "La vita è un fiammifero: qualcuno ce la offre, e una volta finito il combustibile, ci spegniamo."
Accendendo il diciassettesimo fiammifero mi resi conto della reazione di Karem al mio gesto precedente. Avevo dato fuoco ad un fiammifero, dopo di che lo spensi io stessa. Conoscevo Karem abbastanza bene da rendermi conto dei ricordi che gli facevo tornare in mente. Era un pensiero che lo tormentava; aver perso il fratello per mano del padre lo aveva segnato a vita.
Diciotto. Fino ad allora Karem non aveva fatto altro che tossire, poi una pausa di silenzio e riflessione.
"Sono le cinque.", la potenza di quelle vecchie batterie per orologio mi sorprendeva.
Karem doveva affrontare una tortura ancora sconosciuta: le cinque senza il suo tè, e siccome era un inglese di ottima qualità, questo doveva essere molto difficile per lui. Il té lo avevamo finito il giorno prima, e anche il resto stava finendo. Che stesse morendo anche la speranza?
L'outside, come lo chiamava Karem, non ne dava molta. Ma sapere di essere tra i pochi a poterlo ancora osservare era positivo. Eravamo superstiti della guerra, ma ce l'avremmo fatta a sconfiggere la fame, una volta finite le provviste? Diciannove, in onore dell'amore. Soppresso e sostituito dall'odio nei confronti di chi lo riteneva un diritto universale. Karem teneva tra le mani piene di cicatrici la sua foto con Mark a Rimini. Loro amavano l'Italia, e quando potevano farlo, venivano in vacanza qui. Scelsero l'anno peggiore
SOTTO IL DIVANO
Non ci avevo mai fatto caso, ma, viste così da vicino, le mattonelle non sono fatte di un materiale così compatto come sembra. Sono porose, quasi spugnose, come se il pavimento potesse assorbire tutto quello che gli striscia sopra, (o forse lo stare sdraiato qua sotto per così tanto tempo sta comiciando a crearmi qualche problema alla vista), e negli spazi tra l’una e l’altra si sono accumulate tante striscioline scure, d’altra parte non è facile arrivare con lo straccio fino a qui, e per farlo ci vuole anche una voglia ed una costanza che Michela ormai non può più avere, la cosa quindi non mi stupisce. È ridicolo……. cosa ci faccio in questa posizione assurda, sotto il divano? Eppure è così, qualcosa potrebbe anche esserci………forse dentro la valigia, (mai usata, chi cavolo ce l’ha data)?, o magari nell’angolino…….. potrebbe essermene caduta di tasca qualcuna chissà quando ed essere finita qui….. potrei anche essermene accorto sul momento, ma forse per pigrizia non ho allungato subito la mano per cercarla e poi essermene dimenticato……si, potrebbe…….è più probabile la seconda ipotesi, la tengo di riserva, così se invece dovessi trovare qualcosa nella valigia avrei la prima ancora a disposizione per la prossima volta. L’asma comincia a farsi sentire, ma non ci bado, (polvere anche nella maniglia, nelle serrature, nelle cuciture, ma dove l’abbiamo preso ‘stò valigione? E perché? Tanto non siamo mai andati e mai andremo da nessuna parte), apro. Cos…? Chi è quello? Perché mi fissa con quell’aria felice? Ma che cazzo avrai da ridere? Sono io….. e mi sto guardando da una polaroid di almeno diciassette/diciotto anni fa, mio figlio piccolissimo in braccio ed un pacchetto in mano, è un compleanno. Molti capelli in più, molti chili in meno, e, soprattutto, negli occhi ancora intatta la riserva di speranze nei miglioramenti in serbo per il futuro. Mi fa male….. Come posso spiegarti quello ch
Me lo ricordo da quando ero piccolo, almeno da quando avevo dodici o tredici anni, e nella mia memoria non è quasi cambiato. Aldo è alto, bruno, capelli ondulati, occhi scuri, liquidi, persi girando chissa’ quale angolo sbagliato.
Aldo ha sempre la barba lunga, fuma, indossa sporchi vestiti sgualciti, delle cuffie collegate ad un walk-man nascosto in una tasca del K-Way con cui ascolta una musica che nessuno conosce, e cammina, cammina, cammina sempre.
Ho sentito dire che la sua è una famiglia ricca e che lui, più o meno quando aveva diciassette-diciotto anni, ha subito una delusione da cui non si è più ripreso: altri dicono semplicemente che è un drogato del cazzo, e che sta al mondo solo per consumare i marciapiedi col suo incessante andirivieni.
Non l’ho mai visto parlare con nessuno, non ho mai sentito nessuno dire di averci parlato o di volerci parlare, e non l’ho mai visto tentare di parlare con qualcuno, Aldo cammina, e basta, e quando Aldo cammina, sembra che le strade perdano la loro consistenza materiale per assecondare i suoi pensieri.
Perché i pensieri di Aldo procedono in linea retta, rifiutando curve, angoli, rotatorie, dislivelli, divieti, persone; e sembrano farlo ad una velocità tale che il suo corpo è costretto ad arrancare costantemente dietro di loro, sempre in ritardo, sempre troppo sfinito per afferrarne la complessità; e forse, al culmine di una maestosa accelerazione che li ha portati troppo lontano dalla mente che li ha generati, i pensieri di Aldo sono arrivati in una lontanissima zona indefinita, maligna, dove il corpo arrancante dell’uomo non è più riuscito a seguirli, lasciandolo lì, a proseguire come un maratoneta cieco.
Ultimamente Aldo ha lasciato le zone centrali della città, da sempre le sue preferite, per spostarsi verso la periferia, dove ancora si incontrano case basse, palazzi a due, tre piani, e vicoli stretti a dividere le miserie e le paranoie degli uomini che vi abitano, ed a me è venu
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