Mamma mia che dormita!... Aho! Ma chi è che sta a spigne... No, no... Nooooo... Buaaahh.
Che è sta luce, aho!?! Buaaahhh. Che è sto freddo!?! Buaaahhh.
La finestra! Chiudete 'sta finestra che fa corente! Buaaahhh.
Aho, tu: che devi fa' con quelle forbici! Fermati! Mammaaaaa!!!!! Fermaaaa!
Mado' che vergogna, sto tutta nuda! Buaaahhh
Papà, sei te?!? Tranquillo, sto bene! Papà!?! Papaaaaaa'... Chiamate un dottore che questo me sta a sveni'!!! Buaaahhh
Levame le mano de dosso, cicciona! Ma che vòle, questa? Buaaahhh... Fai piano, fai piano... ma che se pulisce così un regazzino, me stai a tene' come 'n coniglio!
Buaaaaaaaahhhhh... Buaaaahhhhhhh... buaaahhh... buah...
Oh, meno male che ve sete carmati!...
Ue', ciao ma'... so' io... Bianca!
Guarda, guarda quanta gente. Parecchi mi sembra di non conoscerli. Noooo, ma dài, c'è pure zia Marcella, avrà 200 anni: m'ha sempre detto "Mi raccomando, non devi mancare al mio funerale!". E ora me la ritrovo qui al mio. Attenti che casca, ATTENTI!
'zzo urli, cretina, mica ti sentono! Spero che abbiano organizzato un bella cosa, perché sennò vado a mettergli paura di notte. Non dico che devono stappare lo spumante, eh? Ci rimarrei pure male, però una cosa soft... dove si piange sì, ma con brio.
C'è pure quel cretino dell'avvocato: 'sto stronzo, adesso gli faccio lo sgambetto.
Vieni, vieni... avvicinati... ancora un pochino... Et voilà, vai, giù per terra: oh, poverino ti sei sporcato, ma come mi dispiace! Su, su che ti aiutano ad alzarti, su... et voilà again, eh ma non ti reggi in piedi, figliolo! Buon per te che non ho voglia di continuare, ché sennò ti mandavo a casa con le stampelle.
Ah, ecco i miei nipotini: giocano. Bravi, non vi fate male, però... A proposito, ma dove sta la nonna? Ah, eccola là. Avrei voglia di dirle "Niente lacrime baby, la tua sweet girl è qua!", ma non mi sembra il caso, poi si spaventa e magari ci rimane pure lei!
Ah, ecco che cominciano. Sentiamo, sentiam
Il finestrino della macchina tirato giù due dita, a farmi prendere aria, come si fa coi cani.
Il sole, benchè debole e a tratti coperto dalle nuvole, scaglia raggi violenti, schiaffi per i miei occhi che quasi non vedono più niente. Occhi fasulli, di cartone, che ormai da tempo hanno deciso di non servirmi più, occhi stanchi di guardare, dopo aver guardato tanto, forse troppo. Occhi troppo abituati al mondo e dal mondo disincantati, occhi vitrei che di questa vita più nulla possono e vogliono vedere, già dirette, le pupille, a guardare quello che dopo questa vita verrà.
Io mi vedo però, seduto dietro, nello specchietto retrovisore.
Un'anima pesante, pesantissima, di cuore e di esperienza, stipata in 30 chili di corpo. Il tempo è stato una madre violenta e vorace, che tutto mi ha dato ma che poi tutto s'è ripreso, adesso financo la carne.
Il viso scarno, la pelle pendente che ricopre ossa fragili, una camicia bianca troppo grande che puzza di me, perchè i vecchi puzzano sempre, di ricordi e di solitudine, manine da bambino, oggi, manine che un tempo, sembra incredibile, erano mani grandi e forti, e buone, mani che accarezzavano, colpivano, acchiappavano, mani che sentivano, mani che scaldavano.
Ma era tanto tempo fa, quando il vino sapeva di vino e il pane di terra.
Tanto tempo, tanto tempo che la memoria ha fatica a ritornare.
Passa un giovane, uno dei tanti, uguale agli altri, nel vestire, nel camminare. Mi guarda con sufficienza e se ne va.
Cosa ne sai tu? Cosa ne sai tu, io mi chiedo.
Cosa ne sai del mio cuore, di ciò che ha sentito? Cosa ne sai degli alberi da frutta che ho coltivato, piccoli e indifesi e ora più forti di te? Cosa ne sai di quella Domenica di festa o della mia acqua di colonia? Cosa ne sai della fame e dell'arsura? Cosa ne sai di Maria?
Maria...
Maria, piccolo e tenero amore di un vita. Cosa starai pensando da lassù? Di me, chiuso in questa scatola di metallo, di tuo figlio, che mi ci ha recluso, intento com'è a dis
Come spesso accade nei posti dove le teatralità sono molto di moda quel giorno una pioggia incessante batteva la città alla quale mi rifiuto di attribuire un nome. Il cielo si era oscurato improvvisamente e le prime gocce avevano iniziato a bagnare l'asfalto nello stesso momento in cui Helen era uscita di casa per svolgere dei lavori che non conosco. Correva e rideva sonoramente sotto la pioggia sperando di schivare le gocce più fredde che andavano a infilarsi proprio sotto il colletto della sua camicetta.
Nelle giornate di agosto non dovrebbe mai piovere così ma quando accade, è sempre un gran divertimento.
Il rifugio più vicino fu trovato sotto una tettoia smorta e innaturale che sembrava urlare a tutti i venti il suo ruolo di riparo. Quella tettoia doveva sicuramente essere molto orgogliosa quel giorno, stava infatti donando riparo a Helen, i suoi capelli neri saettavano mossi dal vento lasciando andare le fragili gocce d'acqua che con speranza si erano attaccate a lei. I suoi occhi andavano cercando nel buio di quel giorno una piccola fonte di luce che sicuramente avrebbe provocato la sua più sincera ilarità.
Accade spesso in questi momenti che un incontro anche banale arrivi direttamente dal cielo a graziare la vita degli eroi descritti nella storia. Lentamente, infatti, si faceva strada tra la pioggia impetuosa il giovane Matthew. Dodici anni di puro sarcasmo e superbia, altezza nella norma e delle bellissime scarpe che ora erano costrette a trattenere il respiro sott'acqua quando qualche pozzanghera veniva calpestata.
Inutile dire che trovò anche lui riparo sotto quella tettoia e scorgendo la bella Helen (di almeno dieci anni più grande)le si avvicinò.
Helen lo fissò sbalordita, di certo non pensava che un ragazzino della sua età avesse l'intenzione di rivolgerle la parola.
Helen continuò a osservarlo con un sorriso ironico sul volto. Che ricordi poteva avere un ragazzino di quell'età?
La ragazza si trovò punta dalla voce scottante del
"Tano"... pronuncio il suo nome a bassa voce, accarezzandolo sul dorso.
Lui ha lo sguardo rivolto verso di me; rimane a guardarmi, con un' espressione triste.
Poi socchiude un po' gli occhi.
Il muso poggiato sul suo cuscino, le orecchie all' indietro e il corpo raccolto.
é strano per me, vederlo così mogio.
Oggi, Tano non si sente molto bene : una tracheite lo affligge e frequenti accessi di tosse, lo fanno soffrire e gli provocano dei rigurgiti.
Anch'io, soffro con lui e decido di portarlo dal veterinario che, visitandolo, mi rassicura.
Una settimana di antibiotici e tornerà "come nuovo"!
Un simpatico meticcio, di circa quattordici chili, bianco, con una pezzatura nera.
Snello e vivace, è molto agile nonostante i suoi otto anni, che per un cane rappresentano già un' età di tutto riguardo.
Affettuoso, e con una certa propensione all' indipendenza, ha un aspetto da bandito, con quella mascherina nera sugli occhi, che prosegue fin sulle orecchie dritte, che si muovono come radar.
Il suo pelo, di lunghezza media, è più lungo all' altezza del collo; una grande coda, anch' essa bianca e nera e ritorta a destra, gli dà un' aria da cartone animato.
"Fermo" dicevo, mentre lui seduto al mio fianco, con i muscoli frementi, resisteva all' istinto predatorio osservando la piccola palla che si allontanava.
"Vai", ed era libero di scatenarsi all' inseguimento dell' oggetto ancora in movimento.
Giocavamo per ore, e alla fine ero io quello stanco; lui, con l' energia del cucciolone, avrebbe continuato a oltranza.
Il nostro legame diventava ogni giorno più stretto.
Ho imparato tanto : suoni, atteggiamenti, modi di comunicare, il piacere di restare insieme, anche senza fare niente.
Adesso Tano non è più attirato dalla palla, ma di tanto in tanto, se la prende con qualche insetto che gli ronza intorno, certo per dispetto!
Mi diverte, sentire il rumore netto delle mascelle che si serrano, nel tentativo di catturare l' intru
Massimo sarebbe arrivato in ritardo, Valeria lo sapeva.
Era riuscito a prendere il treno solo alle sette. Bologna di mattina gli era sempre piaciuta: la poca gente che girava per i portici lo faceva piano, in silenzio, per non incrinare quella calma asciutta e spettrale. Era come se stesse facendo una passeggiata il papa: intorno, tu non dovevi comunque esserci, sarebbe stata una presenza inopportuna.
Alle otto e mezza stava già in stazione a Padova.
Ricordò le istruzioni: fuori della stazione, la linea blu per Sottomarina. La fermata stava a sinistra, rispetto a quella delle linee cittadine, un po’ defilata.
“Chiedi all’autista, per la fermata, ti raccomando” aveva detto Valeria al telefono.
“Piove di Sacco, per l’ospedale” aveva precisato.
Massimo stava pensando a che portare per il viaggio: un libro, della musica da ascoltare.
“Ci mette mezz’oretta” lo aveva rassicurato lei. C’era già andata più volte, per le visite e tutto il resto. Lui l’aveva accompagnata in una sola occasione.
L’autobus tardò, giusto il tempo di lasciare Massimo nelle sue indecisioni. Prima o poi avrebbe dovuto cominciare a studiare per l’esame di filosofia morale: allargò le gambe e le distese lungo il marciapiede, cercò di tenersi in tensione, poi inclinò la testa da un lato ed inspirò forte. Trattenne il respiro. Qualcosa era rimasto in sospeso. L’autobus era arrivato. Cacciò fuori dai polmoni l’aria vecchia, si alzò e prese il suo posto a sedere.
Il viaggio fu piacevole. Fuori le finestre, ottobre stava per finire. Il mattino odorava ancora di calma. Il cielo era terso; non c’era freddo.
Rovistò un attimo fra le cose nello zaino, finche non sentì in mano la forma circolare del lettore cd. Aveva il viso piegato da un lato, appoggiato sul guanciale del sedile davanti: contava le macchine che riuscivano a passare l’autobus in quella strada stretta. Aspettò un poco, poi rimise tutto a posto. Tirò su il busto in posizione eretta,
io, ho semplificato. perchè la cosa difficile è quando devi scegliere. scegliere significa.. eliminare tutto il resto. è un pensiero che mi sgomenta, l'eliminazione, mi depaupera, mi disconnette... da un sacco di cose.
lo so, che non sei d'accordo Eli.. comunque ti piace "mi depaupera"?
sì, a scegliere mi sento un po' più povera. dopo.
Enrico incontrò Deanna e lì per lì s'innamorò. Deanna vide Enrico e di Enrico subito si dimenticò.
“Pronto?”
“Ciao Deanna, se tu solo sapessi come mi ha fatto piacere conoscerti.”
“Chi è al telefono?” domandò Deanna.
“Sono Enrico, ci siamo incontrati questa mattina!”
“Enrico?”
“Enrico. Ero con Antonio e Stefano, giù al porto.”
“Ah sì, Antonio e Stefano pure, sì...”
“Beh, ho pensato di telefonare, ” disse ancora Enrico.
“Hai fatto bene Enrico.”
“Non s'incontrano spesso persone come te.”
“Cosa vuoi dire?”
“Mi sei subito piaciuta, vorrei conoscerti meglio Deanna.”
“Grazie per il complimento, ma non credo…”
“Senti, che ne diresti di una pizza?”
“Ho già mangiato grazie. Un'altra volta, forse.”
“Non ti ricordi di me, vero?”
“Sì sì, certo; giù al porto questa mattina, eri con Antonio e Stefano…”
“Io dovevo finire con il mio lavoro... altrimenti sarei venuto volentieri con voi.”
“Ah, peccato; ci siamo divertiti un mondo alle giostre...”
“Ci possiamo rivedere Deanna?”
“Certo Enrico, chiamami settimana prossima.”
“Sì, Deanna, mi ha fatto piacere parlarti.”
“Pure a me, ciao Enrico.”
“Ciao ciao.”
“... Enrico? ”
“Su dai Antonio, mettimelo in bocca, adesso.”
“Enrico?”
“Hmm... era con voi, che ne so io. Stefano! non fermarti, infilamelo dentro di più. Più forte accipicchia.”
Enrico entrò in doccia e strofinò per bene la pelle con acqua e sapone; dopo una giornata di lavoro il puzzo di pesce gli rimaneva addosso. Insaponò per bene il petto, la pancia, i fianchi, le cosce, poi le palle e il pene e incominciò a masturbarsi.
Questa sezione contiene una serie di racconti brevi, di lunghezza limitata all'incirca ad una videata