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Racconti brevi

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Il mio ultimo saluto sdrammatizzante

L'universo degli "scrittori" non è dissimile da quello dove le belve si acquattano, in attesa di prede facili da azzannare, perché chi scrive lo fa per dire la sua, e la sua non è quella di un qualsiasi predatore che accattona servile, allo scopo di sfamare la propria prole divorando quelle altrui, no no, chi scrive è convinto di eccellere, e se non ne fosse convinto farebbe un lavoro certamente più remunerativo, tipo macellare le bestie uccise da altri. Così non c'è da meravigliarsi che la giungla virtuale sia un luogo di pace apparente, dove tutto tace perché i predatori trattengono il fiato, evitando persino di grattarsi, allo scopo di attirare l'ignaro debuttante per farlo a pezzi.
La giungla virtuale non è che inizi alla cazzo, c'è sempre un'anticamera nella quale ci si presenta, e sarebbe sempre consigliabile evitare di dire quanta carne si ha addosso, perché occhi che illuminano il buio soppesano i nuovi arrivati, e se la ridono al loro affannarsi nel cercare di essere innovativi nel presentarsi.
Ognuna di queste arene selvagge ha il suo capo branco, il quale si serve di alcuni capi classe, chiamati moderatori, per far rispettare l'ordine.
Il debuttante, felice di essersi presentato in un modo creativo al mondo che lui crede sia il tinello dell'editoria, contento di averlo fatto evitando lo stringato e banale "ciao a tutti", sostituito da un "sono nuovo" oppure un "eccomi quà" sbagliando subito a mettere l'accento sulla a; il debuttante, stavo dicendo, si inoltra ignaro nel folto dell'avventura, commettendo il suo secondo tragico errore: la pubblicazione della sua migliore storia, quella che persino alla riunione condominiale è riuscita a strappare qualche consenso.
Le belve non aspettavano altro per sentirsi in pace con la propria coscienza, ma non attaccheranno subito, perché farlo significherebbe accorciare il delirio che il sabba attraversa, per sfociare nell'estasi data dallo sbranare senza essere affamati.
Lo scrittore non è un pir

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   6 commenti     di: massimo vaj


La realtà

Mi hanno detto che te ne sei andato. Non avevo calcolato nulla, non avevo pensato, non avevo previsto.
A volte ci si può incolpare anche di questo. Quando le cose sono più grandi di noi pensiamo che la soluzione migliore sia incolparsi del non essersi resi conto.
Come avrei potuto questa volta? Ho sentito un vuoto enorme. Un tonfo. Un tonfo forte e silenzioso. Tutte le altre volte che è successo la prima impressione era quella di vivere un incubo. Quel giorno no, era tutto reale. Non ho smesso un attimo di vederla la realtà,
di viverla sulla mia pelle. Non ho smesso un attimo di sentire singhiozzi reali, di guardare il vuoto che avevano dentro. Era tutto davanti ai miei occhi. Persino il fatto che ormai indietro non si poteva tornare era chiaro, limpido, come mai prima.



Andrea lo scemo

Andrea ha sedici anni -quasidiciassette- no perché è bene sottolineare questo dettaglio che tanto dettaglio non è, anzi, fa proprio la differenza. Vuoi mettere uno del '97 con quegli sfigati del '98? Per carità... che orrore! Frequenta l'istituto superiore Giacomo Leopardi - indirizzo artistico.
Andrea è alto, almeno un metro e ottanta - e massiccio, forse supera gli ottanta chili, ha dei capelli biondi come il grano, e due occhioni chiari tendenti al celeste. Pare la gigantografia de 'Il Piccolo Principe'. Andrea tutto questo non lo sa perché è nato con una forma di autismo piuttosto accentuato. Che se la sorte non gli fosse stata così avversa, sarebbe diventato sicuramente il più figo dell'istituto, quello che 'limonava' più di tutti, sarebbe stato perfino invidiato dai suoi compagni e a volte pure odiato, tant'è bello. Ma Andrea questo non lo sa. Tra i suoi compagni (?) si sono formate delle strane coalizioni, dico strane, perché per essere nel terzo millennio, sono davvero strane e incomprensibili. C'è il gruppo che lo ignora, perché ignorare è meglio che affrontare. Mette meno paura.
C'è chi lo chiama 'quello scemo', c'è chi lo sopporta e basta. Lo chiamano 'quello scemo' perché, come gran parte delle persone autistiche, apre e chiude in continuazione le porte delle classi, dei bagni, delle bidellerie. Oltre a questo Andrea non parla, gesticola appena, o meglio 'mugula qualcosa'.
Eppure, a un occhio più sensibile, Andrea non è così incomprensibile. Manifesta gioia e fastidio, eccome se li manifesta! Quando qualcosa e soprattutto quando qualcuno non gli è gradito, incrocia le mani sopra la testa in una posizione che sa di 'chiusura'. Significa 'non mi piaci, non mi sei simpatico'. Le persone autistiche hanno questa grande libertà di fregarsene delle etichette, degli atteggiamenti filosofici del 'facciamo finta che...'. Per Andrea esiste il sì o il no: non ci sono 'nì'. Conseguentemente risultano essere, a modo loro, le persone

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   16 commenti     di: Ely xx


La Donna Eterna

È difficile l'inizio, quando si parte in dubbio, in difficoltà o in smarrimento. È difficile l'inizio quando le idee non sono chiare per nessuno. Non sono chiare per te, le idee, nè per chi ti sta intorno.

Scrivere l'aiutava ad assopire il dolore, scrivere era l'unica cosa che la faceva sentire viva, era la sua vita. E benchè non fosse l'unica cosa di cui si occupasse, la cosa che amava di più al mondo durante il periodo della sua giovane e vecchia età era scrivere. Scrivere per se stessa, per gli altri, per chi non avrebbe mai letto, per chi la leggeva di continuo, scrivere per il mondo.. scrivere.
La mano andava da sé, e la penna era come una bacchetta magica:sfornava magia, la sua mente, anche se in gabbia, era capace di sfornare magie, magie di spirito. Chi altro poteva esserne in grado se non lei?
Era magica, lei e di seguito chi le stava attorno. Vedevi la folla, in mezzo alla città, e lei in mezzo, e non guardavi nessuno se non lei, appariva una sorta di luce, e lei al centro e gli altri che le facevano da cornice. Era avvolta dall'aura del mistero ed era... così affascinante, oh se lo era!
Non le piaceva la città, non si sentiva a suo agio. Avrebbe preferito di gran lunga stare nei posti della natura, in riva all'oceano magari. Stare in riva all'oceano è come stare in riva alla vita, come stare a galla e nello stesso tempo affondare, come stare accanto a un mostro e il secondo dopo vedere l'amore, poi vederlo tradirti e di nuovo abbracciarti. Stare sdraiato sulla sabbia, e sentire solo il mare era come stare nel suo paradiso immaginario. Creatura divina e di umano aspetto..
I capelli rossi, lunghi, mossi.. gl'occhi neri. Ogni suo movimento, era come il movimento di una maretta: ti travolgeva d'improvviso. Ti scombinava i pensieri, il cuore, i ricordi. E avevi continui e inaspettati deja-vù che venivano da chissà dove, e capivi che lei, e solo lei sulla faccia di quel pianeta, era in grado di poterti denudare con uno sguardo

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   2 commenti     di: Federica.


La bisessualità standard

La "bisessualità standard", almeno per come l'ho conosciuta io, non è la capacità di un essere umano di amare un altro essere umano indipendentemente dal suo sesso, dalla sua identità sessuale o dal suo orientamento, ma bensì il soddisfacimento di una becera voglia sessuale con il primo "essere umano", uomo, donna, trans che sia, a tiro.

Provo a spiegarmi meglio con un mio "raccontino":


Me lo vedo passare davanti, sul treno che sfreccia, e che non vedo l'ora che si fermi per lasciarmi salire: voglio raggiungerlo! È un giovane uomo con gli occhiali e che indossa una ridicola tuta arancione o gialla, non ricordo. Il tipetto in questione ha proprio un incredibile fascino mediterraneo.
Salgo sul treno e raggiungo fremente il suo vagone, e trovo il modo di farmi notare, prima di andare al "cesso" lasciando la porta, ovviamente, aperta dietro di me. E come nei più insperati successi lui viene a sbirciare. Ma non entra. Forse la mezza nudità, dalla vita in giù, di un maschietto spaventa molto questi "bisessuali standard". Mi bisbiglia timidamente:

"Dove scendi? A Lecco?"

Gli dico di no e se ne va.
Non mi arrendo. Lo raggiungo. Mi siedo di fronte a lui e iniziamo a parlare di cose veramente inutili.
Ma ad un certo punto non ce la faccio più a trattenermi e sbotto:

"E Perché te lo continui a toccare?".

Lui sorride. Un sorriso veramente amabile.

"Lo sto massaggiando. Mi rilassa. Vuoi provare?"

Io che in questi casi adoro fare l'oca.

"Provare a fare cosa, scusa?"

Se lo tira fuori, con fare malizioso, da quella sua ridicola tuta fosforescente come se nulla fosse.

"Ma non è un granché grosso!" Dico io, che in questi casi adoro fare lo stronzo.

"Sì ma non è alla sua grossezza massima!"Mi fa lui, sorridendo.

Gli faccio una sega, ma, siccome alla fine i giochini di mano, anche se li sto facendo a ventitreenni carini come questo qua, dopo un po' mi annoiano, mi inginocchio per far altro.
Ma dopo un po' mi se

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   27 commenti     di: frivolous b.


Poldino

Lui è il metronomo che scandisce i tempi sulla statale dodici da Pievepelago all'Abetone. Ci potresti rimettere l'orologio per quanto è puntuale nelle sue tappe.
Si chiama Leopoldo ma lo chiamono Poldino, tanto da pensare il nomignolo derivante dal personaggio nel fumetto di braccio di ferro divoratore di hot dog a cui somiglia fisicamente.
Ogni ora è al suo posto, ogni posto ha la sua ora con qualche compito di contorno durante il tragitto come aprire una saracinesca di una assicurazione di primo mattino, consegnare i giornali dall'edicola ai bar del paese e riempire la raccolta differenziata vetrosa di un ristorante alla sera.
Guai a chi lo facesse per lui!
Quando l'elettrificazione del sistema gli tolse il compito di campanaro della chiesetta di San Michele se lo legò al dito. Da fervente cattolico apostolico romano passò all'avversità più spiccata verso la religione, la chiesa ed i preti e da allora salta regolarmente le tappe delle chiesette, che un tempo faceva raccogliendosi in devota preghiera, come ritorsione per lo sgarro fattogli.
La sua passeggiata mattutina, alternando bus, camminata e vari bar, lo porta a percorrere il lungo nastro di catrame fino alle piramidi di Ximenes volute dal granduca suo omonimo per dividere i ducati di Modena e Toscana sulla via Giardini che un tempo segnavano il confine regionale prima della creazione fascista del comune dell'Abetone e la divisione della frazione di Faidello in due comuni diversi, due province e due regioni.
Fa ritorno a casa per il pranzo che la sorella gli prepara, una piccola pausa prima di ripartire instancabile per il suo percorso pomeridiano, preciso e puntuale come un orologio svizzero d'Appennino con il suo cappellino da baseball, le enormi bretelle rosse che sorreggono i pantaloni a vita alta sormontati dalla variopinta camicia quadrettata.
Al bar di Dogana Nuova spesso gli offrono da bere che a volte rifiuta per non appesantire il suo indefesso incedere; come il palo della banda de

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Almost Blue

Corse a perdifiato lungo il viale, facendosi strada tra la folla, oltrepassando con prepotenza la routine della città.
Mancavano dieci minuti al colloquio.
Il posto non era più così lontano, ma arrivare con anticipo è sempre un buon segnale.
Almeno così pensava Carlo.
Dopo tanti curricula spediti, finalmente una risposta celere e sincera.
Eccolo, il semaforo.
Oramai era arrivato: dietro l'angolo il portone, poi secondo piano, terza porta sulla destra.
Le descrizioni di Angela, l'amica del cuore, erano sempre impeccabili.
La corsa folle di Carlo venne interrotta dal rosso del semaforo.
Riprese fiato.
Guardò l'ora. Si sistemò i capelli, ancorò con maggior sicurezza la borsa alla spalla sinistra e si perse ad osservare intorno a sé in attesa di poter attraversare.
Prese una mentina, la scartò, cercò un cestino per gettarne la carta. Ce n'era uno proprio sotto il semaforo.
Fu allora che la vide, fredda e silenziosa, quella piccola bottiglietta d'acqua blu.
Tutto si fece rapido, insolente. I pensieri si accavallarono senza possibilità di dar loro freno.
Carlo era di nuovo a quel pomeriggio d'inverno.
Avvertì la paura, le parole violente di lui, il fiato corto.
La bottiglietta blu lo aveva reso inerme nel corpo e nell'anima: immobile di fronte all'inevitabilità del suo ricordo.
Il litigio, poi quel gesto indelebile nella sua mente: la bottiglietta d'acqua blu scaraventata sul volto di Giorgio, una bottiglietta come quella nel cestino, anzi, proprio quella, sembrò pensare Carlo.
Il sangue dal naso, lo sguardo incredulo, le lacrime, infine l'addio.
Il semaforo divenne verde, Carlo voltò le spalle al suo futuro e tornò lentamente verso casa.

   1 commenti     di: Mirko Zullo



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Questa sezione contiene una serie di racconti brevi, di lunghezza limitata all'incirca ad una videata