Tic-tic, i secchi passi della donna risuonavano sotto la finestra di Helmut.
– Ma è possibile che ogni volta che senti quel rumore ti devi girare! – imprecò Beatrice.
– Hm – fece Helmut.
– Tic-tic – punzecchiò offesa Beatrice e tirò sul lenzuolo.
– Beatrice – disse Helmut.
– Che c’è?
Con fatica Helmut si alzò, e avanzò nudo davanti la finestra. Guardò di fuori e le disse:
– Beatrice, ogni volta che sento quel tic-tic sento dentro di me l’irresistibile stimolo di lasciare questo fottuto appartamento e squagliarmela lontano da te.
– Oh!
Beatrice si tirò su e si girò verso Helmut – ma dove vuoi andare con quelle chiappe flosce.
– Senti Beatrice – proseguì Helmut continuando a guardare fuori dalla finestra – porterò con me le mie chiappe molli, non posso farci niente ma almeno non mi toccherà più di dover ogni giorno sopportare le tue.
– Che villano che sei Helmut, ritorna a letto!
– Su quel letto le mie chiappe non le metto più Beatrice.
– Oh, adesso fa pure l’offeso, poverino.
Un tic-tic echeggiò di nuovo sulla strada.
– Helmut! Ritorna a letto!
– Beatrice ti lascio; cambio donna, vado a cercarmene un’altra...
– Ma senti questa, e chi ti vuole poi, Helmut!
– Saprai cavartela. Meglio di me Beatrice.
– Quelle sono tutte puttane! Non lo sai che più alto è il loro tacco, più basso è il loro quoziente d’intelligenza?
– Questo lo dite solo voi donne.
– È così Helmut; non andare a cacciarti in pasticci inutili. Finiamo assieme i pochi anni che ci rimangono. Siamo in età avanzata, fuori moda; è così.
– Per te sono solo un vecchio con le chiappe flosce.
– Proprio così Helmut, sei un vecchio con le chiappe che fanno schifo. – Beatrice si era messa a piangere, poi aggiunse piano: – ma io ti amo. Dovresti essermi riconoscente.
– Tu non mi hai mai amato, Beatrice.
– Ce la siamo cavata fino ad oggi. Perché voler cambiare ora?
– Forse abbiamo sbagliato, Beat
La pausa pranzo è il momento che più aspetto quando mi capita il turno pomeridiano, soprattutto quando il mio compito è quello di sostituirmi a un semaforo che ha deciso di sconvolgere per qualche ora il già nevrotico traffico della città.
Clacson, urla, bestemmie. E io lì. In mezzo all'incrocio ad allungare braccia e braccia per regolare il transito di macchine e macchine e macchine e macchine. Ma è il mio dovere. E godo nel svolgerlo. Il senso della giustizia che papà mi ha trasmesso non è sufficiente a spiegare la mia abnegazione per questo mestiere.
Eppure stranamente il poliziotto della locale (la vecchia municipale) viene visto alla stregua di un frustrato perditempo, pronto a succhiare soldi ai "poveri" automobilisti già troppo stressati dai ritmi a cui il capufficio li sottopone.
Fortunatamente oggi il semaforo che ha peccato di anarchia si trova vicino al parco in cui sono adesso, seduto sulla panchina a mangiare il mio bel panino con prosciutto crudo, mozzarella e salsa cocktail.
Un attimo di pace.
Una giornata caldissima.
Proprio quando sto per dare l'ultimo morso alla baguette vedo con la coda nell'occhio un veicolo parcheggiato in mezzo all'aiuola principale del parco.
Scende un tipo, che comincia a guardarsi intorno consultando di tanto in tanto una cartina.
Questo è scemo.
Non mi posso nemmeno godere un'ora di pranzo. Il dovere mi chiama. Mi rimetto il cappello e con camminata decisa mi dirigo verso il corpo del reato. Man mano che mi avvicino realizzo che il tizio è uno straniero, sicuramente di un altro continente.
- Buongiorno.
- Buongiorno - mi risponde distrattamente.
- Buongiorno.
- Buongiorno.
Continua a far finta che io non esista.
- Buongiorno.
- Cosa c'è?
Lo scemo è proprio scemo. Mi conviene assecondarlo.
- Tutto bene?
- Potrei stare molto meglio. Mi sono perso, mi puoi aiutare?
Ammetto che sto diventando nervoso. Io questi stranieri non li sopporto. Soprattutto quelli come questo, che sanno
- Mannaggia quirr puorc!
bisbigliò Mario digrignando i denti, mentre assorto guardava l'orizzonte. Il cielo era terso e poche nubi diafane carezzavano la volta celeste, conservando l'espressione di fugaci spettri ammutoliti dalle stelle. Una ferrosa bora primaverile soffiava leggera da sud, inerpicandosi in rivoli nodosi tra gli steli dei fiori. Ondeggiava con enfasi tra i rami dei tigli appena fioriti. Gli occhi di Mario, pensierosi e cupi al rossore del cielo, parevano rasserenarsi al dimesso canto del vento, fuggito in lontananza verso qualche campanile, dove il frenulo nascosto delle campane s'assopiva alla solennità di quel fischio greve.
- Mannaggia quirr brutt puorc 'schfus!,
riattaccava Mario avvolto da magistrale cupezza, trascinandosi pesantemente nelle scarpe lustre, con passo cadenzato e lento. L'avvolgeva, festiva come sempre, la brezza del mare di Napoli, che da secoli rinfrescava le menti dei giovani turisti del porto. Gli lisciava con accortezza le tempie e gli sparuti capelli, in cerca di un fugace pensiero d'allegrezza, ma il gaudio di quella frescura era solo l'ennesima lama affilata, giacché, da che si era incamminato, una sola parola feriva la sua testa. Bannato!
Il baccano di un dattero di mare, scoperto in solerte corsa dalla spiaggia alle onde, s'offuscava nella profondità dei suoi pensieri e qualche bestemmia fioriva sulle labbra come una peonia si schiude nei primi giorni di maggio.
Mortimer cercò una panchina libera. Ne trovò una sotto un albero maestoso, si avvicinò ad un lato e ci si sedette; si stava bene, l’aria era pulita, anche la giornata sembrava pulita. Pensò di aver scelto una buona giornata.
– Ciao sono Lucia – disse la voce di una bimba.
– Ciao Lucia – rispose Mortimer.
– Vuoi giocare con me?
– Mi dispiace, sto giocando con Mr. X.
– Mr. x?
– No, Mr. X.
– E chi è?
– È uno che mi deve ammazzare prima di sera e ora mi starà cercando dappertutto.
– Oh... allora giochiamo domani?
Per gli alunni delle scuole elementari medie e superiori di Lumezzane e zone limitrofi.
L'ultimo suono della sveglia, seguito dall'urlo della mamma, alzati è tardi devi fare colazione non vorrai arrivare in ritardo anche l'ultimo giorno di scuola.
I giorni precedenti la preparazione dello zaino, con tutti i compiti senza dimenticare possibilmente nulla fino all'ultimo minuto.
Preoccupandosi al come vestirsi per fare che i compagni notino la felpa o maglietta nuova più di moda.
Il peso dello zaino, l'ultima lezione magari anche noiosa, l'ultima verifica, che ormai ti lasci alle spalle.
Ma è finalmente finita si arriva alla fine esausti, l'ultima campanella, che si conclude con una festa per salutare l'insegnanti amici e l'anno scolastico.
Poi a breve la consegna delle schede di valutazione, cioè le pagelle, seguite da pianti dei promossi e dei bocciati, con la promessa che l'anno futuro sia migliore.
Ma purtroppo non è finita per tutti, per quelli di terza media e superiore ci sono gli esami e la maturità, poi per Dottori Infermieri Professori ecc, ci sono i corsi di aggiornamento, per aspirare a posti e lavori migliori.
Quindi ci resta solo fargli i migliori e affettuosi auguri per fare in modo che li passino nei migliore dei modi e con tranquillità.
Auguri a tutti gli alunni.
Fa freddo. Apro gli occhi e subito sono proiettato in questa nuova giornata. Ho capito perchè ho freddo. Ho dormito in questo parco, cazzo. Non ricordo quasi nulla di ieri sera, ed ho un tremendo mal di testa. Sono anche un po' incazzato con me stesso, non si puo' finire una serata in questo modo. Raccatto i miei stracci e cerco la via d'uscita. Scavalco il cancello ed eccomi nelle strade tristi e bagnate della periferia milanese. Sono abbastanza conciato. I pantaloni sono sporchi di fango, anche il bomber, e da come mi guarda la gente per strada anche la faccia non è messa bene. Nelle tasche trovo un pacchetto di sigarette... è vuoto, no anzi, ce' ne una mezza. Il mezzino che fa puzzare il pacchetto di solito, ora non svolge il suo compito perche' il pacchetto e' stato spinto a morte certa in mezzo alla strada.
Aspiro il poco tabacco a mia disposizione mentre cammino con passo stanco verso la stazione. Entro nel cesso, una latrina infernale. Piscio, lascio quel poco che è rimasto nel mio stomaco in un paio di conati di vomito. Mi guardo allo specchio, ho un apsetto terribile... normale. La vita non ti da il tempo di vivere, solo di rassegnarti. Con un po' di fortuna riesco a tornare a casa, un bel viaggio silenzioso nei comodi cessi della nord.
Sento ancora nelle narici rimasugli di anfetamina presa la sera prima, bruciano ancora un po'. Tornato a casa metto su un po' di musica e mi faccio una doccia calda. Mangiucchio qualche cosa trovato in frigo insieme a un po'di pane secco, di tre giorni fa.
Corro in un supermercato e compro qualcosa:
BIRRA CALSBERG SCONTO DEL 40% EURO 0. 79
MELE EURO 1. 20 KG
BURRO...
eccetera eccetera eccetera...
Mi ingollo 2 calsberg in un minuto, seduto in piazzetta. Mi rimane una bottiglia di brandy di quarta categoria. Ed è sempre la solita storia. A me poi il brandy mi tira fuori la parte peggiore. Divento uno psicopatico, rissoso e molesto. Una volta, dal nulla, ho tirato una latta ad un tizio
quello che state per leggere, voi, lettori di cose anche mediocri come il testo che avete appena iniziato a leggere, perché mi dispiace dirvelo ma state leggendo se avete appena letto fino a qui, e continuerete a farlo, se potrete leggere la seguente parola: biscotto. é una parola che non ha senso in questo contesto (che poi cos'é il contesto? chi dice che una cosa é fuori contesto e l'altra invece no?), ma é per farvi capire che se l'avete appena letta allora state perdendo tempo prezioso per leggere questo breve scritto. non avete proprio niente di meglio da fare? qualora commenterete questo racconto, per favore ditemi che cosa stavate facendo prima di leggere questo racconto o perché avete lasciato qualsiasi cosa faceste per dedicare alcuni secondi alla lettura di questa cagata. perché di questo si tratta. questo é un racconto improvvisato, é scritto di getto, non ha correzioni, nemmeno per una volta sono tornato indietro a vedere cosa avevo scritto. di sicuro avro'commesso errori grammaticali, se non é successo si tratta di sicuro di un caso. ci saranno sviste, punteggiatura sbagliata. non é un racconto improvvisato soltanto dal punto di vista dell'attenzione stilistica-ortografica, lo é amche dal punto di vista contenutistico. é un racconto che non parla di qualcosa di preciso, anzi non parla proprio di nulla. non racconta nulla. quindi forse non andrebbe nemmeno chiamato racconto. a meno che dire tutto quello che ho detto finora non sia, in qualche modo, raccontare.
Questa sezione contiene una serie di racconti brevi, di lunghezza limitata all'incirca ad una videata