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Racconti brevi

Pagine: 1234... ultimatutte

Raccolta differenziata

"Ieri non c'era. O forse non lo avevo notato, preoccupato com'ero a trovare i dollari che mi mancavano per pagare il debito con Frank. Oggi invece l'ho visto bene, proprio bene: mi domando come ho fatto a non notarlo prima. Fingo di ignorarlo, debbo pur sempre risolvere il mio problema principale. Frank è un amico, un buon amico, non s'incazza quasi mai, ma quando s'incazza... Dio, non voglio pensarci! Non posso più chiedergli una dilazione. L'ho già fatto troppe volte. L'ultima me lo ha detto chiaro e tondo: ora basta, o mi paghi o...! Cosa intendeva non è difficile capirlo, conoscendo Frank. Mi ricordo di Daniel... eccome se mi ricordo. Sarà per questo coso, questa novità, ma non riesco a pensare in modo concreto. Sto divagando con la mente. In fondo Daniel non era un suo amico, per lo meno non come lo sono io. Quante sbornie e quante puttane insieme col vecchio Frank! Non riuscirei a contarle! E poi me l'ha anche detto, quella volta che uscimmo dallo Zanzibar dopo aver steso quei due fottuti marinai norvegesi... io, a te, le mani addosso non le metterò mai! Rischierei di farmi del male. Però quel coso non è poi niente male. Dev'essere un modello nuovo. Quello vecchio me l'hanno portato via. Sarà stato qualche barbone che voleva farsi la cuccia per la notte. Ci hanno messo un bel po' di tempo, quelli del Comitato di Quartiere, ma alla fine... Saranno quattro mesi, anche più, che ho fatto domanda. Mi ricordo, c'era anche Frank quando sono andato a compilare il questionario. È proprio vero che gli amici veri si vedono nel momento del bisogno. Frank lo sa che non me la cavo troppo bene con una penna in mano. Preferisco un coltello, meglio ancora una pistola! Quasi quasi lo inauguro subito. Sono tre giorni che ho quelle teste di pesce in frigo. Ai soldi ci penso dopo... tanto per quel che vale pensarci: mica spuntano dal nulla."
Burt aprì con cautela il frigo, cercando di non inalare il tanfo che si sprigionava dal pacchetto, raccolse in

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Lentezza

Una goccia trasparente, lentamente, cominciò a scivolare sulla verde foglia carnosa.
Come una lente, mostrava al suo passaggio i particolari delle fibre, tingendo di smagliante smeraldo il suo interno. Pigramente si abbandonò, lasciandosi cadere fino alla costa centrale. Strisciò senza fretta, un’umida scia restava ad illuminare la strada percorsa.
Adagio raggiunse la fine, restò sospesa il tempo di un respiro per poi lasciarsi andare, leggera, nel vuoto, ricomposta in perfetta sfera, riflettendo l’intorno, morbidamente in volo.
Le mani seguivano il ritmico movimento della schiena procurato dal respiro, ascoltavano il tepore del lento scorrere del sangue sotto la pelle. Presero a muoversi lungo la colonna, senza fretta raggiunsero le natiche, le accarezzarono, le strinsero a fondo, con calma e fermezza, quasi a cercare il confine del dolore. Si sciolsero a poco a poco lenti fiumi di piacere e d’ ebbrezza, gradualmente uscirono dagli argini. Le dita li raggiunsero, si intinsero, si inebriarono del loro profumo, si scaldarono al loro tepore, a rilento cercarono, trovarono ed esplorarono angoli nascosti, schiusero senza fretta ogni piega, ogni anfratto. Un lago calmo di voluttà proteggeva l’entrata. Il membro, turgido ed eretto controllando la sua forza vi si immerse, pacatamente sparti le acque, le dighe si sgretolarono. Spinse ancora più in fondo, cercando l’abisso mentre a poco a poco l’onda cresceva, sempre più alta fino a chè, esausta, con fragore si disfece ricomponendo le acque nell’immenso infinito oceano dei sensi. La goccia dolcemente si posò al suolo, si disciolse nella terra e lentamente ricominciò il suo viaggio.

   15 commenti     di: Monica d


I colori dell'animo II

Ricordo ben poco della fine di quella mia estate, dopo che ricevetti il cofanetto da Regina. Il giorno di quell'inaspettato regalo, non appena misi piede in casa della nonna ricevetti una chiamata da mia madre.
Capìì subito dal suo tono che c'era qualcosa che non andava, mi tenne al telefono per ben 3 ore, ricordo il mio cellulare incandescente mentre lo tenevo vicino all'orecchio. Con parecchi giri di parole, tra lacrime e singhiozzi mamma mi disse che papà aveva fatto un "brutto investimento" lavorativo, che avevamo perso la casa e che - ciliegina sulla torta- lei lo aveva mollato. Feci i bagagli in fretta e furia prendendo solo l'essenziale, arrabbiata perché mi avevano tenuto all'oscuro, chiedendomi come un matrimonio potesse finire così dopo quasi 20 anni e salii sul primo treno diretto verso ciò che rimaneva della mia famiglia.
Ed ecco che dopo un mesetto di traslochi e drammi io e mamma eravamo di nuovo a casa della nonna, questa volta per viverci. L'unico lato positivo era che in questa vecchia casa mi era stata concessa la soffitta. Dopo aver portato via anni e anni di cianfrusaglie accumulate e una bella pulita avevo comprato un bel letto da una piazza e mezzo in ferro battuto, una scrivania e un armadio. Tutto sommato la mia vecchia casa non mi era mai particolarmente piaciuta, era troppo caotica: il rombo delle auto, che schizzavano a velocità esorbitanti anche in piena notte, mi aveva sempre infastidito. Qui avevo anche una bella finestra, proprio come avevo sempre sognato.
Scostai le tendine colorate e aprii la finestra. Subito una brezza fresca mi sfiorò il viso: sapeva di cambiamento, novità. Nel cielo blu notte, le nuvole si spostavano velocemente. Mi soffermai a guardarle e rivolsi un pensiero a mio padre che era solo all'estero solo a cercare di risolvere alcuni dei suoi imbrogli. Domani era un altro giorno, pensai alla Rossella O' Hara maniera. Domani avrei iniziato ad andare all'università: architettura, come avevo

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   0 commenti     di: Katia Damiani


L'esperimento

Buonasera. Sono Edoardo Mati. Ho circa ventiquattro anni. No. Vi prego non alzatevi. Non alzatevi. Non vi vedo. Ma so che volete farlo. Ci metterò giusto qualche minuto. Poi me ne andrò, giuro. Non ho un motivo preciso per essere qui. Sono qui forse per sbaglio. Forse per finta. Forse per sogno.
Io sto per impazzire. Sto per perdere la testa.
Non ho armi. Non ho niente. Ho perso tutto. La mia dignità l'ho persa insieme alla voglia di combattere.
Cosa sta succedendo? Qualcuno me lo può spiegare?

Edoardo è arrivato in quel posto una settimana fa. Un esperimento ben retribuito.
È bastato il primo giorno per farlo pentire di essere partito.
È entrato in un bar. Non c'era nessuno. Nessun suono. Nessun rumore. Eppure sul bancone bicchieri ancora pieni e un tavolo con le carte da gioco rovesciate verso l'esterno. Uno dei quattro avrebbe fatto un poker clamoroso.
In tutta la città solo il niente. Anzi. Il Niente.
Abbandonato. Atrocità. Ammalarsi.
Un giro per le compagne costeggianti la prima città. Regola matematica. Cambiando l'ordine degli addendi la somma non era cambiata. Delirio. Perdizione. Dubbi.
Presagio?
Impossibile.
Villa fuori città. Piscina. Gazebo. Triplo box. Tre auto.
Nessuno.
L'acqua ogni tanto si muoveva, al ritmo di bracciate impossibili. Una macchina andò via. Nel box ora due macchine. La fame lo ha spinto nella cucina di trenta metri quadrati.
Voleva dormire. Ha passato nella villa la notte. Non la passa bene. Perennemente disturbato da voci. Insulti. Minacce.
Vattene. Vattene. Vattene. Vattene. Mostro.
Edoardo comincia a dimagrire. Occhiaie buie e scavate. Voci. Voci. Voci. Sempre diverse, sempre ostili. Edoardo corre di città in città, di locale in locale, di casa in casa. La matematica non sbaglia. Non c'è mai nessuno. Edoardo ha paura. Delirio. Svuota ogni bar di alcoolici. Il suo fegato comincia ad abbaiare.
Ogni tanto fa il bagno. Ogni tanto si lava. Ogni tanto guarda un film in qualche casa troppo pulita

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   14 commenti     di: Guido Ingenito


Mi è mancato il coraggio di dirgli quanto lo amo

E tu cosa vorresti fare da grande?
Mi tremava un po' la voce, sapevo che stavolta avrebbe smesso di fare il cretino, che se ne sarebbe uscito con una delle sue risposte da far mancare il respiro.
Mi fissava, con quell'intensità che ti colpisce dritto nelle viscere.
"Fin da piccolo quando me lo chiedevano rispondevo: "il medico del cuore", credo che la fissa mi sia venuta perchè non sopportavo vedere le persone soffrire, probabilmente sono stato l'unico bambino ad avere un'idea ferma di cosa fare da grande, tutt'oggi ho intenzione di diventare un cardiologo. Voglio salvare cuori.
Poi mi sorrise e abbassò lo sguardo. Rimanemmo così per un po', senza dirci nulla, eppure avrei voluto dirgli una valanga di cose, avrei voluto dirgli che lui aveva già guarito il mio di cuore e che io avrei potuto salvare il suo se ne avesse avuto bisogno, se avesse voluto, avrei voluto dirgli quanto lo amavo. .. ma stetti zitta. ... Come sempre.

   2 commenti     di: Giulia Gabbia


Il vento nel mese di maggio

L’aquilone volava su e giù, a zic zac e la cordicella era tesa come la nota acuta di una tromba. Gli occhi blu del bimbo luccicavano.
Alessandro si girò e si mise a correre sul prato.
“Alessandro non allontanarti troppo mi raccomando, ” gridò la mamma.
“Mammina, guarda, guarda com’è bello!”
“Alessandro!”
“Tranquillizzati Teresa, qui non c’è nessun pericolo,” le disse Marcello.
“Mi dispiace Marcello, ma è la prima volta che usciamo dalla città,” rispose triste Teresa.
Marcello prese la mano di Teresa e la baciò.
“Teresa mi vuoi sposare?”
“Lo sai.”
“Ti amo più di me stesso. Teresa, perché aspettare?”
“Ci sposeremo tesoro, non insistere.”
Teresa si era alzata dalla coperta su cui era sdraiata. Sentiva un pericolo.
“Alessandro! Alessandro! Ma dove è andato a cacciarsi?”
“Vedi l’aquilone?,” disse Marcello, “Alessandro è sotto quegli alberi, non può sentirti da qui.”
“Sono preoccupata Marcello, vado a vedere.”
Teresa si mosse verso gli alberi.
Sotto di lei l'impolverato tappeto di denti di leone ondeggiò nell'aria. Marcello la raggiunse e la trattenne per un braccio.
“Tesoro mio, baciami, quanto sei bella.”
“Lo so, lo so,” sospirò Teresa.
La vita gli aveva finalmente sorriso, pensò Marcello. Lui, Marcello, cinquant’anni passati da solo; lui, aver trovato una ragazza così attraente e giovane, era proprio qualcosa che non aveva più osato sperare. Il vento nel mese di maggio gli entrò negli occhi e una lacrima scivolò giù bagnandogli il volto.



La calda terra

Quando vedevo dall'alto queste pietre non le notavo mai.
Non immaginavo fossero così dure, così fredde, che facessero così male. Io non pensavo a loro perché nel cielo stavo così bene, prima. Potevo andarmene liberamente ovunque volessi. E adesso, invece, sono prigioniera di queste pietre, di questo freddo, di questo dolore, della mia disperazione. Stavo così bene prima. Prima quando all'infelicità non pensavo mai. Non c'era alcun motivo per non essere felice. Ma non riesco più ad andarmene via da qui, fa così freddo che non riesco ad abbandonare queste rocce. Non posso più volare.
Non avrei mai voluto rendermi conto di quanto sia gelida la solitudine.
Adesso c'è qualcuno però. Qualcuno che lentamente si sta avvicinando. È un uomo. Non cammina molto bene su queste rocce, pende verso una grossa cesta che regge con una sola mano.
Si ferma. Sembra avermi visto. Dice qualcosa che non riesco bene a capire. Riprende a muoversi e si siede vicino, là dove le rocce cominciano a diminuire per lasciar spazio ad un'immensa morbida libera pianura.
È inutile continuare a beccare le ali: sono immobili, quasi come se non facciano più parte di me.
L'uomo mi sta guardando, riesco a vedere i suoi occhi sbiaditi e lucidi.
Rigira fra le dita alcune piume azzurre e verdi che ha raccolto per terra.
Oramai non ho più nemmeno la forza di avere paura, mi sento sempre più debole.
Ha acceso un fuoco con delle carte che ha preso dalla tasca. Non ho idea di cosa stia facendo, del perché ha raccolto una manciata di terra. È adesso tiene quella terra nel palmo della mano, aperta accanto al fuoco.
Sento che le mie forze se ne stanno andando, il freddo mi sta uccidendo, la vista si sta appannando.
E improvvisamente questo tepore, non capisco cosa sia ma mi sento così bene, vedo l'uomo sorridere.
Non riesco a capire quanto tempo sia trascorso. Finalmente riesco a muovere le ali, vedo cadere attorno a me sulle rocce della fina e rossastra calda

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   8 commenti     di: Silvia Nottoli



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Questa sezione contiene una serie di racconti brevi, di lunghezza limitata all'incirca ad una videata