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Racconti brevi

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Gioventù

Quell'Amore dai tempi della Scuola, coi libri legati da una cinghia
e la biro nella tasca dei jeans due taglie in meno, che la fasciavano come un guanto, profumato di gioventù.
Sì, era la più bella del King e, quel Sentimento Le faceva battere
forte il Cuore, quando il tempo sembrava non passare e
il giro di boa della Vita era lontano, navigava all'orizzonte.
Le passeggiate, fino a Vernazzola a sentir cantare i suoi aneliti
lo Scirocco e i sussurri degli innamorati imboscati fra i gozzi
testimoni dei primi baci e promesse impossibili.
Ma, si sa come gira il mondo e il destino di ognuno di noi.
Quella Scuola era sempre più lontana, e lo Scirocco
appena un ricordo sfuocato, in quella metropoli
senza grida di gabbiani e l'odore di focaccia, calda, di piazza Sturla.
L'Amore. L'Amore a vent'anni è una vela in alto mare col vento
della passione che fa' cambiare rotta, facilmente, ai giovani Velieri.
Spazza, lascia in scia, ricordi e promesse dei libri di Scuola
e non solo.
Il trasporto per quegli occhi troppo scuri e taglienti come katana impietosa e fredda, non era più batticuore ma emozione disattesa.
Si perdevano i giorni, fra la nebbia e lo smog di caotici ed estranei budelli urbani dai marciapiedi consunti e bruciavano, quei passi
fatti troppo in fretta.
Lo spartito quotidiano, non aveva più Note e Parole d'Amore per Lei
e il Sole faticava a sorgere sul pentimento, che la vestiva
ogni giorno.
Ma, i ricordi delle grida di gabbiani e l'odore di focaccia calda
erano di nuovo li alla Stazione, sul pendolino impazzito d'amore
per Zena e Attilio, fermo ad aspettarla al Binario 1.


(King: Martin Luther King, Liceo Statale Scientifico e Classico
a Genova Sturla)



un'affermazione prevedibile

Senza rispondergli, attesi. Sospirò e guardò in fondo alla strada verso casa mia, poi il suo sguardo seguì una macchina di passaggio. Alzò gli occhi verso la massa di nuvole bianche, si scrutò le unghie della mano destra, ma non ebbe il coraggio di fissarmi in faccia. Quando alla fine parlò, direi che lo sguardo gli si era posato su una fenditura del marciapiede.
“Non è poi che mi dilunghi spesso su di un solo argomento, vero?”, ripeté. Io sorrisi. Quel mio sorriso sembrò dargli più sicurezza.
Ma doveva sempre aspettare: ero io quella che avrebbe dovuto muoversi per prima. Mi rigirai fra le dita le chiavi di casa per parecchio tempo. Vidi la barba sulle sue guance, ora ridiventate pallidamente rosee: era riluttante a crescere.
Finalmente gli risposi.
“Mi hanno detto che ti cresceranno le tette”.
Lui aggrottò un poco le sopracciglia: si chiedeva se avesse sentito bene. Scrollai la testa da un lato, compiaciuta. Gli feci segno di salire in casa, così gli avrei spiegato.
Lui si guardò intorno, in cerca di qualcosa, forse un pizzico di autoironia. Si aggiustò il borsello sulla spalla, con un gesto di sofferenza. Era lì dietro a seguirmi, zoppicante, mentre aprivo la porta: si richiuse velocemente, con uno scatto.

Entrato in casa, gli chiusi la porta alle spalle, dolcemente. La prima cosa che fece fu accendersi una sigaretta. Lo lasciai aprire la finestra della cucina, mentre mettevo il caffè sul fuoco. Mi chiese dei ragazzi, così, per rendere la conversazione naturale.
“Come stai?”. Poche volte lo avevo sentito così affettuoso.
“Io, bene. Ho ancora una settimana di riposo, poi, ho già detto al medico che penso di tornare al lavoro”.
“Pensi?”.
“Almeno le ultime due settimane. C’è da terminare il lavoro con i bambini. Ci sono tante cose”.
Mi resi conto di gesticolare troppo. Strinsi forte la sedia sotto le mie mani. Eravamo tutti e due in piedi.
Dissi che era stato carino da parte sua venirmi a trovare: un’aff

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   0 commenti     di: Valerio Damini


Tanto per i fantasmi del passato non c'è più niente da fare

Lei usava frasi fatte tipo "mi ha sedotta e poi abbandonata", ma non approfondiva, forse per non ricordare o per non dare troppa importanza ai propri ricordi. Mi disse solo che lei ne era innamorata, davvero, perdutamente. Lui da un giorno all'altro sparì dalla sua vita, senza darle nessuna spiegazione. Lei ci rimase maledettamente male. Allora pensò che il modo migliore per reagire fosse quello di odiarlo visceralmente perché a dimenticarlo semplicemente no, proprio non ce la faceva. Ma si sbagliava l'odio non le servì a nulla. Anzi, più passava il tempo e più il rancore la consumava dentro. Passarono un po' di anni e lei si decise a elaborare quello che considerava un vero e proprio lutto.
Recuperò il suo numero di telefono e dopo tutti quegli anni lo richiamò. Lui la riconobbe quasi subito. Parlarono di quei tempi, cercarono di chiarirsi... Christina si sentì subito meglio, ma per lei non era ancora abbastanza, lei sentiva il bisogno di rivederlo, di parlargli a quattr'occhi. L'uomo in questione era un po' titubante sul da farsi. Passarono altri mesi. Poi lui iniziò a chiamarla. E chiamata dopo chiamato decisero di rivedersi. Ma per lei l'incontrarsi era abbastanza complicato, allora stava già con quello che oggi è il suo ex marito; il quale doveva, per lei, rimanere all'oscuro di tutto.
Non si dilungò molto sul come o perché ma mi disse che un paio di giorni prima dell'appuntamento tra lei e quel suo amore giovanile quello che allora era suo marito "li scoprì"! Non la prese per niente bene e le fece una scenata di gelosia, lui che non era mai stato geloso, incredibile! Ma lei sembrava intenzionata a procedere con i suoi propositi di "fare pace con il proprio passato". Ma proprio il giorno del loro appuntamento, suo marito reclamò la sua presenza accanto a lui. Lei avrebbe tanto voluto trovare una scusa per non raggiungerlo, ma non ce la fece. Christina era abile nell'occultare la verità ma non nell'arte della menzogna vera e propria.

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   0 commenti     di: frivolous b.


Le foglie di Verlaine

È notte, fa caldo, e il fumo dell'ennesima sigaretta cerca di portarsi via quei pochi pensieri rimasti, un po' troppo ingombranti. Dal terrazzo conto le macchine che passano veloci. Dieci anni fa avevo anche smesso di fumare, poi la solitudine, alle due di notte, ti fa riscoprire le cattive abitudini.
Ancora un sorso di coraggio. Col tempo quel goccio di grappa si è trasformato in un bicchiere, e poi in una bottiglia. E poi in altro.
Il più delle volte non riesco neanche ad andare a letto, mi addormento qui, sulla sdraio. La mattina mi guardo allo specchio, e la mia barba è sempre lunga. In ufficio si lamentano in continuazione. Faccio sempre tardi e sono impresentabile. Ma andassero a fare in culo.
La mia ex moglie l'ha capito in fretta. Un giorno, stufa delle mie paranoie, mi ha cacciato di casa. Disse "o la smetti di vivere solo per te, o è meglio che vai via." Mi presi qualche giorno per riflettere, ma lei aveva già deciso. Mio figlio non mi telefona neanche più. Neanche io lo chiamo.
Fuori dalla porta c'è una lunga fila di problemi che prima o poi entreranno. Ci vorrebbe Mr Wolf, mi aiuterebbe a risolverli. Definitivamente.
Negli ultimi mesi ho passato intere giornate al computer. Facebook mi ha risucchiato in una spirale senza fine, alla ricerca di qualcosa che soddisfacesse al meglio i miei desideri. Ma qui non si scopa. C'èPoetessa lussuriosa che sembrerebbe anche disposta ad uscire, ma abita a Milano... E come ci arrivo? La macchina, o quello che resta, al massimo mi porterebbe dall'altra parte della strada. Senza capelli e con la pancia molle, ma dove voglio andare!?
Anche stasera la solita civetta. È un violino che mi lacera il cuore. Forse è meglio bere: Mr Wolf, dove sei? Fumo l'ultima sigaretta.
D'improvviso un brivido mi sveglia, qualche secondo per capire dove sono. Giro la testa verso la cucina e riesco a vedere l'orologio al muro. Sono le 5:28, mi sono addormento sul divano e fa freddo, anche se è settembre e di giorno fa un cal

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   1 commenti     di: Pietro Damiano


Lied per Capofamiglia e Televisione

Una notevole posa plastica, non c'è che dire, il paterfamilia atteggiato a novello Marco Aurelio, che strepita dalla porta della cucina: "egoismo, egoismo imperante!", mentre i due pueri cantores gemelli continuano imperterriti a guardare Mtv.
La Donna di casa, dal cantuccio suo, sussurra: "dai Sergio, finirai per spaventare i bambini..."
Bambini?
Dove sono finiti i "suoi bambini", pensa Sergio, quelli che quando tornava dal lavoro gli correvano incontro per raccontargli della scuola? Le loro anime sono forse state risucchiate dal tubo catodico?
Ora i pargoli non parlano, non scrivono, non leggono, bensì vegetano tra televisione e uscite serali con rientri che lui alla loro età non poteva nemmeno sognare.
"Ma Sergio i tempi sono cambiati!"
E inoltre non vanno bene a scuola, le loro camere somigliano a porcili.
"Ma Sergio, tutti i ragazzi sono disordinati, Carla non ne fa una tragedia, e in ogni caso noi la paghiamo proprio perché pulisca dove noi sporchiamo..."
Di chi è la colpa?
Non certo sua, can mostro, lui che lavora dodici-dico-dodici ore al giorno per farli vivere in modo decente, lui che lavora anche perché a nessuna delle bestiacce che sua moglie ha voluto comprare "per i bambini", e che ora deve pulire e sfamare lui, manchino i gamberetti o gli integratori vitaminici per conigli nani!
Lui, che lavora anche perché sua moglie possa permettersi di comprare tutte quelle dannate scatolette ad ogni dimostrazione della Tuppervawe!
Lui non ha colpa, semmai è lei che è sempre stata insipida e insulsa, inutile nell'educazione di quei disgraziati!
Era stato un "Ma Sergio non è stata colpa loro, si sono lasciati traviare dalle cattive compagnie..." quando la scuola li aveva convocati per una storia di copertoni squarciati, ed era stato un "ma Sergio, è un'età difficile, non mettiamogli sulle spalle più pesi di quanti ne possano sopportare..." quando Marco era stato bocciato, ed era stato un "ma Sergio, preferiresti

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   1 commenti     di: martina ciullo


Storia di una puttana da 4 soldi

Iniziò a ricordare Gianni. Iniziò a ricordarsi di tutti quei momenti in cui si sentiva all'altezza, alle porte di quella dimensione che gli avrebbe portato tante soddisfazioni. Non stava scalando gradini che lo avrebbero portato al successo e neppure ad avere un abbondante conto in banca. No, non ce l'aveva neppure quello, per un ragazzo di 21 anni tutto ciò era inutile, anche se si può definire con questo termine ciò che stava ottenendo. Il successo della sua vita. Dico stava perché altrimenti non sarebbe finito nelle condizioni in cui è adesso. Era sulla strada giusta, aveva amici, era circondato da affetti, persone che ricambiavano favori e perfino saluti di quelli che per lui furono sempre degli sconosciuti, ma gli mancò qualcosa. Era sempre di fretta, in giro tra un posto e un altro, tra facoltà e casa, un amico e un altro, ma aveva bisogno di qualche certezza, di un riparo e di un sorriso. Di un buco. Di un buco da ritagliarsi nella quotidianità e vivere, vivere senza essere afflitto da inutili preoccupazioni, dai pensieri superflui, da interrogativi senza risposta. Di un buco dal quale ritagliarsi qualche certezza e una dose di felicità. Tranquillità, era questo ciò che desiderava, un bisogno che gli provocava un tormento, agitazione, l'ostinata frequentazione di squallidi posti. Aveva capito che per appagare bisogna pagare, che per svuotare bisogna agitarsi, che è necessario penetrare per godere appieno. Ricordava il suo primo rapporto con quella puttana da 4 soldi, la sua Vita. Ora lei è diventata cara, si fa pagare tanto, ma lui, lui che le aveva conferito valore, importanza e onore, lui è solo carta straccia. Quella puttana che lo aveva fatto sognare, sperare, costruire dei piani, lo aveva fatto sudare e ora si prendeva tutti i suoi sforzi, tutte le sue gesta, ora succhia la sua vita. E svuotato di energie, affetti e prospettive, Gianni resta un salice, piangente, inespressivo, inattivo, e facilmente si piega alla forza del suo vento, que

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   3 commenti     di: vasily biserov


Negli occhi del demone

Nell'oscurità in cui ero avvolto cercavo di prendere sonno, ma senza successo, perchè c'era di continuo quel fastidioso rumore scricchiolante che mi dava ansia e timore.
Mentre toccavo la seta e il cotone di cui era fatta la mia coperta, iniziai a sentire un po' di fastidio alle unghie che toccavano il tessuto della coperta come se non fosse più la stessa, come se stesse cambiando la tessitura da seta e cotone a lana sporca e umidiccia. D'un tratto mi accorsi che il cuscino non c'era più e che la mia guancia stava toccando il pavimento freddo e polveroso. E fu la polvere a svegliarmi.
Mi alzai in preda a emozione, non ero più sul comodo materasso del mio letto e la coperta era soltanto uno straccio mezzo strappato.
Con i piedi scalzi e vestito solo con il mio pigiama iniziai a vagare in quei corridoi sinistri che non erano la mia casa ma una sorta di..."labirinto".
Tra quelle mura lugubri e gotiche non sentivo neanche un piccolissimo rumore, neanche uno spiffero d'aria, infatti solo il battere per terra dei miei piedi. Ad un certo punto mi accorsi di dei forti tonfi che sembravano provenire da dietro e mi venne l'idea che fosse una persona, ma prima di chiedere chi fosse dovetti farmi forza e levarmi dal cuore quel dolore causato dalla paura che mi impediva di parlare, quando poi ci riuscii, gridai << chi va la?!...>>, pensando che fosse una persona invece dall'ombra di una parete apparve una specie di creatura abnorme e sovrannaturale con alcuni caratteri umani e taurini con della carne insanguinata fra i denti.
Ero in preda a una paura così grande da accasciarmi a terra, quando poi iniziò a ringhiare per poi muoversi rapidamente e colpirmi con la sua zampa insanguinata...
Era tutto buio, poi un bagliore accecante però questa volta tutto svanì per davvero.
Edward Crousoe.

   2 commenti     di: Emanuele Russo



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