Vado cercando occasioni illuminanti la mente per capire il vitale senso di destini, che, compressi tra sfaccettature d'emozioni compiute o meno, ma risoluti di vari effetti, veste tragitti esistenziali.
Rifletto se fermarmi ad esplorare il valore in uno sguardo negli occhi pensanti di un bimbo già vecchio di dolenti paure in questo mondo, o sorridere comunque compiaciuta agli occhi ridenti
di una qualsiasi vita dolcemente accarezzata da benevole vento di fratellanza affettuosa.
Vado cercando risposte in me di quel segno tangibile di gioia dell'attimo, e indago su ogni essere vivente, pur a me alieno d'origini, cresciuto invisibile quando non trova pronte mani tese ad asciugare pupille piangenti.
Dove e quando e come racchiudo in me chiaro il senso della vita?
Forse se appare compreso di ferree motivazioni d'essere semplici di pure intenzioni sognanti, e che si realizza finalmente convinti d'aver fatto ogni volta coscienza del possibile vissuto.
Vedo però, ciò lasciato indietro, spesso levitare nel ricordo, perseguitato, a volte, dal rimpianto, mentre snocciola rosari di eventi persi o iniqui, dimenticando così ogni volta quell'istante perfetto della felicità creduta raggiungibile!
Quel senso definito e consapevole trova ambita meta nelle sensazioni dell'amare ed essere amati, nell'essere protetti e difesi dalle ingiustizie... sempre, e nell'assimilare ugualmente amore da scenari emotivi avvertiti in suoni di armoniose note, colori e forme in arte di tele e sculture, visioni di animali teneri di fedeltà, di fiori, mari, monti, fiumi, cielo... universo e... DIO.
Infine, più intenso, riconosco percepibile quel senso soprattutto in quei balzi di sorprendente realtà in grandi e piccole storie d'umanità, forti e coraggiose e aperte a messaggi di sacrificio e bontà universale e, così decisa, vi riconduco pure in esse il senso della vita, che stupendo risponde al cuore, e mai si lascia vincere dall
Luca aveva ventisette anni. Aveva anche un bel lavoro, Luca, almeno secondo l'opinione comune dei suoi amici e familiari. Impiegato dello stato, sentiva però l'intero peso del mondo gravare sulle spalle, quando varcava la soglia dell'ufficio.
Quella mattina si trovava sul palco. Suo il compito di fare il preambolo introduttivo al discorso del direttore generale. Di fronte un centinaio di facce con un'espressione incerta tra la rabbia per l'invidia ed il sussiego per il dirigente, che si trovava subito dietro di lui.
Cominciò con i saluti di rito, e mentre stava per iniziare il suo brevissimo intervento guardò un istante fuori della finestra, così, tanto per restituire un po' di profondità al suo sguardo.
Non c'era niente di particolare da vedere, se non le case, le strade, la gente, le auto.
Rimase interdetto. Guardò di nuovo fuori. Un brusio attraversò la platea, mentre un lieve sorriso di scherno cominciava a delinearsi sul viso di qualcuno.
Non c'era niente di particolare da vedere. Lo sapeva ma continuava a guardare fuori. Non era attirato da quello che vedeva, ma da quello che non vedeva.
Il direttore schiarì la voce, mentre un moto impercettibile cominciava a manifestarsi sulla palpebra del suo occhio sinistro.
Luca continuava a guardare fuori. Il brusio aumentava, alimentato dalle esclamazioni di falso sussiego e da quelle di pura cattiveria.
Cos'e che mancava da quanto stava vedendo di fuori? Eppure era ciò che vedeva tutti i giorni. Non si era mai accorto di quella dissonanza, fino a quel momento.
Continuava a guardare fuori. Poi, all'improvviso, capì. Lo sapeva da sempre, ma finora aveva fatto finta di ignorarlo. Ogni volta che aveva guardato fuori, negli ultimi due anni, tanto era il tempo che lavorava in quell'istituto, lo aveva capito. Salvo poi relegare quella consapevolezza in un recondito angolo della sua coscienza, fino a dimenticarsene.
Smise di guardare di fuori, prestò attenzione alla sala, e lentamente iniziò a par
Cosa non si darebbe per conoscere anticipatamente le conseguenze delle proprie scelte. Molti scrittori dei corsi di scrittura creativa che ho letto dicono, la vita di una persona è come un romanzo, sta all'autore far fare delle scelte al protagonista. Una volta individuata la sua area di pericolo, lo si fa scornare con tutto quello che a lui non piace e non sopporta, creando così interesse nel lettore. Ma la cosa fondamentale è che lui decida.
Soltanto che in quel caso se la storia si incartoccia, si cancella e si riscrive. Cosa impossibile nella nostra vita di tutti i giorni, specie se certe scelte risalgono a tempi lontani, quando il mondo lo si vedeva con colori diversi e dall'alto verso il basso perché si era giovani e i colori allora, apparivano belli e brillanti. Una tecnica che ormai si usa comunemente, quando i nostri apparecchi elettronici si impallano, è quella di fare un bel reset, caso limite si formatta o si ripristina il sistema.
Quante volte chiudendo gli occhi avremmo il piacere di poterlo fare su di noi, sulla nostra vita, bella o brutta che sia. Soddisfare la curiosità di sapere come sarebbe andata a finire se le nostre scelte fossero state diverse da quelle fatte. E caso limite... ripristinare la propria vita andare in default e ricominciare da capo.
Chissà ?
Forse un giorno sarà possibile, certamente non riguarderà noi...
Dobbiamo solo riconsolarci nel credere che, nella prossima vita potremmo tenere presente tutti gli errori fatta in questa. Ma, alla fine di tanti discorsi, sappiamo bene che la vita è una ed è troppo preziosa per non viverla con tutte le sue emozioni...
comprese quelle brutte.
Se c'è qualcosa che mi manca è quel
campanello d'allarme che ti avverte
se ti stai cacciando in qualche guaio,
io proprio non lo conosco, non
capisco cosa sia.
Delle persone vedo sempre il
lato migliore, mai quello peggiore.
Quando credo di sapere mi accorgo
che devo ancora imparare molto,
e che la vita ti da sempre delle
opportunità, ti fa dei regali,
alle volte graditi e speciali,
altri sgradevoli, e dolorosi.
E può sembrare strano ma
sono proprio gli eventi pù
dolorosi a dare una svolta
positiva alla nostra vita, una
" mazzata "
che ti arriva ti disorienta poi
ti rende più forte.
Di qui devo imparare a ripartire
devo puntare anche su un pizzico
di ironia.
Sorridere un un poco anche delle
proprie vicissitudini e rendere meno
pesante la situazione, e riconoscere
che pure se ho ricevuto un brutto
colpo, può avere cambiato in meglio
la mia vita.
E non sentire più quel tarlo dentro
" che mi rode ".
Ma sento che le cose ora sono cambiate.
Una verità da accettare, un amore che
può finire.
Ma l'affetto deve sempre
rimanere...
Sono in camera nel mio buio, quel buio familiare ed inquietante di sempre.
Sono chiusa in quel buio che mi piace sentire addosso, in quel buio la cui prigione mi abbraccia e mi accarezza dolcemente e prepotentemente.
Il computer è acceso pronto ad accogliere i suoni che gli descrivo con le dita.
Le mie mani sono in penombra come figlie dell’oscurità e della luce azzurra riflessa dallo schermo del monitor.
Nei vari angoli della stanza abbandonati ci sono i cadaveri delle ombre di peluche orfani.
Dalla finestra aperta arrivano rumori silenziosi che partono e fuggono o tornano a casa.
Rumori di motori: auto e moto parcheggiate, musica a tutto volume dove gli autisti perdono la propria mente imbevuta di birra.
Altri suoni provengono come bimbi che giocano o che vanno in bicicletta, che corrono e che ridono.
Sento le loro voci, le chiacchiere senza sosta delle pettegole del paese sedute al solito punto del muretto.
Un bimbo piccolo, forse di un anno, ha appena pianto.
Avrà per caso visto un gatto randagio e avrà avuto voglia di prenderlo e portarlo a casa.
In cucina c’è ancora rumore di piatti.
Le lacrime di mia madre puliscono le delusioni della giornata.
La tv è accesa in sala.
Mio padre si perde in quelle immagini piene di colore finché la sua emicrania non si fa sentire e lo costringe ad alzarsi da quello scomodo divano.
Si alza, cammina, si siede, si alza di nuovo, passeggia calpestando le mattonelle del pavimento, appoggia il capo sulla propria mano e sembra sorreggere in uno sforzo sovrumano il mondo intero.
Mal di testa che si insinua nelle vene e nelle arterie, forse a causa di quello stress che arriva senza che ce ne accorgiamo oppure a causa di quella maledetta sinusite che lo avvinghia ogni giorno.
Sento i suoi passi: su e giù per il corridoio come un’anima in pena.
L’aria e il vento, il cielo e le nuvole, fuori al balcone: sono l’unica via di uscita.
Non resta che sedersi su quelle sedie di plastica per guardare la luna
In un posto lontano, a nord del mondo, c'è un paese. "Nel paese ogni giorno ferve un'attività lavorativa molto intensa. Tutti sono sempre alle prese con impieghi di ogni genere (artigianato, agricoltura, commercio); in pochi riescono a svagarsi e a passare un po' di tempo libero in tranquillità.
Tuttavia, qualche volta, nelle giornate di sole, accade un fatto strano. Accade che la gente alzi gli occhi al cielo e veda delle persone sconosciute, vestite come a carnevale, su di un carro, volare nelle nuvole, e ridere, ridere di gusto, con una voce straordinariamente limpida, fresca, nuova, libera.
I lavoratori si fermano sempre ad osservare questo spettacolo, non nascondendo una certa invidia... e poi, quando i bizzarri individui sul carro sono ormai spariti tra le nuvole, tornano veloci al loro lavoro."
Dopo aver letto questa leggenda su una rivista del mistero, decisi di partire per indagare.
Arrivai là di pomeriggio; pioveva a dirotto. Mi rifugiai nella prima locanda che trovai. La gente era molto accogliente, e aveva mille premure nei miei confronti. Il turismo era assai sviluppato, perciò ogni tipo di visitatore era ben accolto.
Mi sedetti a un tavolo per la cena, e cominciai a fare domande ai camerieri riguardo alle persone bizzarre tra le nuvole.
"Lei li ha mai visti?"
"No.", disse il cameriere. Poi aggiunse: "... non di recente."
"Ma volano sul serio? Su di un carro...?"
"Può trovare tutte le informazioni che vuole nella libreria in fondo alla strada, signorina. Buon appetito"
Feci tesoro di quella frase, e mi ripromisi che sarei andata in cerca di informazioni in libreria, il giorno dopo.
L'indomani mi svegliai di buon'ora e corsi in libreria.
"Buongiorno! Vorrei un libro sulle bizzarre persone delle nuvole", dissi. Il negoziante mi guardò dal profondo dei suoi vecchi occhi vitrei e mi rivolse una domanda insolita: "... per farne che?"
Lì per lì rimasi un po' interdetta, poi risposi: "... Per leggerlo, no?"
"E una volta che l'avrà l
Si, tu dov'eri nel '95? Ora che l'hanno preso, che tutti i giornali ne parlano, questa domanda mi rimbomba ancora una volta nel cervello. Cosa facevi? A cosa pensavi?
Com'era la mia vita in quei giorni di un luglio ormai distante? Debbo fare uno sforzo per ricordare, aggrapparmi ai numeri, per cercare di ritrovare il filo dei ricordi. All'epoca avevo, per forza, 41 anni. Quindi i miei figli erano ancora bambini, uno di otto e l'altra di sei anni. Le fotografie aiutano la scarsa memoria. Di lì a poche settimane saremmo andati all'Elba, in campeggio, per le vacanze. Belle vacanze, con i rari disagi stemperati dal ricordo. "Papà, sei l'eroe dei fumetti!" mi avevano detto il giorno del temporale, quando ero riuscito a salvare la nostra tenda dalla furia della tempesta.
Fra foto e frammenti di ricordi emergono gite in canotto, passeggiate serali a Capoliveri con loro che, immancabilmente, si addormentavano durante il breve tragitto in macchina fino al campeggio e noi dovevamo poi caricarceli in spalla e posarli delicatamente nei loro sacchi a pelo cercando di non svegliarli. Avevamo una tenda grande, a casetta. Per noi era e resterà sempre "la tenda di Gheddafi". La chiamavamo così. Mezza giornata per montarla e altrettanto per tirarla giù e compiere il miracolo di rinfilarla nei tre sacchi da cui era uscita. Una fatica improba, resa ancor più dura dalla necessità di arginare l'entusiasmo dei bambini. Che inevitabilmente veniva meno proprio nell'unico momento in cui servivano davvero: quando dovevamo reggere ognuno un montante per infilarci sotto i pali di sostegno. La tenda di Gheddafi ci ripagava però dandoci un sacco di spazio: due comode stanze, il cucinino, il soggiorno ed anche un armadio di tela per i vestiti. Lì dentro facemmo quell'estate una delle foto più belle, ai bambini. Ci sono loro, in pigiama, seduti sulla soglia della loro stanza, sopra i materassini ed i sacchi a pelo, che leggono insieme un libro di fumetti. Lui con l'aria seria di chi
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