Ci sono idee che vanno prese al volo. Pena la perdita. Ci sono stimoli urgenti che non ammettono esitazione. Rimandi. Ci sono storie in cui bisogna tuffarsi di getto, prima che le sollecitazioni inaridiscano fino a sparire. Si tratta di epifanie. Folgorazioni. Apparizioni improvvise che probabilmente non faranno più ritorno. Mi è capitato di immaginare cose, amplificarle, raccontarle, e talvolta, rileggendole a distanza di tempo, stupirmi. Chiedermi se fossero davvero parto della mia mente. E spesso penso che non saprei ripetermi.
Se scrivere deve avere un senso, un minimo di dignità, non basta la volontà di farlo. Come qualcuno ha detto: l'ispirazione non da' preavvisi. Né quando viene. Né quando va. E allora, quando capita la fortuna che si palesi, bisogna saperne approfittare.
Definirei quest'attimo: stato di grazia. Momento magico che produce emozioni e significati che vanno oltre i semplici segni. Che superano le singole parole. Che danno vita, carattere e, nei casi più felici attrattiva, al periodare. Al fluire della narrazione. E il merito, quando c'è, va diviso con il caso.
Ma si oggi dai ci voglio provare... ho promesso niente nostalgie, niente ricordi... presente sono tutta tua.. prendimi ti voglio vivere... ferragosto al mare e poi il pomeriggio assonnato portarlo a spasso in campagna, un po di aria fresca... trastullarlo un po' ascoltarlo, lasciarsi rapire da lui e ritornare fra le sue braccia con il sapore forte della vita, una partita a carte, due risate... due passi fino alla croce...
Sentieri battuti dove il piede inciampa... il vento racconta, il cielo ci guarda, il silenzio ci spia dietro le fronde degli alberi... sssss ascoltami... un momento... eppure era lì che si nascondeva il tempo... e cespugli di more cercare impronte, seguire a memoria il percorso fino al punto più alto dove si domina il paese... quattro case che hanno cambiato colore... ma in fondo sempre le stesse forse sono più sole...
Il sole... ha trafitto la croce sembra voglia parlare di gioie e dolori di un campo di fiori, di voci di mani, di un tempo rapito... il presente è con noi e lo guarda stupito... voli di palloncini al vento... sembrano voci e poi parole... timide sotto la croce spuntavano le viole... silenzio... solo da lontano l'eco della vallata un gallo che canta, una ginestra, un campo bruciato.
Il sole va via ha preso il giorno per mano e ha scritto un'altra poesia.
Ecco ferragosto è laggiù fra tavoli e luci accese, nel vuoto di quel piccolo paese... ma l'ho promesso non voglio ricordare... è sempre tempo di tornare... la musica, il profumo della carne al fuoco, gente che mi conosce che sa di me ed io di loro... basta poco
Il tempo di bere la sera sotto un mare di stelle... tra mille fotografie che passano veloci... di riprendersi la vita sotto braccio... andiamo... di aprire la porta di casa e... un gruppo di ragazzi sul terrazzo a cantare... come noi... ti ricordi di ieri?
ferragosto duemila e dodici è appena passato... mi fermo un attimo ad ascoltare...
Ecco ci sono cascata ancora... e non sono la sola... proprio vero... si fin
Basta. - È finito. È passato. L'ambizione dell'essere, dov'è? mi è perduta? Il mio è un abbrevio della realtà, una scappatoia dal fulcro del centro della terra; credevo di conoscere tutto, ma mi son dovuto ardere la lingua talvolta. Ora, sì, mirabilmente, mi ritrovo in dubbio. Atrocemente! L'indecisione, l'assoluzione del problema che non trova assoluzione. La crisi del mio attuale vivere; com'è, dunque, il mio vissuto? - È mirabile e pauroso da morire; come ghirlande di vite passate e viventi.
Ho visto deserti, e sembravano d'oro, scorrere lungo le sponde della lingua d'acqua verde ma nera. Il vento non scalfiva i volti bruni dei bruti; piegava le palme! I loro zigomi erano arsi dalla sabbia. E i colori si manifestavano come ammattiti nel cielo, talmente rovesciati e sconvolti, nemmeno si fossero nutriti dell'acqua salmastra: che rende pazzi gli ingenui. Le architetture antiche svettavano altissime e terrificanti. Quei vecchi dei mi fissavano, sì, con occhio orrendo. Orrore! le loro parole non potevo riconoscerle, erano troppo lontane. Ero un navigante in un mare di fuoco.
Tutti volevano venderti qualche cosa, come ovunque; sulle barche nel cielo, mi sembrava di intravedere le stoffe ed i veli rari, odoranti paprica. Camminavo sulla punta di quella bestia ferocissima e immobile, dallo sguardo di pietra; metà donna metà tutt'altro, che non saprei definirla se non in uno dei miei sogni peggiori; Splendeva! Il caldo che picchiava con rabbia sulla mia infelicità; mi ricordava che non potevo vivere nella sabbia, come la sabbia. E invece, l'ho fatto. Sbiancando all'idea dei secoli; dormirò anch'io in una tomba di pietre?
Voli d'uccelli! Stanno annunciando il ritorno impetuoso di un Impero dimenticato dagli uomini. Il mare vacillava all'idea dei loro segreti.
Quegli antichi maghi; i loro serpenti mordevano a comando! ma erano ciechi.
E così vai via? Prendi tutti i tuoi bagagli, tutti i tuoi ricordi, ogni tocco dato alla mia anima e prendi il volo?
Così ti volti. Per l'ultima volta. Che forse tu abbia cambiato idea? No.
Ti volti. Guardi nei miei occhi. Ti rendi conto che non ci vedi più nulla dentro. Pensi sia io. "Non sei più quella che eri".
Così vai via? Prendi tutti quei tuoi bagagli, cogli tutti i tuoi bei ricordi, pulisci via l'impronta di ogni tocco dato alla mia anima. Prendi il volo?
Così il tuo sguardo si blocca per un attimo perso nel vuoto, ti volti. Tante volte hai scostato il capo da un'immagine meravigliosa e, volendo condividerla, ti sei voltata sorridendo verso di me. Ma questa è l'ultima volta. Mi si ferma il battito del cuore, e un dubbio gioioso scala l'impervia parete della mia anima: "Che forse tu abbia cambiato idea?". I tuoi occhi però non mentono: No.
In un istante esteso oltre i confini del tempo, che istante non è più, ti volti con circospetta tristezza. La traiettoria del tuo sguardo, quasi fosse tangibile come un raggio solare su un oggetto, si posa dentro i miei occhi eliminandone l'ombra. Ci guardi dentro quasi stessi scavandoli via con le unghie. Tutto l'universo intorno a noi così si ferma bruscamente, ho quasi le vertigini, ogni elemento universale risente di questo piccolo estratto di attimo impercettibile che ha scosso l'equilibrio terreno: tu non ci vedi più nulla lì dentro. Il tuo sguardo si corruccia, schiudi le labbra, rimani esterrefatta da questa constatazione: non vuoi, non puoi, non riesci a credere al nulla che hai visto lì dentro. Una certezza, che desidereresti con tutta te stessa fosse macchiata dall'ombra del dubbio, comincia dall'apnea del profondo a nuotare con forza verso la superficie della tua mente. Hai ancora qualche istante per lasciare che converta la sua natura inequivocabile, ma non lo fai, non ci stai, non ne hai le forze. E in un chiasso infinito di urla tra mente e cuore, la tua anima rivela un'orribile sentenza
È strano avere a che fare con i fantasmi della propria mente. Quando meno te lo aspetti, arrivano quatti e muti e ti sfiorano con le loro mani d'avorio come adulandoti, e ti portano via con loro promettendo cose che non avverranno mai.
Mai.
Dopo un po' è il momento di concretizzare tutte le loro promesse, di renderle parte della tua vita, in attesa del momento in cui queste si realizzeranno. Ma quale parola potrà mai spiegare il potere e la malignità della disillusione? Ah, maledetti fantasmi! Possiate bruciare nella vostra stessa crudeltà, poiché di fiamme nere arde il vostro cuore!
Mi ritrovo qui a lacerare il mio di cuore, che intanto conserva ancora pezzi di promesse bruciate, ridotte in cenere dalla mia stessa testa, ingannatrice e portatrice di false speranze. Mi chiedo se la realtà d'amore sia mai avvenuta, se non fosse anch'essa frutto della fantasia avvelenata, delle pellicole stantie che portano segni della luce più bruciante. Cosa avverrà dopo? Perché il tempo è così nemico? Perché devono essere tutte nemiche, queste muse a cui ognuno aspira?
Amore.
Ripetere queste lettere per 100 pagine, scriverle ininterrottamente, immaginando il profilo di una A persa nelle colline di un bosco frondoso, o la M scavare nei meandri di un fiume. La O gridare al cielo che la vita è tutto un cerchio senza fine, la R disegnare i profili di una valle perduta e ritrovata.
Una E, tracciare e squarciare il pendio del taglio sul mio corpo.
Persa, totalmente persa! Bolle di veleno che fluttuano nella mia vecchia casa, pronte ad attorniarmi e a morirmi in viso quando meno me lo aspetto, per poi lasciare chiazze amare e patetiche sulla mia fronte. E toccare quel veleno, e sentirsene di nuovo, e lavarlo via, via, via senza che mai se ne vada. E guardare le cicatrici sulla fronte lasciare scie violacee che hanno il sapore della più nera sorte.
Morte.
Sì, sono morta! Disperata me! Sono caduta ancora una volta nella trappola di sangue, bruciata e straziata
Quando la guardavo mi sfuggiva il concetto comunemente inteso di semplicità.
Fare le pulizie è indubbiamente un lavoro umile, spesso viene fatto da donne di scarsa istruzione, di ceto proletario, o da immigrate che non sono riuscite a trovare di meglio.
Quest'ultimo era il caso di Adela, Colombiana, la ragazza che fa le pulizie nell'ufficio dove lavoro.
Quando la guardavo mi venivano in mente un sacco di pensieri, di aggettivi, di immagini... ma definirla semplice o umile mi sembrava assai sminuente e quasi offensivo per una donna così intensa ed evocativa.
Lei veniva al lavoro vestita con dei vecchi maglioni di flanella e pantaloni attillati da aerobica che risaltavano perfettamente le cosce piene, sode e il suo sedere latino dai fianchi larghi. I capelli erano un po' spettinati; nel complesso era poco curata ovviamente, perché nel suo lavoro doveva essere comoda, non aveva bisogno di divise!
L'aura che emanava, tuttavia, era indipendente dalla cura che aveva impiegato nella preparazione e nel trucco. Lei si affacciava alla porta, salutava noi impiegati con la sua voce sonora e l'accento spagnolo. Gli occhi dolci, ma affilati da uno sguardo malizioso quando li rivolgeva a noi ragazzi, donavano immediatamente un senso di gioia e leggerezza e mi collocavano prepotentemente al mio essere uomo. Non intendo machismo da esibire, mi immaginavo delle scene d'altri tempi, di ragazzotti bramosi che corteggiavano le ragazze del villaggio, magari mentre passeggiavano con la madre o la zia e queste ricambiavano lo sguardo cercando di non dare nell'occhio. Immagini di genuine ragazze della campagna con cui intrattenersi nel fienile ad amoreggiare.
Poi mentre procedeva con i suoi lavori di pulizia, canticchiava melense canzoni latinoamericane, mettendo un po' di imbarazzo noi, abituati all'etichetta del grigiore formale da ufficio, dove anche una risata, un imprecazione è contenuta.
A volte, con l'atteggiamento di uno che si sposta di fretta impegnato da
Ero uscito con alcuni amici per farmi un giro. Il solito giro del cazzo prima di impazzire totalmente. Un giro che serviva a rilassarmi. Avevo bisogno di bere, forse per poter stare più tranquillo, forse per deprimermi un po' di piu', o forse non esisteva nessuna ragione.
Appena uscito vidi un casino di gente per le strade... Un fatto molto strano per la mia citta' che si è sempre contraddistinta per la sua "vitalita'".
Ci misi un po' a capire perchè le strade erano colme di zombie. Un pensiero mi fece tornare la memoria. La festa del paese. L'orribile festa del paese, il giorno in cui incontri chi non vorresti mai più rivedere. Le vie erano piene di bancarelle, venditori ambulanti, gelatai, giostre. Non avrei mai pensato di vedere tanto fallimento in tutta quella umanita'.
Arrivai al parco, il nostro punto di ritrovo, ed incontrai subito Marco. Capii subito dalla faccia che tutto quel bestiame non era gradito neanche da lui. Poco dopo arrivarono Donzo e Skappe. Un paio di battute su quello scempio vivente, qualche riflessione sulla sbronza della sera prima e poi diritti al pub.
La vitalita' di Marco non era alle stelle, e decise di tornarsene a casa.
Restammo in tre. Appena arrivati nel locale ci prendemmo un campari col bianco a testa. Bisognava iniziare a bere, ma erano anche le quattro e mezza, e tutto il tempo era nostro. Personalmente avrei preferito farne a meno del pub, visto i costi, ma la domenica è un giorno abbastanza proibitivo. Mi capito' molte volte il sabato di comprare il liquido per la domenica, ma tutte le volte l'alcol veniva consumato la sera dello stesso giorno. Iniziai a bere con più convinzione, alla fine volevo sbronzarmi. Una, due, tre, quattro birre... Era proprio buona, andava giu' che era una meraviglia. Tennentz... forse l'unica pecca era il gusto un po' troppo dolce. Non tornai a casa a mangiare. Rimasi li a bere. Vino bianco, whiskey, bibitone, Spritz... un po' di tutto. Quando inizio a bere devo rag
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