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Riflessioni

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QuellaDellUltimoMiglio

A un certo punto della mia vita, mi sono aggiunta un nome, QuellaDellUltimoMiglio. Non che ne avessi bisogno, di nomi. Già ne ho due, per fortuna di quelli separati da virgole, nel senso che il secondo appare solo nell'estratto di nascita e non nei documenti normali come la carta d'identità o il tesserino sanitario. E per fortuna non devo metterlo neanche nella firma. E meno male, perché il mio secondo nome proprio non mi piace, ma tant'è, era quello della nonna materna, e per rispettare la tradizione...
Comunque due nomi non mi bastavano, a un certo punto mi sono sentita così tanto 'QuellaDellUltimoMiglio' da ribattezzarmi, così, a quarant'anni. L'ho pensato sotto la doccia, ispirata dalla sacra inondazione sulla fronte.
Perché proprio quel nome? No, non sono una vecchia lupa di mare, e neppure partecipo alle maratone anglosassoni, né come tifosa né come sportiva, anche se ha a che fare con le mie maratone domestiche.
Il nome l'ho preso dalla Telecom. Vi ricordate quando si era all'inizio della liberalizzazione dei servizi delle aziende telefoniche? Ne spuntavano di nuove che ti facevano il contratto per i servizi, però il fatidico 'ultimo miglio' di connessione, il pezzo di filo che dall'ultima centralina ti arrivava dentro casa, rimaneva misteriosamente di proprietà della Telecom, con il relativo canone dovuto.
Be', a casa mia, io ero la Telecom, quella dell'ultimo miglio.
Se ad esempio dopo la spesa chiedevo a mio figlio Son-Tiscali di portare i flaconi di shampoo nel loro armadietto, lui li portava in bagno e li depositava sopra al piano di marmo. Poi dovevo arrivare io, QuellaDellUltimoMiglio, a completare la connessione: apri il mobiletto, afferra i flaconi e riponili all'interno, chiudi mobiletto. Connessione completata.
Quando mio marito Husband-Wind doveva portare le bottiglie vuote nel contenitore del vetro in garage, effettuava circa dieci metri di connessione, dalla cucina al garage, depositando le bottiglie sulla credenza del garage. P

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   2 commenti     di: Mamma Pigra


Tra passato e futuro

Sorgere dal nulla, vivere di nulla e congedarsi con nulla: il senso di possedere senza avere, immerso in indicibili sussulti di ineguagliabile libertà. Il tuo dolore culmina in un rinnovato spirito dei sensi, al che ti ritrovi a sentir conforto in un freddo vento o nella pioggia battente. Ti ricopri dell'incondizionato amore del creato, ti senti parte di esso, ti senti vita che gioisce nella vita stessa. Ti volti indietro, a contemplare ciò che fu: un'amicizia finita, un amore che veneravi come eterno (ma inutilmente...), un'idea per cui ritenevi giusto lottare... ed ora l'immobilità impercettibile di un tempo miracolosamente fermo, statico.
La tua anima divora ogni affanno, ispirata da una fame generosa e di te pietosa per i tuoi tristi ricordi; il tuo silenzio s'innamora dei suoni di ciò che ti circonda; la tua ira si fonde con la speranza, regalandoti immensa gioia. Torni a posare il tuo sguardo verso giorni vissuti: torni a commuoverti per il dono di letizia e disprezzo di chi porterai sempre con te, ogni giorno.

Ti soffermi a percepire la complessa essenza della unione di amore e odio, di quel misterioso amalgama che scolpisce la sua cicatrice sulla tua pelle, di quel perverso e indistruttibile vincolo tra te e il cuore di una persona che mai più rivedrai, se non in future vite, sotto mentite spoglie, con la mente ricolma di ricordi nuovi, di emozioni nuove...
Rivederla, non rivederla? Continuare a sospirare oppure decidere follemente di farsi del male? Ancora...? Abbandonarsi all'oblio dolcissimo di una desiderata dimenticanza...?

Capisci la fregatura insita nella inutilità beffarda di una sottospecie di dubbio amletico: la risposta la sai già. La risposta è: si, voglio rivederla. La risposta è: no, non voglio rivederla...

   1 commenti     di: Duca F.


Requiem Per Un Sogno Vecchio e Per Uno Nuovo

Emigrati. Economici, politici, bianchi e di colore : emigrati. Gente che parte con la speranza di una vita migliore e che non ha fatto i conti su quanto sia difficile andare e cominciare da capo, per di più in un paese straniero. Hanno una cosa in comune : sono emigrati. Gente che non sa più dov’è il suo posto, dove si trova la sua casa. Fisicamente vivono e lavorano in un paese straniero ma l’anima e il cuore li hanno lasciati nel loro. Il sogno di una vita migliore presto finisce, la vita è dura da per tutti, i problemi sono relativi. Per di più rimani sempre straniero. Un uomo senza un passato che ti sostiene, un eterno infido, a cui manca il fiato tutte le volte che sente che è successo qualcosa, tutte le volte che vede in tv i crimini causati da emigrati. Su di te si può pensare e dire ogni cosa, sei un straniero, uno sconosciuto, e dello sconosciuto la gente ha sempre paura. Allora stringi i denti e tiri avanti. E chi non lo farebbe? Torna per le vacanze nel suo paese, con una montagna di malinconia nel cuore e spera di trovare i suoi amici che ha lasciato là, quel piccolo bar, la dolce vicina di casa con la quale ha condiviso per anni e anni i suoi problemi e preoccupazioni. E trova … cambiamenti. Gli amici non hanno più tempo per te, il bar non c’è più, al suo posto c’è un altro edificio alto, il ritmo della vita e cambiata. Ti dicono che qualcuno è diventato ricco, e qualcuno fa la fame. Ancora peggio qualcuno non c’è più tra i vivi… Ci sono così poche le cose che non le trovi cambiate, cosi poche, che cominci a sentirti straniero nel tuo paese e non vedi l’ora che i giorni di vacanza, oramai pieni di rabbia, passino in fretta per ritornare al tuo lavoro e che la vita prenda i suoi ritmi. Ti senti uno straniero che lascia il tuo paese per tornare di nuovo straniero in un paese straniero. L’aereo decolla e tu giri la testa per vedere anche una volta indietro, e tutta la tua rabbia svanisce e la malinconia rico

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   2 commenti     di: suzana Kuqi


Una bambola

Bastava poco
Una bambola, un pomeriggio di libertà, amica la nostra fantasia, per volare dentro il suo cielo, una mano stretta per la strada, una complicità, una promessa, dovevo andare via, ma sarei tornata a trovarla a raccontarle fiabe, ad inventare nuove avventure, ad ascoltare i suoi occhi, a raccogliere margherite e a farne collane, a regalarci ancora un po' di noi... continua laura... mi ascoltava rapita... poi arriva come sempre lei, la vita che ci divide ci porta via... c'è sempre un prezzo da pagare
Tornare e sentirsi cambiati. Diversi, lontani, cercarla in altri luoghi in altri volti, in altre mani... e poi quando l'avevo trovata averla già tradita, essere stata già lasciata e quella promessa svanita... non ho avuto grandi amicizie alcune, perse per strada, quante volte sono tornata indietro a cercarle, a seguire i passi, un po come un cane fiuta il percorso e cercare di capire, un po come si torna a trovare una casa che abbiamo lasciato piena di perché e di mistero ma passato... a cercare di comprendere ma i perché abitano come i piccioni incuranti di te... non si nutrono di risposte, non si fanno troppe domande... forse è l'indifferenza che li uccide.
Una mamma a cui mi aggrappavo, la paura dell'abbandono, di perdersi dentro quel supermercato e di non trovarla più...
E così per futili o grandi motivi... non so se credo ancora in lei... sono stata tante volte tradita e l'ho ferita anch'io a modo mio... un bacio in una sera d'estate già ci aveva divise e poi la maturità e la ragione il dovere, la fretta e gli ingredienti che spesso si scordano che non fanno dolce, a volte si scorda la dose, altre volte di miscelare bene... e l'egoismo fa il resto.
Oggi vedo solo tanto opportunismo e grandi alleanze, un po come nella politica di convenienza, un po' come una guerra, dobbiamo sconfiggere il nemico chi riteniamo una minaccia... sembriamo grandi ma solo in apparenza, si torna sempre ad essere bambini con la paura del la notte... di attraversar

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   0 commenti     di: laura marchetti


Il Guardiano dei Gatti (parte 2)

(Prologo)

Quando perdiamo qualcuno; improvvisamente ci rendiamo conto di quanto poco abbiamo espresso nei suoi confronti.
E quel silenzio, quegli attimi diversi da come veramente li avremmo voluti;
ci rimangono dentro come un peso eterno.
-

Lasciai entrare il gatto che si strusciò piacevolmente sulle mie gambe.
"Solo per stanotte" Gli dissi.
Lui mi guardò con quegli occhi pieni di pioggia, poi si scosse un po; e dopo essersi stiracchiato si diresse in cucina ed andò verso il frigo.
"Ma guarda questo" Pensai. "Li inviti per una notte e subito vogliono vitto ed alloggio" "Non c'è niente per te qui!" Gli dissi. "Non ho cibo per gatti" Rimarcai.
Lui mi osservò silenzioso; poi si mise perfettamente di fronte al frigorifero e con un zampetta diede due colpi.
"Guarda che nessuno ti apre qua" Sorrisi. Fece lo stesso per tre volte di fila.
A quel punto mi venne il dubbio non so dire di cosa; sarebbe da folli pensare che dentro ci potesse essere qualcosa; ma aprii il frigo.
Due secondi. Ci mise due secondi per saltarci dentro; azzannare un pomodoro e portarselo via. "Ma come cavolo ha fatto?" Imprecai.
"È un diavolo sotto forma felino? Oppure sono io il fesso?" Mi chiesi.
Guardai il gatto, ora chino vicino alla tenda del soggiorno divorarsi il pomodoro.
"Ok io vado a letto! Il mangiare l'hai avuto; vedi di non fare danni"
Andai in camera senza pensare che fino a quel momento avevo deciso di dormire sul divano. "Ma cosa sto facendo?" Pensai. "Qual gatto deve avermi confuso! Non posso dormire qua" Tornai così verso il divano; e lui era li. Spaparanzato beato che sonnecchiava.
"Sei insopportabile sai?" Gli dissi.
"In due minuti sei entrato, approfittandoti del mio cibo, della mia casa ed ora anche del divano? Scendi! Scendi Subito" Urlai.
Il gatto che non parve per niente impaurito stranamente scese.
"Ah! Bene! Ok" Dissi. "Ci dormo io qua!" Replicai. Rimasi un attimo in silenzio.
Poi mi addormentai. Fu incredibile la stanchezza che mi cadde addos

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   0 commenti     di: Dark Angel


Riflessioni di una serata particolare

Ero uscito con alcuni amici per farmi un giro. Il solito giro del cazzo prima di impazzire totalmente. Un giro che serviva a rilassarmi. Avevo bisogno di bere, forse per poter stare più tranquillo, forse per deprimermi un po' di piu', o forse non esisteva nessuna ragione.
Appena uscito vidi un casino di gente per le strade... Un fatto molto strano per la mia citta' che si è sempre contraddistinta per la sua "vitalita'".
Ci misi un po' a capire perchè le strade erano colme di zombie. Un pensiero mi fece tornare la memoria. La festa del paese. L'orribile festa del paese, il giorno in cui incontri chi non vorresti mai più rivedere. Le vie erano piene di bancarelle, venditori ambulanti, gelatai, giostre. Non avrei mai pensato di vedere tanto fallimento in tutta quella umanita'.
Arrivai al parco, il nostro punto di ritrovo, ed incontrai subito Marco. Capii subito dalla faccia che tutto quel bestiame non era gradito neanche da lui. Poco dopo arrivarono Donzo e Skappe. Un paio di battute su quello scempio vivente, qualche riflessione sulla sbronza della sera prima e poi diritti al pub.
La vitalita' di Marco non era alle stelle, e decise di tornarsene a casa.
Restammo in tre. Appena arrivati nel locale ci prendemmo un campari col bianco a testa. Bisognava iniziare a bere, ma erano anche le quattro e mezza, e tutto il tempo era nostro. Personalmente avrei preferito farne a meno del pub, visto i costi, ma la domenica è un giorno abbastanza proibitivo. Mi capito' molte volte il sabato di comprare il liquido per la domenica, ma tutte le volte l'alcol veniva consumato la sera dello stesso giorno. Iniziai a bere con più convinzione, alla fine volevo sbronzarmi. Una, due, tre, quattro birre... Era proprio buona, andava giu' che era una meraviglia. Tennentz... forse l'unica pecca era il gusto un po' troppo dolce. Non tornai a casa a mangiare. Rimasi li a bere. Vino bianco, whiskey, bibitone, Spritz... un po' di tutto. Quando inizio a bere devo rag

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   1 commenti     di: aleks nightmare


davanti ad un bicchiere

Sempre fregati noi scrittori "dannati".
Curvati su tavolini traballanti in bettole di periferia, con le braccia conserte e la testa china ad alitare su fogli insolenti, penosamente bianchi... a rimproverarci: "che c##zo scarabocchi a fare... ma trovati un lavoro, serio. (col "serio" pronunciato accentuato)

Ed il sapore del liquore al malto che esali dal fiato ti ritorna in faccia, perchè la bocca è a pochi centimetri dal tavolino.
"Sì... sì. Ci vuole un lavoro. Uno... serio. Ma dopo... Dopo. Butto prima giu' quest'altra stronzata... Poi, sì. Un lavoro."

La mano scarna solleva tremante un bicchiere di vetro pesante. Di quelli di una volta. Con una scheggiatura sul bordo. La testa si solleva. Un pensiero balza alla mente. Un sorriso ironico si accenna su un viso disgustato... disgustato da ipocriti, figli di papà, idioti, puttane d'alto borgo, vagabondi, politici, intellettuali, snob...
Un brindisi. "Che si fottano, tutti quanti."
E giu' il sorso.

Al lavoro.

   2 commenti     di: Romano PRESTA



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