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Riflessioni

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Insonnia

Apro gli occhi. Le due passate. Sono a letto da circa due ore, sono stanco, voglio dormire. I miei pensieri non smettono di tormentarmi. Mi perseguono, non mi mollano. Gli prego di andarsene, provo a spiegare loro che al mio risveglio una giornata impegnativa mi aspetta, che avrò tempo da dedicar loro la notte seguente, ma niente. Continuano. Inarrestabili. Fluiscono nella mia mente come un fiume in piena. Non c'è modo di arrestarli. Sono quasi sicuro che il mio corpo, la mia mente siano cose completamente staccate dai miei pensieri. La mia testa implora pietà. La giornata è stata lunga e sono stanco. Niente. Continuano. Penso mi odino, non farmi dormire, come volessero punirmi. Vagano dal futuro incerto che mi aspetta, a i miei tristi ricordi del passato che sinceramente pensavo di aver dimenticato, di averli riposti in zone sperdute della mia mente, nel dimenticatoio. Ma tornano, mi tormentano. L'insonnia. La mia orribile punizione, la vendetta dei miei pensieri sul loro padrone, per qualcosa che ho fatto in vita. Ne sono sicuro. Direi che nell'inconscio mi sto punendo da solo, come se volessi pentirmi di qualcosa che ho fatto. Ma non sono io. Sono loro. Non mi mollano, non la smettono. Mi giro nel letto. Sono sicuro che questa nuova posizione mi darà maggiori possibilità di cadere nel sonno. Niente. Mi arrendo, mi accendo una sigaretta. Penso che appena finita, ucciderò ogni pensiero, farò in modo che mi passino attraverso, non darò loro importanza, così, magari, sentendosi ignorati se ne andranno. Riprovo a dormire. Niente. Eccoli la, ansiosi di entrarmi nella testa, di accomodarsi, per poi non più andarsene. Accendo il ventilatore nonostante il freddo in camera mia. Il rumore delle pale, del motore che si gira, mi infastidisce ma allo stesso tempo copre in parte i miei pensieri, come il vento sposta gli oggetti reali, questo, facesse smuovere i miei pensieri, allontonandoli. Ma non tutti, quelli che credo siano più importanti rimangono, non sarà u

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Ode all'albero

è incredibile quanto sia puntuale la natura. Sono sul mio letto che ascolto musica da un lettore e guardando dalla finestra vedo le foglie di un albero che si lasciano cadere trasportate da un vento leggero.
Ogni anno puntuale;gli inizi di Novembre portano sempre un briciolo di malinconia a chiunquesi soffermi solo un attimo a notare con quale perfetto tempismo ogni anno gli alberi decidano di farsi spogliare dio ciò che possiedono in questo preciso periodo dell'anno. Ecco una cosa couriosa, perchè proprio in questo periodo?
Eppure un qualsiasi essere vivente in questo periodo ci penserebbe due volte prima di togliersi di dosso qualcosa che lo possa riparare dai primi freddi pre-invernali.
Invece gli alberi no; loro si spogliano e restano la, tutti nudi a prendersi quei simpatici venticelli gelidi che noi uomini evitiamo con felpe e giacchettini vari: FESSI!
Ma non dimentichiamoci i sempreverdi: loro si che sono furbi, inverno ed estate sempre con il loro bel carico di foglie a proteggerli da qualsiasi tipo di attacco climatico; ma non suderanno d'estate?
Certo, resina docet!
E un sudore appiccicoso come il loro è difficile da trovare in giro, anche se qualcuno ci va molto vicino!
Provate a mettervi nei panni di un albero: ancora non è nato e ha già 1000 pensieri per la testa. Dove mi pianteranno? Si prenderanno cura di me? Mi faranno crescere ben eretto? Mi beccherò qualche fumine quando sarò grande? E i funghi, quei maledetti, mi useranno per la loro crescita?
Non sono di certo problemi da trascurare, ma il problema più grande è che l'albero non può farci assolutamente niente!
Ah, se un albero potesse parlere quante ne avrebbe da dire!
Comincerebbe a sparare a zero su tutti noi che con le macchine mettiamo nell'aria della roba per lui irrespirabile, ci racconterebbe del viaggio che ha fatto quando era un seme trasportato dal vento, di quando due innamorati hanno inciso sul suo tronco i loro nomi circondati da un cuore procurandogli un dol

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   3 commenti     di: Davide Parpinel


Commentando JOBS

Il discorso pronunciato nell'ottobre 2005 dal fondatore dell'Apple, S. Jobs, di fronte ai ragazzi dell'università di Stanford Milano è ormai diventato celebre attraverso le televisioni di tutto il mondo ma soprattutto grazie al web, mezzo di comunicazione mondiale del 21 secolo.
La fama di S. Jobs, come spesso accade, è aumentata in seguito alla sua morte dovuta ad un tumore che a distanza di 6 anni dal suo discorso lo ha ucciso. Ma le parole restano, le idee dimorano all'interno delle persone e si calcificano per non andare più via. Il fondatore dell'azienda della Apple, una delle più famose marche del mondo tecnologico diceva ai giovani di essere folli, di essere affamati di curiosità e pazzia, sono perfettamente d'accordo con le parole di Jobs, il nostro tempo è limitato, bisogna quindi cogliere l'attimo, come disse il famoso filosofo latino il cui pensiero fu ripreso nel celebre film "l'attimo fuggente". Nel mondo d'oggi siamo circondati da dogmi, che seppur necessari per il vivere civile, ci intrappolano in una rete inestricabile, cosi ben costruita in grado di farci obbedire senza ragionare, agire per consuetudine, non per altro. Basti pensare al sistema scolastico, fin dalla prima età si è costretti ad andare a scuola, a stare seduti, incamerando tutto ciò che ci viene insegnato, un metodo standard utilizzato con alunni, quindi con menti una diversa dall'altra. Questo rifiuto del sistema scolastico è ormai diventato di moda nel pensiero anarchico di molti giovani, discutendo con i miei amici di questi argomenti abbiamo trovato molti punti in comune ma molti altri in disaccordo, personalmente penso che l'istituzione scolastica sia assolutamente necessaria per il futuro di ogni generazione, ma imparare vuol dire ragionare, riprendendo le parole di S. Jobs vivere secondo il pensiero di altre persone non è vivere. I professori non dovrebbero quindi imbottire la nostra mente di nozioni che a distanza di poco tempo verranno dimenticate perché ritenute

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   2 commenti     di: marzia


Morte di un angelo

Era un po' come al solito al bar. La solita gente, le solite faccie, niente di nuovo. appena entrai mi diressi subito al bancone a bermi un buona birra gelata. una birra gelata, proprio quello di cui avevo bisogno appena dopo il lavoro. Era un periodo un po' del cazzo per me, visto che lavoravo solo da un paio di mesi. Il punto era questo: mi servivano dei dannatissimi soldi per alcuni guai in cui mi ero cacciato, e visto che nella vita ognuno paga le sue colpe(anche se per me quello che avevo fatto non era una colpa) dovevo lavorare a tutti i costi.
Avevo avuto anche abbastanza fortuna a trovare un lavoro cosi' in fretta, nel giro di un mese la sveglia riinizio' a suonare in casa mia. Facevo tubi di acciaio che servivano per gli scarichi dei cessi delle navi dove qualche riccone avrebbe passato le ferie, e magari gia' che c'era si scopava qualche bambina mentre la moglie lo cornificava con un uomo più giovane di lui.
Non mi era andata male. Lavoravo otto fottutissime ore al giorno, ma alla fine lo stipendio non era malaccio. Certo non ci avrei ma i passato la vita in quel gran bel posto di merda della fabbrica. Comunque, entrai nel bar, inizia a bere una birra, dopo un'altra e un'altra ancora, fino ad arrivare alle sette e mezza totalmente ubriaco. Non tornai neanche a casa a mangiare, non avevo voglia ed in più era un po' un periodo del cazzo. Forse dovevo dimostrare qualcosa a qualcuno, ma io quello che dovevo dimostrare non l'avevo per niente capito, e quindi ero molto irrascibile e pronto a scattare ad ogni minima provocazione, anche quella di qualche amico.
Entro' Ronny, un tipo sulla quarantina abbastanza scassa-cazzo, sempre pronto a giudicare la vita degli altri, sempre pronto a sputtanare la madre di qualcuno, sempre pronto a non farsi i cazzi suoi. Il roblema di Ronny era uno solo, aveva quarant'anni e non aveva combinato proprio niente nella sua vita: non aveva un lavoro, e s'indebitava come un dannato con puttane d'alto borgo, coca,

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   1 commenti     di: aleks nightmare


Dono, dovere, scelta

Nel suo film capolavoro "Il sapore della ciliegia", il poeta e regista iraniano Kiarostami si interroga sul significato dell'esistenza. In particolare se debba essere intesa come dono, dovere o scelta. Un uomo vaga per la desolata e pietrosa periferia di Teheran alla ricerca di qualcuno disposto a ricoprire di terra la sua fossa, qualora abbia avuto il coraggio di farla finita. Trova tre persone in successione: i primi due rifiutano l'offerta, il terzo uomo accetta non prima di avere raccontato la sua storia. Anch'egli covava un simile proposito, nel momento dell'atto fatidico aveva cambiato idea nell'assaporare il frutto del gelso.


Un film importantissimo che apre la strada a delle riflessioni cruciali. Anche a me è capitato di gustare il sapore dei gelsi, a dire il vero il gelato artigianale ai gelsi neri è qualcosa che apre le porte del Paradiso. L'unico gusto che amo e che mi ricorda momenti del passato, un senso di felicità.


La vita intesa come dono è un'idea affascinante che ce la fa accettare ben volentieri come un grande, grandissimo regalo, un pacco chiuso che contiene molte cose, anche il gelato artigianale ai gelsi neri. Se qualcuno ci fa un regalo, lo prendiamo. Appena scartato, dalla nostra espressione si capirà se il contenuto ci aggrada, ci rende felici oppure schifati. Se all'interno del pacco c'è un topo morto, ci metteremo a urlare in preda ad una crisi isterica, specie se siamo schizzinosi. Allora, cosa faremo? Nella migliore delle ipotesi, getteremo il pacco nel fiume.



La vita come dovere. Per molto tempo ho creduto che il mio dovere fosse quello di essere una brava persona, studiare e fare una carriera, rendere orgogliosi i miei genitori, fare del bene al mio prossimo. Oggi come oggi, ho smesso di credere a tutte queste stronzate. In giurisprudenza, il dovere è una specie di obbligo, più blando di un obbligo, che predispone a un diritto. Se ho un dovere da compiere non si scappa, avrò anche un diritto da far valere. Pen

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   2 commenti     di: vincent corbo


Se solo

Se solo potessi possedere il tuo sguardo, conservarne il gesto, con la sua immensità. Potrei, allora, raccontare a tutti cos'è l'amore. E nel buio di una notte potrei illuminare il cielo di luce, un bagliore accecante per i cuori spenti dall'odio. Siamo sempre più immuni alle emozioni, ormai incapaci di amare, sorridere, ascoltare, piangere.. Non siamo più noi stessi e viviamo una vita che ci corre davanti. Condannati ad inseguirci senza mai afferrarci. Se solo riuscissi a vivere ogni istante della mia esistenza con la stessa intensità e la stessa forza di quello sguardo..

   0 commenti     di: Luca


Ciò che era stato

Stava bene con lei Gianni. Si erano conosciuti da poco, lui e Laura, e avevano iniziato a uscire insieme. Bella, simpatica, intelligente. Così gli sembrava. E andava tutto bene fra loro due fino a quel giorno, quella sera a casa di Barbara. L'amica aveva invitato loro due e altri per festeggiare qualcosa. Cosa? Non ha importanza, c'è sempre qualcosa da festeggiare.
Stavano tutti seduti nella sala a bere, fumare, ridere e scherzare. A festeggiare. E Gianni sapeva già con chi festeggiare. Si era seduto affianco a Laura ed era entrato nell'atmosfera della serata senza perdere l'occasione di scambiare parole e qualche bacio con quella che era diventata ormai la sua ragazza. Non ne avevano mai parlato ma è così che si presentavano. Lui e la sua ragazza. Lei e il suo ragazzo. E andava tutto bene fra loro, fino a quella sera. Tornato a casa invece la iniziò a detestare. Capii che era pessimista, ipocrita, bugiarda. E spesso teneva comportamenti strani, non infantili, ma proprio idioti. Capii questo dopo un breve ragionamento, e così iniziò ad evitarla. E andava tutto bene fra loro, lui e il suo inconscio, fino a quell'esperienza, fino a quando capii di odiare sé stesso, ciò che era stato.

   0 commenti     di: vasily biserov



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