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Racconti di ironia e satira

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Una poco sana tradizione

Una poco sana tradizione


Torr, famoso dilettante del paese, decise di non perdere la tradizione della famiglia: chiamare il primogenito con le iniziali del nome di una pedina degli scacchi. In realtà la tradizione era più complicata: il padre avrebbe dovuto chiamare il primogenito con il nome della pedina da lui preferita. Il padre di Torr, naturalmente, vinceva le partite grazie alle sue due torri che era solito chiamare Carmela e Giovanna. Allo stesso modo, Torr divenuto per la prima volta padre, nominò il neonato Alf. Cresciuto fin da piccolo, a pane e scacchi, mangiando su una scacchiera, dormendo riscaldato da copriletto quadrettati, Alf non riuscì a far altro che giocare a scacchi per tutta la vita.
Cominciò non appena poté e finì il più tardi possibile. Alf, a causa della sua postura errata, ben presto si ritrovò con una scoliosi niente male. Il padre e la madre lo portarono dall’ortopedico, che alla vista di cotanta obliquità non fece altro che mettersi le mani nei pochi capelli che gli rimanevano e abbandonare dapprima il suo caso (a dir poco patologico), e poi il suo mestiere. Non c’era dubbio che chiamar i propri figli con nomi quali Torr non poteva che renderli alti e robusti, verticalmente e orizzontalmente ben messi, ma chiamare il proprio figlio Alf, come minimo significava averli storti fisicamente e nei casi più sfortunati anche mentalmente parlando.
Non si può sostenere che Alf sia un vero e proprio dritto. In effetti, la sua stortezza era colossale; per un certo verso originale, per altri un po’ meno.
Cominciò a giocare a scacchi. Era diventato famoso per le sue grandi abilità strategiche, per gli arrocchi pomposi e le sue forchette indimenticabili. Tuttavia, ciò che più rendeva il suo gioco estasiante, era l’uso predominante e scalciante dei cavalli; che puntualmente aveva chiamato: Napoleone e Pegaso gli impavidi.
Nella sua vita aveva giocato a scacchi.
I suoi pezzi forti erano i cavalli.
Si sposò.
Fece

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Sangue

La scena più raccappricciante che abbia mai visto.
Giuro.

È lì davanti a me.
Sdraiato sul letto ancora tutto vestito.
Trapunta buttata per terra.
E quel sangue.
Su tutta la bocca.
Su tutto il naso.
Anche la barba ne è piena.
Per non parlare della maglietta.
La macchia sul petto ormai secca emana un odore acre da far vomitare.
Che puzza.
E pensare che l'avevo avvertito.

Ha aperto gli occhi.
Un colpo di tosse.
E continuo a guardarlo.
Strabuzza gli occhi e muove le dita come per riattivarle dopo secoli di riposo.
Si alza.
Io continuo a guardarlo.
Cammina trascinandosi e solo ora sento anche un fetido odore di rhum.
Chissà che diavolo avrà combinato ieri sera.
Stanotte?
Non ci penso nemmeno.
Il suo volto senza espressione continua a fissarmi.
Ma nessun brivido.
Adesso è a un metro da me.
Tende un braccio.
Dio che puzza.
Apre la porta del bagno.
Ci entra.
Si sciacqua la faccia con litri di acqua.
Si toglie la maglia e la getta ai miei piedi.
«Dalle fuoco» mi fa.
La ceramica del lavandino è ormai sporca del suo sangue.
La fatica con cui si toglie il sangue di dosso mi fa capire che è sul suo viso da chissà quante ore.
Gocce di sangue su tutto il pavimento.
Si rimira allo specchio tutto attento.
Si asciuga e l'asciugamano è ormai da buttare.
È soddisfatto.
Il suo volto può finalmente assumere espressioni.
Si gira con un ghigno dei suoi.
«Una sbronza che non ne hai idea ieri sera. »
«Immagino» gli rispondo.
«La prossima volta che succede, non addormentarti. Hai visto che casino? »
«Hai ragione scusa. Pulisco io. »
«Ovviamente» gli rispondo.

L'attacco di epistassi più forte della storia delle epistassi.
Giuro.

   9 commenti     di: Guido Ingenito


Le romane

"Le romane! Tu non hai neanche idea di come siano!... Sono tonde, carnose. Se ti fai strada tra le loro pieghe più segrete, forzando un po', le trovi lisce, candide,... di un turgido! Nel cuore del loro ventre hanno un cespuglietto di peli così morbidi... ti mangeresti anche quello, quando sei lì!"
Dopo queste parole deglutì e alzò il bicchiere, ammiccando attraverso il vetro spesso.
Alì, grattandosi un orecchio, disse tra sè e sè:
"A questo punto devo cercarle, queste romane, devo trovarne qualcuna, per vedere se sono davvero così...".
"Va' per vie di negozi e le troverai senz'altro. Se domandi te le indicheranno subito, le conoscono tutti!"
Entrò al Simply Market, non c'erano vie di negozi, dove abitava.
A un commesso, dietro il banco della verdura, in legno rigenerato, domandò:
"Ci sono le romane?"
"No, qui tutto è del posto. Ti assicuro che è meglio. Perchè cerchi proprio quelle?"
"Mi hanno detto che sono belle!"
"Guarda che anche se fuori lasciano a desiderare, il cuore è sempre lo stesso,... da favola!"
E gli mostrò certi capolini di carciofo, nostrani.
"Ma io intendevo... ragazze!"
"Qui al Simply Market anche il personale è a km 0. Se vuoi incontrare ragazze romane devi farti 600 Km, sai che inquinamento! Lascia stare le 'mammole' e goditi le nostre 'gnare'."
E gli disse che cosa avevano di bello.
Per ringraziarlo Alì comprò quattro capolini con le spine, li mise in un sacchetto biodegradabile che si strappò subito, dentro un cestino di ex tappi.
Poi uscì, si guardò intorno e vide che di 'gnare' ce n'erano assai, neanche tanto 'carciofe'.



Dieta!

Ci risiamo.
È arrivata la primavera ed ho ripreso la dieta. Al mattino due fette biscottate integrali ed un bicchiere di the con dolcificante. Roba che alle dieci vedo venire verso di me un tuareg con tanto di cammello. Manco fossi in un’oasi nel deserto.
Per fortuna arriva mezzogiorno, e la sospirata pausa pranzo. Una lauta insalata senza olio ma con aceto a sufficienza per far deragliare qualsiasi tentativo di deglutizione. Cinquanta grammi di formaggio ipocalorico dal sapore dell’acqua di fonte, e due gallette di farro molto simili al polistirolo d’imballaggio. Chiude un frutto, che di solito corrisponde ad una mela dal diametro d’albicocca, e per dolce uno yogurt così magro che anziché bianco risulta essere trasparente.
Ah! L’insoddisfazione mi aggredisce dopo tre minuti, sotto forma di attacco di panico con complicazioni maniaco-depressive. Tento di smaltire l’ansia masticando un chewingum senza zucchero, ma il gusto svanisce alla terza masticata.
Conto i minuti?" purtroppo sono ore - che mi separano dallo spuntino delle 16. 00: altro frutto, accidenti a lui, sempre e solo un frutto, che nella fattispecie dovrebbe essere un kiwi-nespola. Alle quindici e trenta il kiwi è già digerito, con l’alibi che magari stasera mangio un po’ in anticipo.
Alle diciassette esco per fiondarmi in palestra; dopo cinque minuti di tapis roulant, con in corpo duecentoquattro calorie dal mattino, vedo passarmi davanti un incantatore di serpenti col turbante, manco mi trovassi nella casbah di Marrakech.
Abbandono il lavoro aerobico, e mi dedico alle macchine gonfia muscolo. Accanto a me, due splendide quarantenni addobbate da sana cellulite si scambiano ricette per la Pasqua imminente. Così conto le divaricazioni delle gambe mentre ascolto di sformati di asparagi, torte salate salame e pecorino, penne alla salsiccia ed involtini di bresaola e caprino. Mi raggiungono dodici ballerine di flamenco, manco fossi a Barcellona.
Mi riassale la crisi depressiv

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Caro Babbo Natale

Caro Babbo Natale,
l'altra sera ti ho visto!
Si, Babbo Natale, eri proprio tu. Non ci posso credere! Eri proprio tu!
Io veramente avevo qualche dubbio sulla tua esistenza, perché i miei compagni di classe mi hanno detto che i giocattoli li portano i loro genitori.
I miei compagni di classe mi hanno detto che è tutta un' invenzione dei grandi e che sono proprio loro che portano i giocattoli a noi bambini.
Caro Babbo Natale, devo dire che un po' non ci credevo più neanche io a questa storia dei doni, delle renne, della slitta volante e tutto il resto. Però da quando ti ho visto ho capito invece che i miei compagni di scuola sono stupidi e non devono dire certe cose. Che poi va a finire che altri bambini tipo me, forse un pochino meno intelligenti di me, non ci credono più in te.
Certo, caro Babbo Natale, devo ammettere che è difficile credere che un tipo un po’ anzianotto come te e, te lo devo proprio dire, anche un po' sovrappeso, possa svolgere tutto quel lavoro di prendere le ordinazioni dei desideri, caricare tutti i giocattoli sulla slitta volante, arrivare dal Polo Nord fino alle nostre case e consegnare il tutto entro mezzanotte.
Si, se non ti avessi visto con i miei occhi, forse la mia fede in te avrebbe vacillato.
Ma io oggi a scuola l'ho detto ai miei compagni! " Guardate - gli ho detto - che vi state sbagliando su quella storia che sarebbero i grandi a portare i regali ecc. ecc.!" Loro hanno detto che sono un moccioso credulone, ma io lo so che esisti veramente.
Me lo ha detto mamma.
Mamma mi ha detto che eri tu. E io lo sapevo che saresti venuto anche quest'anno.
Anche se mamma e papà non si parlano tanto, ogni volta che ti vedo, mamma diventa sempre tanto gentile con papà. È come se anche lei, quando vieni, ricevesse un dono.
Deve essere proprio un bel dono, perché mamma, che prima è sempre arrabbiata, specialmente con papà, diventa simpatica e allegra.
Mamma ride sempre quando vieni. Io lo so che anche lei un pochino ti

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   3 commenti     di: Giacomo D'Alia


Del pianto

                                                    DEL  PIANTO

Una strada di città. Un uomo cammina piangendo. Viene avvicinato da un passante che crede di conoscerlo e lo ferma.

Emilio: Carlo!

L’uomo che piange si volta verso il passante.

Emilio: Carlo, ma sei tu! Sei proprio tu!

L’uomo che piange si tampona l’angolo dell’occhio destro con un fazzoletto

Carlo: Mio Dio, Emilio! Incredibile! Quanto tempo!

Emilio: Carlo, vecchio mio, come stai? ( lo abbraccia, lo bacia)

Carlo ( singhiozzando) Emilio… Mio Dio, come sono felice di rivederti!

Emilio: Oh, che emozione! Accidenti, ma quanto tempo è passato?

Carlo: (con la voce rotta dal pianto ) Non lo so, non lo so…. Tanto tempo, Emilio, tanto tempo!

Emilio: Troppo, si, troppo, amico mio!

Carlo: ( piange disperatamente) Che gioia rivederti! Mi metti sempre di buon umore anche dopo tanti anni!

Emilio: ( perplesso) Di buon umore, si! ( lo osserva preoccupato )

Carlo: Ma non lo so, sarà la tua cordialità,  la tua faccia buffa ma … ( singhiozza, si interrompe) ma… ( un fiotto di pianto lo investe nuovamente )…Scusami Emilio…
( tira fuori dalla tasca un fazzoletto piegato, lo apre mentre Emilio lo osserva, lo sgrulla più volte per distenderlo, si soffia il naso con un rumore fragoroso, ispeziona l’interno del fazzoletto poi lo piega in quattro meticolosamente e lo ripone in tasca sotto lo sguardo stupito e leggermente disgustato di Emilio)… scusami… Ma quanti anni sono che non ci sentiamo più!

Emilio: Dalla rimpatriata famosa?

Carlo: Dalla cena dal “corsaro”, dici?

Emilio: Lo sai che mi sa proprio di si?
Carlo: ( sempre piangendo) Ma dai!

Emilio: Credo proprio di si!

Carlo ( tira fuori il fazzoletto e si tampona l’angolo dell’occhio destro) Ma non è possibile! Saranno passati almeno vent’anni!

Emilio: Ventisette, Carlo! Sono Passati ventisette anni!

Carlo ( cessa per un attimo di piangere )

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   12 commenti     di: Giacomo D'Alia


incidente stradale

    Incidente stradale


Michele mentre camminava sulla sua auto, una autobianchi  A 112 quattro porte, dicono di colore blù( dicono, perché Michele distingue i colori, allo stesso modo in cui distinguerebbe, fra loro, due formiche gemelle, se mai si fermasse ad osservarle).
Soprappensiero, con la mente impegnata a far quadrare i cinti del magro stipendio, già completamente consumato, anche se mancavano alcuni giorni a quello successivo, guidava per una strada non ampia, quando all’improvviso il dramma: gli si para davanti alla macchina, e lui non riesce ad evitarla, investendola in pieno.
Michele scosso dall’accaduto, ferma l’auto e scende a verificare il risultato dell’investimento. Purtroppo niente da fare! È stesa lì, senza dare segni di vita. Michele si guarda disperatamente attorno, cercando conforto in uno sguardo compassionevole, che gli facesse pesare meno, la colpa di quanto accaduto, ma non trova nessuno, la strada è deserta, e lui è solo.
Dopo un attimo di riflessione, si muove! Ha deciso! Sarà lui stesso a prendere quel corpo senza vita, ed a portarlo là, dove potrà degnamente essere onorata. Mentre si avvicina al corpo inanimato, un grido! Michele si volta intimorito, e vede un uomo con gli occhi fuori dalle orbite, che urla: che avete fatto! Me l’avete ammazzata! Il nostro amico, tenta di spiegare che lui non ha colpa, che gli si è parata davanti all’improvviso e non ha potuto evitarla, ma invano! L’uomo disperato lo accusa: Lei camminava sulla destra, aveva la precedenza, è stato un atto criminale! E così dicendo, va  amorevolmente a prendere quel corpicino, mentre con gli occhi pieni di pianto, ne tesse gli elogi: Faceva l’uovo tutte le mattine, era la mia migliore gallina! Michele mestamente china il capo, rientra in macchina, mette in moto e si allontana, lasciando lì sulla strada, il risultato della sua disattenzione. Ha un nodo alla gola, mentre pensa: Peccato! Oggi potevo mangiare pollo, ed invece sarà br

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   4 commenti     di: pino carosis



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