username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti di ironia e satira

Pagine: 1234... ultimatutte

Implicazioni invisibili del terzo principio della dinamica

Su quel pianeta, come nell'intero universo, tutto era condannato a muoversi, e una delle leggi che regolava questo muoversi era quella che imponeva a ogni azione di avere una reazione che le fosse analoga e contraria. Gli abitanti del pianeta utilizzavano quella legge della dinamica per muovere veicoli e per sopravvivere al movimento, attraverso lo sfruttamento dei princìpi del movimento. Motori che producevano energia spingevano, dalla parte opposta a quella dove l'energia usciva con forza, gli stessi motori ai quali stavano attaccate le strutture che contenevano, allo scopo di favorirne il movimento, esseri che mai avrebbero immaginato che la legge della dinamica potesse avere delle applicazioni diverse da quelle che utilizzavano. Eppure le scritture sacre di quel pianeta avevano da tempo avvisato che a ogni azione sarebbe corrisposta una reazione uguale e contraria, e che quella reazione ci sarebbe stata anche oltre quello che era il dominio della scienza. Chiamavano, quella reazione, paradiso o inferno, secondo la qualità degli equilibri spezzati che sarebbero stati ricomposti dalla reazione contraria scatenata. La scienza non aveva smesso, per questa che le appariva come fosse soltanto una persecuzione morale, di applicare al movimento lo sfruttamento legale della ripercussione, così i veicoli erano progettati senza la preoccupazione del risparmio energetico. Alla scienza non pareva possibile che quello spreco di energia costituisse un'azione che avrebbe provocato reazioni inverse.
La questione da dover districare riguardava, semmai, quanto la simultaneità tra azione e reazione dovesse essere necessaria nel legame che si stabiliva tra una causa e il suo effetto. Ovviamente avrebbe dovuto esserci simultaneità a che da una causa potesse sortire un effetto perché, altrimenti, quando questo effetto si fosse verificato con un certo ritardo, anche se infinitesimale, si sarebbe attuata una contraddizione irrisolvibile, perché a un evento passato, e dunque in

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: massimo vaj


Due storielle

Provengo da un mondo antico e ne serbo la memoria. Nel dopoguerra ('40-'45), quando l'Italia divenne repubblicana, la disputa politica fu piuttosto accesa e durante la campagna elettorale del '48 tra il fronte delle sinistre e la coalizione di centro corsero parole grosse. C'era tuttavia anche una notevole vena ironica che stemperava la contesa. Ricordo una storiella che circolava a quei tempi, attribuibile ai sostenitori della DC e stranamente con una venatura di scurrilità:
Un bel giorno di sole l'onorevole De Gasperi (DC) passeggiando in campagna scorge, seduti ai piedi di un grosso albero, l'onorevole Togliatti (PCI) e l'onorevole Nenni (PSI) intenti a chiacchierare tra loro. Si ferma di fronte ai due e chiede di cosa stessero discutendo. L'onorevole Nenni risponde: "Ci stiamo chiedendo di che sesso sia questo magnifico albero. Io dico che è una femmina, mentre Togliatti asserisce trattarsi di un maschio." Risponde De Gasperi: "Senza alcun dubbio ha ragione Togliatti, si tratta di un maschio." "Come fa ad esserne sicuro?" chiese Nenni. "È facile, lo si capisce dal fatto che ha i coglioni sotto!"
Un'altra storiella risale agli anni '70 e curiosamente sembra adatta anche ai tempi nostri. È riferita all'onorevole Ugo La Malfa (PRI), che fu Ministro del Tesoro nel '73-'74. La Malfa era considerato una specie di Cassandra perché tuonava contro gli sprechi e sosteneva una politica economica rigorosa. Perciò fu messa in circolazione questa storiella:
Il Ministro La Malfa si presenta in Consiglio dei Ministri con la faccia cupa e annuncia: "Onorevoli colleghi, vi debbo dare due brutte notizie! La prima è che se andiamo avanti di questo passo in breve saremo costretti a mangiare merda."
"E la seconda?" chiesero i presenti molto allarmati.
"La seconda brutta notizia è che non ce ne sarà per tutti!"

   1 commenti     di: dino sauro


Il persuasore

Ai tempi della pandemia

- È dura, zio. Più dura di quanto avessi potuto credere al principio. Io ci sto mettendo tutta la mia buona volontà, però questo... come chiamarlo, questo...
- Mostro. La parola giusta è mostro, Ciccio. Un mostro che ti sta dilaniando sin nelle viscere. Ma vista la particolare situazione in cui ci ritroviamo, non hai altra scelta se non quella di continuare a combatterlo con tutte le tue forze. Minchia, per caso gliela vuoi dar vinta? Fatti coraggio su, e dimostra di essere un uomo. Sei un soldato, l'hai scordato?
- D'accordo, vorrei solo che ci fosse un modo, una via percorribile che mi permetta di ammansirlo il mostro.
- E quale modo e quale via percorreresti? Ragiona. Siamo bloccati in questo cazzo di appartamento ormai da più di un mese, relegati quasi sempre al buio, perché i vicini sanno che la villetta in cui abitiamo è disabitata. Il briefing notturno organizzato con i nostri alleati Medium ci ha fottuti in pieno. Chi poteva prevedere che fossimo rimasti bloccati qui da un cazzo di virus incoronato? Fottuti alla grande dall'epidemia, ora dicasi pandemia. Ne consegue che se non vogliamo attirare l'attenzione, caro mio bello, è preferibile rimanere qui. Siamo alla frutta, ma solo metaforicamente parlando visto che non abbiamo scorte alimentari. Con solo acqua del rubinetto e scatolette di tonno. Scatolette che ho requisito a un marocchino che ho beccato in strada rifilandogli in cambio una passata di calci in culo. Ma nell'occasione ho scorto sbirri dappertutto. È impensabile uscire a far la spesa. Ci riconoscerebbero.
- E se ci costituissimo?
- Bravo, così il sottoscritto come boss riconosciuto della malavita organizzata e latitante da non so quanti anni si becca l'ergastolo, con i primi vent'anni quasi sicuramente da trascorrerli in isolamento. E a te non andrebbe meglio, te lo giuro. È vero che come soldato del clan ti darebbero solo qualche annetto da scontare. Ma chi ti dice, caro nipote, che una volta in cella

[continua a leggere...]

   0 commenti     di: Domenico


Faccia da dittero

Ho sempre odiato gli insetti con quel loro ronzio e quelle loro zampette… Insistenti poi, sia che essi siano terra-terra o terra-aria. Gli insetti quando si mettono in testa una cosa non la cambiano a morire, bisogna proprio ricorrere alle misure estreme quando a causa della loro stupida insistenza si fissano nel venirti addosso o nel salire sopra di te. Non servono tutti gli avvertimenti possibili, gli insetti insistono come non vedessero ciò che sta loro davanti e ti vengono addosso, soprattutto quelli muniti di ali i quali generano inquietudine per la loro imprevedibilità. Tutto ciò è facilmente spiegabile ed ha un senso se si riesce ad entrare nella loro logica di pensiero ma io provo ugualmente un piccolo brivido alla vista di un insetto, forse per qualche atavica avversione o forse per il fatto di non poter vedere gli occhi e quindi capire le sue intenzioni. Ho sempre odiato gli insetti perché ronzano, pungono, e non stanno mai fermi, perché di notte non li vedi, perché ti passeggiano nel letto mentre dormi e perché ce ne sono a miliardi. Ho sempre odiato gli insetti perché comunicano segretamente e non so quello che pensano o quello che si sono detti, perché quando mi siedo su un prato ce ne è sempre qualcuno sotto il sedere, perché se mi appoggio ad un muro qualcuno mi salirà sui vestiti, perché quando vado in bici riescono sempre a centrarmi gli occhi, la bocca o ad entrare nel collo della maglietta. Odio gli insetti perché non sono mai in pericolo di estinzione, perché ce ne sono un milione di specie diverse e non sono state ancora scoperte tutte e perché l’unico elemento dove non vivono è sott’acqua ed io non sono un anfibio.

+++

Penso di essermi innamorato di una ragazza nel senso che quando sono con lei non penso ad altro e quando non sono con lei non penso ad altro che a lei. Ciò mi fa presumere di esserne innamorato ma dovrei chiedere in giro. Il guaio è che lei quando non è con me non mi pensa e quando è con m

[continua a leggere...]

   4 commenti     di: matteo lorenzi


Che però

Stanco di leggere libri altrui, ho deciso di scriverne uno io. Sono stufo di quella muffa stantia che mi perseguita con le sue velleità intellettuali: dov'è il sangue, la passione, la leggenda inscritta nella nostra umana natura, che come un richiamo ancestrale sgorga ad ogni riga raccontandoci chi sono io, chi sei tu, chi siamo noi? Ho quindi deciso di far dono ai posteri del distillato più puro della mia vena creativa. Allora, prima di tutto partiamo dal protagonista.
Un uomo alto direi, per cominciare. A dire il vero già qua mi sono posto numerosi dilemmi. Partiamo proprio dal principio, dal cromosoma, il DNA, Dio!... Senza divagare, partiamo dal sesso.
O dal genere, perché non é certo nei cromosomi che è contenuta la virilità o il dolce poggiar del petalo di rose sulla pelle che è la femminilità. Gran mistero quello. Però bisogna scegliere, e non ci si può perdere in ragionamenti complessi. Allora, sesso o genere, che dir si voglia, maschio. Però un maschio vero, un maschio alfa, che il metrosessuale amante del sushi tradisce solo la vigliaccheria di una classe dirigente che non sa confrontarsi con la donna in via di emancipazione fallocratica e cerca quindi annaspando di adottare la tattica dell'orso che si finge già scendiletto, sintomo, questo sì, di peggior maschilismo ancora, nel disperato tentativo di mantenere il controllo fingendo un improbabile somiglianza.
E allora lo descrivo virile questo protagonista, un uomo di una volta, molto pelo in corpo e sguardo truce. Sì, perchè ovviamente c'è ancora chi ha lo stomaco di rappresentare l'archetipo di maschio che vorrebbe essere, ma lo deve sempre scioccamente sporcare con qualche dettaglio insignificante che faccia tradire la natura ultima di quest'ultimo come piccolo cucciolo spaventato in un mondo dove, troppo precocemente, scopri che quel succoso capezzolo nutriente, oh mio caro, non sarà lì a lungo per te. E allora via con inutili e insopportabili trattazioni sul crudo desti

[continua a leggere...]



LeoIt Big Bang 2006

(Un testo a metà tra prosa e sceneggiatura)





Personaggi

V - Voce fuori campo: una voce pulita e squillante, dalla dizione perfetta e capace di infiammare animi come solo un vero leader politico o un venditore saprebbe fare.

P - Paul : un giovane modello dal fisico scultoreo, palestrato e perfetto nella sua fisionomia a parte per quello strano pearcing ai denti volgarmente noto come “apparecchio odontotecnico”

S - Svetlana : una graziosa e disinibita modella russa che non biascica una parola di italiano ma che di certo, con il suo bikini, non sfigura in una pubblicità di prim’ordine coma la nostra


Ambientazione

Una casa qualunque, quella che una persona media può permettersi di questi tempi…immensa, luminosa e moderna, con vista su di un mare infinitamente blu…un giardino verde in cui corrono libere mandrie di gnu e di antilopi….



Lo spot

Paul e Svetlana : salgono le scale complici e felici nella loro recitazione. Stanno rincasando dopo una piacevole cenetta trascorsa al ristorante. Paul parla alla ragazza mentre quest’ultima sorride e continua a ricambiare i suoi sguardi, visibilmente attratta dal ragazzo e disposta ad entrare nel suo umile appartamentino di 8000 metri quadri.
[Osservandola attentamente, può nascere il sospetto che non stia capendo nulla di quello che il ragazzo le sta dicendo… ma tutto ciò non deve importarvi visto che l’audio non è ?" né sarà - molto chiaro e la telecamera provvederà a soffermarsi abbondantemente e lascivamente sulle forme della modella che, casualmente, indossa solo un mini bikini]

Voce fuori campo : Hai finalmente convinto la tua timida vicina di casa ad uscire con te e dopo una piacevole serata al ristorante stai per farla entrare a casa tua?

P osserva in telecamera annuendo già pregustando il piacere per ciò che ha intenzione di fare con la ragazza…

V : Stai già pregustando il piacere di condividere con lei la visione di un rarissimo documentario

[continua a leggere...]



Le frasi strafatte

Ognuno di noi dovrebbe avere diritto
ad una modesta dose di certe parole.
L'abuso può nuocere gravemente alla
salute del prossimo, e il danno
è spesso irreversibile.





La creatura, appena liberata dal cordone ombelicale, prima ancora degli strilli di rito, emise queste parole:
- io, nella misura in cui sono nato, consentitemi... mi corre l'urgenza... nonché l'obbligo...-
Non fece in tempo a terminare la frase, che una fontana di pipì irrorò le esuberanti tette della bionda infermiera, abituate, con ogni probabilità, a ricevere ben altro.

Questo eloquio stereotipato precoce, nella nostra città, era ormai un fatto ricorrente. Anni addietro, quando il fenomeno aveva cominciato a manifestarsi, si era ricorsi inutilmente all'esorcista. Poi la gente si era assuefatta e, a poco a poco, tutto era entrato nella normalità. Faceva parte dello specifico umano. Tanto che, quando il bebé si limitava a strillare, veniva consultato d'urgenza lo stereotipista. Un medico logopedista, specializzato nel curare l'assenza di stereotipi linguistici nella prima infanzia. Niente di particolarmente grave: era sufficiente seguire una opportuna terapia rieducativa, per far riemergere quella che era da considerarsi ormai una vera e propria eredità genetica.

Stampa, radio, televisione, Rete compresa, esercitavano da anni questo influsso nefasto. La manipolazione mediatica mieteva più vittime dell'aviaria. Bastava che un giornalista scrivesse per tre volte di seguito nella misura in cui; un anchor-man usasse come intercalare ca va sans dire; un politico pronunciasse dirimente, che, dopo pochi giorni, tutti facevano eco come tanti pappagalli. Anche gesti come il virgolettare con indice e medio delle mani facevano le loro vittime. Ma le parole molto di più. Era un vero e proprio contagio. Un'epidemia. I pochi che scampavano venivano guardati con sospetto e inesorabilmente isolati. Interdetti a ricoprire pubblici impieghi. Banditi dal contesto socia

[continua a leggere...]




Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Satira e ironia.