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Racconti di ironia e satira

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Il racconto sempre più breve

Un ictus cerebrale ha steso il signor Gian Luigi, (Giangi per gli amici), 75 anni, di CasalPusterlengo, nei paraggi del pallino nella Bocciofila locale, col sigaro in mano, mentre esclamava un suo ultimo tipico " Porco Boia, ragassi!".
La sua boccia rotolava ancora, e lui non c'era già più.

Note dell'autore:

Una riga per l'ambiente, una per la cronaca più o meno nera, una per l'epilogo a sorpresa.
Era questa la tecnica del giornalista parigino Félix Fénéon, secondo le mie ricerche il vero antesignano di Twitter e dell'ossessiva scrittura breve litweb contemporanea.

Félix Fénéon (1861-1944) nacque a Torino e visse in Francia.
Dopo essere stato impiegato presso il Ministero della Guerra, fu redattore della Revue Blanche di Parigi, a cui contribuivano Débussy come critico musicale e Gide come critico letterario.
Come editore, invece, pubblicò Proust, Apollinaire e Jarry, nonché la sua traduzione del romanzo di Jane Austen, Northanger Abbey.
Attivo nei circoli anarchici del tempo, nel 1894, in seguito a un attentato in un ristorante, frequentato soprattutto da politici e bancari, fu arrestato e poi rilasciato per mancanza di prove.
Nel 1906, dopo una serie di sfortune, entrò in servizio presso il quotidiano Le Matin, per cui iniziò a scrivere le Nouvelles en trois lignes, "Romanzi in tre righe."

Si tratta di 1220 microfatti di cronaca (nouvelle significa racconto, novella, ma anche cronaca) che esploravano tutti i generi popolari che il pubblico parigino adorava: il nero in tutte le sue possibili variazioni, il giallo, il rosa (amatissimo dalle svenevoli ricche Madame dell'alta borghesia), il terrore.
Non è un mondo allegro quello che ci descrive Fénéon: le persone sembrano essere uscite da uno dei romanzi più cupi di Zola. Miseria, follia e alcolismo sono le note di fondo; qua e là si intravede anche un tocco di critica sociale.

Tutto il mondo, con tutti i suoi paradossi e la sua profonda assurdità, in sole tre righe.

Il suc

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   0 commenti     di: Mauro Moscone


L'eliminazione del secondo ramo

Se ne era parlato a lungo nella stesura del programma, prima della campagna elettorale, ma buona parte dei notabili della coalizione avevano osservato che l'argomento non poteva essere chiuso in fretta, che aveva bisogno di riflessione e decantazione, e che era meglio concentrarsi sulle questioni già definite, per apparire convincenti all'elettorato.
La coalizione vinse le elezioni e cominciò a lavorare alla realizzazione del programma. Ma ben presto venne a mancare la serenità: deputati, senatori, consiglieri, ed anche alti burocrati dell'apparato statale avevano il sonno e la veglia continuamente disturbati dall'ombra e dalle spine del "secondo ramo", l'argomento che fatalmente tornava all'attenzione ogni volta che si intraprendesse un qualsivoglia altro discorso.
Era, quello del secondo ramo, un quesito all'apparenza semplice, con altrettanto semplici risposte: un sì o un no. Nessuno ricordava come fosse sorto, ma tutti lo percepivano come un indispensabile prolegòmeno ad ogni azione politica futura, un nodo che impediva di avvolgere o svolgere ogni gomitolo, che si presentava con subdoli occhielli da cui potevano passare matasse intere, apparendo, scomparendo...
La questione in sé era semplice. Eppure svelava una diabolica complessità quando ci si rendeva conto che si riusciva a parlarne soltanto per pochi minuti, i quali bastavano a provocare uno sfinimento generale e la centrifugazione dell'attenzione dei presenti verso i più complessi e vari quesiti, su uno a caso dei quali si focalizzava infine l'attenzione di tutti.
Non che l'opposizione fosse in condizioni migliori. Anch'essa, percependo l'importanza politica del quesito irrisolto, tentava di preparare una piattaforma d'intenti atta a ribattere quella che sarebbe divenuta - quale che fosse - la posizione della coalizione al governo. In riunioni serrate, che cominciavano con grande ottimismo e finivano nella frustrazione, si partiva da un bivio: "se dicono sì...", "se dicono no...", arenand

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   3 commenti     di: Nicola Saracino


Non esiston più le favole di una volta

"Hai saputo di quel funerale che si è trsformato in una festa, laggiù in Egitto?"
"Ma non era successo in Etiopia?"
"Davvero?"
"Ma io sapevo in Italia"
"Ma cosa è accaduto in realtà?"
"So che in egitto stavano per chiuder la bara, o metter le bende, durante la funzione a un uomo creduto morto, e tutti che piangevano.. poi, ha aperto un occhio, e poi l'altro... insomma era vivo... e subito tutti felici di gioia, che avvenimento eccezionale!!"


"Che grulli i dottori oserei dire!!
"In effetti... e invece in Etiopia?"
"Laggiu, un uomo stava correndo da più di un'ora poi è stramazzato in terra, durante una corsa, lo hanno raggiunto, lo hanno dato per morto appena arrivata l'ambulanza?
"E allora?
"Dopo due giorni di pianti dei familiari e cerimonie varie si sveglia e dice: "Ma come mi sono piazzato?
"Non ci credo...
"Si credeva di correre... e tutti ad applaudirlo come se fosse arrivato primo...


" E ci credo... certo anche li, grulli i dottori
"Ma no, può succedere, sai la morte apparente non è mai un vero decesso
"E in Italia?
"Bhe in Italia, la cosa è stata più drammatica
"Perchè?
"Un coraggioso collaboratore di giustizia, che gli hanno ucciso l'intera famiglia era stato avvelenato...
"Accipicchia
"Si ma lui si è redento davvero, un dritto, una persona che ora ha deciso di cambiar vita sul serio...


"E allora?
"I suoi assassini lo hanno prelevato dal carcere per fargli una cerimonia come si deve, comunque in vita loro avevan ricevuto da lui dei favori, e in fondo in fondo gli volevan bemne...
"Insomma...
"Insommma anche lui si è risvegliato, ma era il dritto di Chicago... con una mitraglietta ha fatto fuori tutti quelli che gli erano in torno, meno che i genitori...
"Però che dritto il dritto di Chicago...
"Che poi era di Poriponsoli, lo hanno di nuovo arrestato...

E Bruno si addormentò... il babbo gli rimboccò le coperte... non esiston più le favole di una volta...

   2 commenti     di: Raffaele Arena


Divagazioni mediche per ridere e politiche per... piangere!

-Dottò gli integratori fanno male? Solo alla tasca!
-Le alleanze di Berlusconi... dalle stelle (patto del Nazareno) alle stalle (patto con Salvini)
-Dottò la protezione dello stomaco quando la devo prendere. Di sera o di mattina prima del segno della croce... divina protezione!
-La triade (zoccolo duro) di Berlusconi: Brunetta (l'altezza è mezza bellezza), Santanché (bellezza artificiale) e Gasparri (solo bruttezza)
-Dottò mi avete prescritto lo psichiatra (specialista della testa) mentre vi avevo chiesto il fisiatra (mal di schiena). La prossima volta dimmi che ti fa male ('a capa o 'a cora/coda) e io ti mando dallo specialista giusto
-Un novantenne (Napolitano) più lucido di Grillo (comico) e Salvini (buffone) messi insieme (Maiello, geriatra psichiatrico o psichiatra geriatrico)
-Dottò la pillola della pressione la devo prendere a vita? Se muori e rinasci ritorni alla bottiglina
-Da Rocco e le sue sorelle (film anni '60) a Renzi e le sue ministre (politica 2014): la Boschi te la gusti, la Moretti... te la bevi e la Bindi te la scordi!
-Dottò ho un dolore insopportabile. Mai quanto voi signora!
-I problemi di casa nostra: Platinette alla finestra, tagliagole alla porta, Salvini in casa e Grillo nelle orecchie
-Dottò datemi qualcosa perché mi sento a terra. Ti darò una cura e oggi stesso ti sentirai in paradiso!
-Salvini, il gallo padano, da buon polentone difende il suo pollaio. Beppe, il grillo ligure, da buon genovese difende la sua lira
-Se per tua madre novantenne mi richiedi lo psichiatra, per te ci vuole la camicia di forza!
-Monito per Berlusconi: Presidé, le cazzate riservale alle fidanzate
-Dottò la mezza compressa di ascriptin la prendo intera per far circolare meglio il sangue. Se ti buca lo stomaco circolerai nella pace del Creatore
-La politica con Grillo da tragica diventa comica
-Dottò mia madre ha paura della morte. Non ti preoccupare è la morte che ha paura di tua madre!
-La politic

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Essere o non essere

Martina al centro del palco imbarazzata, posa una grande valigia rigida.
"Beh, ecco, perché è che vorrei andare a Berlino. Anzi, cioè, veramente, vado a Berlino! (ride eccitata ) È che non mi fido a lasciarla dietro, e' che dentro c'ho i bilgietti e tutto. Proprio dopo il provino. Perché non credevo proprio di essere presa a fare il provino, capito? Avevo fatto la domanda una cifra di tempo fa e non ci credevo proprio... Si a Berlino faccio un corso di mimo. No, il tedesco non lo so... beh, faccio il corso di mimo apposta, tanto non si parla mica col mimo... si fanno le facce si cammina con una lastra di vetro in mano, si beve una tazzina di caffè che scotta, tipo così, ecco (prova a mimare) Poi imparo a camminare sui trampoli, faccio tipo il teatro di strada, una cosa del genere. Ho quasi imparato a fare la verticale, vuole che la faccio? Ok, ok, dicevo così. No ma se vuole la faccio, non ci sono problemi. Ok va bene, va bene, non c'è problema, non la faccio. Si mi piace perché mi libera, trovo un rapporto diverso con il mio corpo, la gestualità e lo spazio circostante, capito? Mi piace molto un tipo di espressività gestuale, capito? Come dire, mi piace tipo la gestualità, insomma, ecco, capito che voglio dire? Vado con un mio amico. Si, lui mi accompagna perché ho paura dell'aereo. Cosa? Ah si, giusto, ecco... scusi... si ho fatto il metodo Stanivslaskij ho recitato Strindberg, Pirandello, Becket e poi altri, Ibsen per esempio... si anche Shakespeare, certo. Adoro Shakespeare. Ah, poi anche Collodi. Sì, una rilettura di Pinocchio, costruito in materiale ignifugo... Si, sa quando Pinocchio si addormenta con le gambe sul camino e si sveglia che hanno preso fuoco? Ecco, l'idea è quella di rifare Pinocchio in materiale ignifugo, in modo da capovolgere il momento del conflitto, capito?... Beh, si, ho preparato alcuni brani. Vuole che comincio subito? Cosa? Scusi... e' che non ho capito... sa con le luci negli occhi... non si vede niente in

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   1 commenti     di: Giacomo D'Alia


Implicazioni invisibili del terzo principio della dinamica

Su quel pianeta, come nell'intero universo, tutto era condannato a muoversi, e una delle leggi che regolava questo muoversi era quella che imponeva a ogni azione di avere una reazione che le fosse analoga e contraria. Gli abitanti del pianeta utilizzavano quella legge della dinamica per muovere veicoli e per sopravvivere al movimento, attraverso lo sfruttamento dei princìpi del movimento. Motori che producevano energia spingevano, dalla parte opposta a quella dove l'energia usciva con forza, gli stessi motori ai quali stavano attaccate le strutture che contenevano, allo scopo di favorirne il movimento, esseri che mai avrebbero immaginato che la legge della dinamica potesse avere delle applicazioni diverse da quelle che utilizzavano. Eppure le scritture sacre di quel pianeta avevano da tempo avvisato che a ogni azione sarebbe corrisposta una reazione uguale e contraria, e che quella reazione ci sarebbe stata anche oltre quello che era il dominio della scienza. Chiamavano, quella reazione, paradiso o inferno, secondo la qualità degli equilibri spezzati che sarebbero stati ricomposti dalla reazione contraria scatenata. La scienza non aveva smesso, per questa che le appariva come fosse soltanto una persecuzione morale, di applicare al movimento lo sfruttamento legale della ripercussione, così i veicoli erano progettati senza la preoccupazione del risparmio energetico. Alla scienza non pareva possibile che quello spreco di energia costituisse un'azione che avrebbe provocato reazioni inverse.
La questione da dover districare riguardava, semmai, quanto la simultaneità tra azione e reazione dovesse essere necessaria nel legame che si stabiliva tra una causa e il suo effetto. Ovviamente avrebbe dovuto esserci simultaneità a che da una causa potesse sortire un effetto perché, altrimenti, quando questo effetto si fosse verificato con un certo ritardo, anche se infinitesimale, si sarebbe attuata una contraddizione irrisolvibile, perché a un evento passato, e dunque in

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   1 commenti     di: massimo vaj


Le vacanze degli innocenti

“Le vacanze degli innocenti”
di Vittorio Frau
Ritengo di essere una persona “normale” se con questo termine vogliamo indicare una qualunque persona che si adatta ai comuni stereotipi che dal momento della nostra nascita a quello della dipartita ci accompagnano nei gesti quotidiani, se non fosse per un piccolo problema che mi fa sentire in qualche modo “fuori” : odio con tutte le mie forze le vacanze, in modo particolare i viaggi all’estero e i campeggi. E non sopporto sentir parlare di “vacanze intelligenti”, perchè, e ricordatevi bene queste parole, le vacanze non sono mai intelligenti, né riesco a ritenere tali coloro che le attendono per undici mesi e quindici giorni l’anno.
Non che si tratti di un odio per partito preso, questa mia avversione è frutto di un serio ragionamento effettuato dopo aver fatto le mie belle esperienze.
Devo ammettere di provenire da una realtà familiare in cui grazie al cielo le vacanze hanno sempre avuto una scarsa importanza e la mia infanzia è piena di dolci ricordi persi nei torridi pomeriggi dell’agosto cittadino, quando tutti i rompiballe si allontanano dalla città, lasciandola fra le mani di chi sa godersela in ogni suo attimo.
Il mio esordio, il primo contatto cioè con la realtà delle vacanze risale al lontano 1978 quando, tenero quattordicenne avido di avventure da poter raccontare, organizzai con alcuni amici il primo e purtroppo non ancora ultimo campeggio della mia vita.
La frase che riporto qui sopra “avventure da poter raccontare” non è casuale: sono fermamente convinto che se ai villeggianti qualcuno impedisse di raccontare in giro l’andamento delle proprie vacanze, questi ultimi non esisterebbero. È un po’ come per le discoteche (sulle quali quando diventerò famoso scriverò un intero libro), infatti sono convinto che l’ottanta per cento dei frequent

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   1 commenti     di: Vittorio Frau



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