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Racconti di ironia e satira

Pagine: 1234... ultimatutte

K, O. Tecnico

Chi sei"? mi chiedi... non vola una mosca... poi, nell'attimo che mi accomoda per domandarmi "Ma che cazzo mi stai chiedendo, è una domanda off-limits, cartellino rosso, non è premesso ciò in questo gioco", quando ancora alle corde sono, arriva diritto diritto il gancio destro, colpo risolutivo "cosa vuoi dalla vita?"... patatonf inizia il conteggio:
1. Dai, su, non è finita ancora, prendi fiato hai due possibilità, sorpassa il tempo scegli a quale delle due domande rispondere, quella più semplice... parlale parla parla parla confondila, stordiscila con le parole, presto si dimenticherà l'altro quesito a cui non hai risposto.
2. Cazzo, porca miseria, maledetta chat. Se l'avessi conosciuta dal vivo, non in questo marasma di chip, avrei probabilmente dovuto lo stesso affrontare simili mazzate, questi colpi bassi (per dire il vero il montante è finito sulla mascella, ma qualche scusa dovrò pure trovarla), ma dopo esserci andata a letto almeno due volte. dopo un orgasmo affronti qualsiasi domanda con disinvoltura...
3. Sono un attimo stordito please (Lo avete notato per caso?)
4. Avevo riposto quelle domande già anni fa in un forziere nascondendo la chiave. Mi avevano tagliato i fili del telefono, staccato la corrente, troppi soldi avevo sperperato perdendomi tra i fumi dell'alcol, i fumi afgani /marocchini e vari ancora, per rintracciare i fili, che mi avrebbero portato dritto dritto alle porte delle risposte, ma nulla tabula rasa, se non trovi qualcosa ora, aspetta, pazienta, cresci e tra qualche anno riprendi il percorso... ma non ora non ora, sono piccolo, giovane, inesperto, ho solo 44 anni datemi tempo tempo.
5. Ma Vaffanculo
6. Sono rintronato (ma va..), rimbombato, ma devo sollevarmi, lei è una mezza tacca, posso ancora farcela, ha sparato due colpi a caso, ero distratto, sfiga smisurata, ma aspetta che mi alzi pagurina mia e vedrai...
7. Posso risponderle qualsasi cosa. Non dovrò spremermi neppure tanto. Ci infiler?

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Matematica drammatica

Foglio bianco e mente vuota.
Tic-tac, un'ora per finire il compito di matematica, tic-tac.
Che belle scarpe dal tacco alto porta la prof. Sembrano quelle di quel negozio che... TicticticTAC.
Perché mi guarda in quel modo, prof? Ah, non ho scritto la traccia che ha dettato.

La traccia del dettato della mia vita è un po' confusa. Non ho la gomma per cancellare. Qualcuno ha la gomma? Ce l'ha Michele. No, Michele ha due gomme e un manubrio e una freccia rossa che va velocissimo. Andava velocissimo, fino a quando quella 4x4 non l'ha fatto uscire fuori strada. Ciao ciao freccia rossa e benvenute gomme della sedia a rotelle.
4x4 fa sedici... scrivo sei e riporto di uno... tolgo il resto... il resto delle mie cose non vanno poi tanto male. Michele era il mio ragazzo, ma adesso c'è Paolo. E prima ancora c'era Alessio.
Un triangolo equilatero. Ma io preferisco Paolo, quindi un triangolo isoscele. E se mi dispiace per Michele... allora è un triangolo scaleno.
Non c'è nessun triangolo, quella sul foglio è una piramide. L'anno scorso sono stata in Egitto. Magari in questa piccola piramide c'è un piccolo archeologo che cerca delle piccole mummie. E allora vuole conoscere il volume, sapendo l'apotema e l'area basilare...
Alla base della mia vita ci sono le mie amiche. Ludo, Maggi, Jessi, Raffy. Sembrano i nomi dei sette nani. A volte sembriamo solo tante galline che razzolano nello stesso pollaio. Un pollaio a forma di triangolo rettangolo. La somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti è uguale all'area del mio cuore costruito sull'ipotenusa. Perché c'è anche la superficie laterale.
Jessi ha una relazione laterale, ne sono certa. Ho letto quell'SMS. Il suo ragazzo è il mio migliore amico. Però anche lei lo è.
Insomma, è un'equazione complicata. Di secondo grado. Se solo ricordassi la formula della felicità... e quella del prodotto notevole. In matematica sono notevole, ma forse mi sto distraendo un po' troppo.
Ma sia

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   7 commenti     di: carla nessie


Poesie mediche: arteriosclerosi

E arrivati al mare fare immersioni lunghe
E profonde
Ma attenzione...
Se le parole non giungono chiare, solo confuse

Più che di empatia
Potrebbe trattarsi di embolia...

Se poi se ci si esprime in prosa
O con dei versi in rima e in poesia
Che differenza vuoi che ci sia?
È sempre la stessa cosa...

Se l'aria va in vena
Nella prosa
È più lenta come in una novena
Quando poi va in un'arteria
Come nella poesia
La situazione è più seria
Va l'aria diretta al tuo cuore
Con o senza amore
Ma sempre con gran dolore...



Le frasi strafatte

Ognuno di noi dovrebbe avere diritto
ad una modesta dose di certe parole.
L'abuso può nuocere gravemente alla
salute del prossimo, e il danno
è spesso irreversibile.





La creatura, appena liberata dal cordone ombelicale, prima ancora degli strilli di rito, emise queste parole:
- io, nella misura in cui sono nato, consentitemi... mi corre l'urgenza... nonché l'obbligo...-
Non fece in tempo a terminare la frase, che una fontana di pipì irrorò le esuberanti tette della bionda infermiera, abituate, con ogni probabilità, a ricevere ben altro.

Questo eloquio stereotipato precoce, nella nostra città, era ormai un fatto ricorrente. Anni addietro, quando il fenomeno aveva cominciato a manifestarsi, si era ricorsi inutilmente all'esorcista. Poi la gente si era assuefatta e, a poco a poco, tutto era entrato nella normalità. Faceva parte dello specifico umano. Tanto che, quando il bebé si limitava a strillare, veniva consultato d'urgenza lo stereotipista. Un medico logopedista, specializzato nel curare l'assenza di stereotipi linguistici nella prima infanzia. Niente di particolarmente grave: era sufficiente seguire una opportuna terapia rieducativa, per far riemergere quella che era da considerarsi ormai una vera e propria eredità genetica.

Stampa, radio, televisione, Rete compresa, esercitavano da anni questo influsso nefasto. La manipolazione mediatica mieteva più vittime dell'aviaria. Bastava che un giornalista scrivesse per tre volte di seguito nella misura in cui; un anchor-man usasse come intercalare ca va sans dire; un politico pronunciasse dirimente, che, dopo pochi giorni, tutti facevano eco come tanti pappagalli. Anche gesti come il virgolettare con indice e medio delle mani facevano le loro vittime. Ma le parole molto di più. Era un vero e proprio contagio. Un'epidemia. I pochi che scampavano venivano guardati con sospetto e inesorabilmente isolati. Interdetti a ricoprire pubblici impieghi. Banditi dal contesto socia

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Chi lascia la casa vecchia

Chi lascia la casa vecchia
per la nuova
sa cosa lascia
ma non cosa trova.





- Io non capisco voialtri! Tutti questi cavilli che tirate fuori. Non mi dicono niente. Sono cose senza senso.-
- Dove state andando...?-
- Senta, figlio di... chi si crede di essere?...
- Che succede... state commettendo un grosso sbaglio...
- Ora basta, si segga, e chiuda il becco!-
- Perché cosa ho detto?-
- Ho ascoltato abbastanza, adesso basta! Non riapra più bocca!-


Con questi dialoghi serrati, densi di nervosismo, a tratti feroci, iniziava una delle sequenze più avvincenti del film La parola ai giurati di Sidney Lumet.
Quando Alfredo Zappaterra entrava in quella sala riunioni, messa gentilmente a disposizione per l'occasione dall'avvocato Colombacci, si sentiva un po' così. Teso, nervoso, impaziente di uscire. Come un giurato. Alfredo veniva dalla periferia di Milano. Aveva trascorso un terzo della sua vita in una casa popolare vicino alla piscina Scarioni. E aveva traslocato in quel palazzo di Corso di Porta Romana da pochi anni. Da quando lo avevano promosso capo ufficio.

Era un bel palazzo neoclassico a sei piani. Con un massiccio portone in legno scuro, pieno di motivi floreali. Un pezzo d'antiquariato. Una sciccheria! Ma soprattutto l'atrio era un piacere per gli occhi. Una vera piazza d'armi. I marmi neri del pavimento e quelli ambrati che rivestivano le pareti denotavano una casa di gran classe. Gli alti soffitti erano tutto un trionfo di stucchi e affreschi. Che dire poi di quella passatoia rossa che correva diritta come un'autostrada per poi biforcarsi ad angolo retto, dopo una trentina di metri.
A destra conduceva ad una scalinata che apriva alla scala A. Dalla parte opposta, ad una scalinata gemella, che portava dritti dritti alla scala B. Entrambe le scale, larghe quanto quelle della vecchia scuola dove aveva fatto il liceo, ospitavano due splendidi ascensori d'epoca. Di quel bel legno che dopo decenni sembrava ancora profumare di

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Con il mascara in punta

Cosa ti fa un mascara in punta, lo consiglio a tutte, mettetelo con una bella scollatura e la giornata sembrerà prendere una piega diversa.

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Non lo sapevo, ma come si dice nella vita non si finisce mai di imparare, che il mascara non si stende dall’interno dell’occhio sino alle punte, ma solo sulle punte, e da quando ho acquisito questa tecnica la mia vita di donna è completamente cambiata.
Ebbene come ogni mattina, visto che il tempo è tiranno, il mascara lo stendo in macchina, tra una frenata e una corsa, premetto che non sono io a guidare, ma devo ammetterlo anche se questa ammissione rischierà di far apparire il mio ego grande come una mongolfiera: come stendo il mascara io, non lo stende nessuna.
Senza sbavature, con mano ferma, uso la tecnica del micro - chirurgo, insomma mi sento un vero artista del pennellino. Un giorno potrei persino insegnare la mia tecnica, anche se nel profondo sono convinta che tutto dipenda esclusivamente dalla propria energia interiore, ebbene sì anche saper mettere il mascara è un arte.

L’altro ieri mattina, mi sono svegliata dal lato giusto del letto, e mi son detta:

Quasi, quasi oggi stendo il mascara in punta, così come fanno le modelle voglio proprio vedere che effetto farà sugli uomini.

La procedura è sempre la stessa, arrivo in macchina ormai distrutta dopo le prime ed intense ore del mattino, prepara la colazione per tutti, metti a fare la lavatrice, stendi i panni:

Mamma il latte è freddo?

O è troppo caldo, dipende.

Sta uscendo il caffè!

Ma perché non riesci a fare attenzione, sporchi sempre il piatto del forno?

Il mangiare al gatto!!!

Quasi, quasi me ne dimenticavo.

Apro il mobile una scelta vasta, spezzatino con piselli, oppure straccetti di tacchino con spinaci?

Gli straccetti di tacchino con spinaci, immediatamente colpiscono il mio palato e se la cosa sta bene a me sicuramente starà bene alla mia Briciolina.

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Antonio Maria Alfieri, notaio

Da sempre era un predestinato. Doveva fare il notaio e prendere il posto del padre ereditandone lo studio notarile ben avviato.
In verità non gli furono date molte alternative, Nascosto ancora nel ventre della madre la sua condizione era già irrevocabilmente stabilita.
Per un periodo aveva pensato di essere sempre in tempo per svicolare dal dovere ma mano a mano che proseguivano gli studi era sempre più chiaro che avrebbe seguito le orme paterne. E lui non voleva contrastare né il suo destino né suo padre.
Alla morte dell'Alfieri "de cuius" ne ereditò lo studio anche se dovettero passare diversi anni prima della laurea e della successiva abilitazione per diventarne il titolare perchè non aveva proprio "il pallino" del notaio.
Trasferì il suo studio nella vecchia abitazione genitoriale, dove aveva trascorso la sua vita prima del matrimonio senza figli.
Il grande soggiorno su due livelli si prestava come sala riunioni con la biblioteca paterna degna di Malachia e le numerose stanze come uffici.
Quando passava le sue giornate allo studio tornava indietro nel tempo, alla sua età dell'oro quando ancora non aveva piena coscienza, nel vago avvenir che in mente aveva...

L'unica stanza che non aveva trasformato era la sua cameretta, lì il mondo si era davvero fermato e sembrava, entrandoci, di tornare negli anni ottanta. I poster calcistici, gli autografi di qualche personaggio illustre conosciuto e la collezione del "Guerin Sportivo".
Durante le ore della pausa pranzo raggiungeva finalmente l'immersione totale nel passato. Usciti i colleghi tornava nella sua camera e si metteva i vestiti d'epoca che aveva ancora nell'armadio e lì cominciava la sua partita di basket.
Aveva attaccato dietro alla porta un canestrino con un tabellone e si immaginava le partite straordinarie che lo vedevano protagonista. Faceva rimbalzare la piccola palla sulle pareti per passarsela e concludere a canestro in plastici movimenti.
"Chi non lo prova non sa che gioia ti da d

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