Amo le albe, come evento naturale e come metafora dell'inizio di una nuova vita. Ricordo un'alba particolare. Mi ero imbarcata a Venezia con due amiche. Destinazione: Grecia.
L'organizzazione che si era occupata del nostro viaggio ci aveva dato la classica bidonata. Ci aveva sistemato nella stiva della nave, in uno spazio promiscuo sotto grossi tubi dove scorreva l'acqua bollente delle caldaie. Era agosto e per noi, l'inferno. Dormimmo vestite, ma puntammo la sveglia per vedere il canale di Corinto aprirsi sull'Egeo. Ci svegliammo alle tre antimeridiane. Stavamo attraversando il lungo "tunnel" che metteva un po' d'angoscia per gli alti muri illuminati da radi lampioni dai quali si diffondeva una antipatica luce gialla. Ma verso le cinque il canale si aprì su un mare cilestrino, calmissimo sotto un cielo terso dove ancora brillava una stella e già si scorgevano i primi bagliori del sole che creavano sul mare giochi di argentee luci. Ci invase uno stupore magico ed una pace profonda che scaturiva dall'armonia del paesaggio. Eravamo soltanto noi tre a prua della nave e ci sembrò che la Grecia ci avesse preparato un saluto particolare.
L'alba metaforica l'ho vissuta quando è nato il mio primo nipotino. L'alba era passata da poco ed io, che mi avviavo al mio tramonto, benedissi la vita che mi regalava un'alba nuova e viva.
I tramonti ho imparato ad amarli sul mare Tirreno, in un paese vicino a Roma dove trascorrevo estate felici, ospite della nonna materna ed in compagnia di un cugino mio coetaneo che amavo come un fratello. Godevamo di una notevole libertà che ci permetteva di restare al mare fino al tramonto. Quando il sole stava per immergersi nel mare, interrompevamo i nostri giochi e fissavamo il giallo disco che non disturbava più i nostri occhi e seguivamo la sua discesa fino a che l'ultimo spicchio scompariva dietro la linea dell'orizzonte. Lo spettacolo era sempre diverso. A volte il sole viaggiava nel cielo sereno, altre volte, nel suo andare, incontra
Alessandro.
La vita è composta al novanta per cento da tempo che scorre senza senso, le giornate morte, la routine.
Il restante dieci per cento, sono le volte in cui il nostro cuore batte in maniera diversa e molto spesso tutto si riduce a quelle giornate, dove in un secondo, si può rovinare una vita.
Impieghiamo tanto tempo a non vivere veramente, limitandoci a sopravvivere, rimandando a domani quello che non abbiamo il coraggio di fare oggi, sperando di trovare nel frattempo la forza per affrontare i nostri demoni.
Io in vita mia, ho cercato di trovare un senso alle cose, un perché, ma non ci sono riuscito. Poi un giorno...
Morgana
Alla fine delle superiori ho deciso di cercare lavoro, ma non è facile trovarlo, quindi passo il tempo a spedire curriculum privi di esperienza sperando che qualcuno mi dia un posto, ma la buona volontà non basta, bisogna avere le conoscenze, le spintarelle che io non ho.
Fuori è una bellissima giornata d'estate, il cielo è così azzurro che solo guardarlo mette allegria. Mi piace il caldo, ma non c'è nessuno con cui possa uscire, così scivolo nella tristezza.
Dalla finestra una leggera brezza mia accarezza la pelle strappandomi un sospiro. Di solito in estate sono sempre al mare con gli amici, ma quest'anno no, il gruppo si è diviso.
Mia sorella Ambra si è fidanzata e ha deciso di girare il mondo e questa è già una tragedia, poi se n'è andato anche Francesco, l'unica persona con cui riuscissi a parlare seriamente. Un giorno arriva e dice che parte per studiare medicina a Pisa, tutto qui.
Tutti gli altri, facevano solo spessore, accrescevano il numero del gruppo, ma non ha mai avuto un vero rapporto con loro.
Attorno a me c'è il silenzio, non c'è nessuno in casa a parte Doe, il mio amore, che sembra accorgersi della mia tristezza e mi viene in contro, guardandomi dal basso come per chiedermi perché sia giù.
Gli accarezzo la testa e lui ricambia leccandomi una mano. Si accontentano di poco per esser
Occhi castano-verdi intensi, capelli castano mossi raccolti con delle mollette da capelli sotto una cuffietta bianca, Cinzia, 16 anni o poco più, ricorda la Florence Nightingale di una volta.
Cinzia non avrebbe mai immaginato un giorno, di doversi scontrare con la dura realtà della malattia.
Ma eccola lì, a muoversi con cautela nei meandri di una corsia d'ospedale, intimorita ed impaurita di quella nuova esperienza di vita... Il tirocinio.
Quel giorno a Cinzia, venne dato il compito di occuparsi del rifacimento dei letti e dell'igiene personale dei pazienti.
Si avvicinò al letto di una vecchietta per aiutarla a mettersi in ordine.
Nell'aprire il cassetto del comodino si accorse che era vuoto, aprì gli sportelli, ma non c'era nulla il comodino era completamente vuoto.
Guardò la nonnina, le strizzò un occhio sorridendo e le disse: << torno subito >> .
Al suo ritorno aveva in mano un pettine con delle garzine infilate fra i denti, una saponetta, un telino, un collutorio, una bacinella, un'arcella ed un bicchiere con dentro dell'acqua.
Pian piano cominciò a lavare il viso e le mani della nonnina, facendo attenzione a non farle male ed infine, la pettinò.
La vecchietta soddisfatta, con un sorriso tirò fuori le uniche 5000 lire che conservava nel reggiseno per darle a Cinzia.
Grazie disse Cinzia, ma non posso accettarli.
Se non li prendi mi offendi rispose la vecchietta.
Cinzia lo sapeva, aveva fatto una promessa a se stessa il giorno che suo nonno morì.
Non poteva prenderli, ma cosa poteva fare per non offendere la dignità di quella povera vecchietta che la supplicava di prenderli?
In quel gesto c'era solo amore, allora Cinzia fece un sorriso alla vecchina e poi accetto i soldi con un grazie.
Il mattino seguente Cinzia si recò al letto della vecchietta con una borsa della spesa, dentro c'erano una spazzola, una saponetta con il suo portasapone, uno spazzolino, un dentifricio, una crema, dei fazzoletti di carta e dei tovaglioli.
Mise tutto n
C'era una volta, una donna di nome Rosa, aveva tanta voglia di vivere ma non si era mai fermata ad ascoltare veramente il suo cuore ed i suoi desideri, così aveva sempre percorso strade che non l'avevano resa felice.
Poi, un giorno, tutto il suo mondo, tutto quello che aveva costruito in tutti quegli anni, gli crolla adosso, con una tale violenza da lasciarla senza respiro, senza più voglia di vivere, senza una via di uscita, senza più niente, se non il nulla.
Ma Rosa aveva due splendidi bambini che gli sorridevano ogni volta che lei si avvicinava a loro, che avevano bisogno di lei, nonostante lei non avesse più nulla da dare.
E così decide di andare avanti, di fermarsi un po' per capire cosa volesse davvero, per conoscersi veramente, si ferma immobile anche se il mondo intorno a lei continua a girare vorticosamente, anche se avrebbe avuto tanta voglia di scomparire, di non esserci più, per cancellare tutto il dolore che aveva dentro.
Piano piano riesce, con grande fatica, a risalire il fondo, si aggrappa con le unghie e con i denti ma riesce a raggiungere la vetta... finalmente sà quello che vuole, quello che potrebbe finalmente renderla felice, ma sà anche quello che non vuole e per quanto doloroso possa essere decide di modificare quello che era un percoso già scritto.
Un giorno incontra un uomo di nome Peter, è pieno di gioia, di voglia di vivere, ha girato il mondo, e ha mille cose da raccontare.
Rosa rimane incantata, era come se attraverso di lui e i suoi racconti lei riuscisse a vivere tutto quello che lei avrebbe voluto fare, gli sembra di volare e per la prima volta in vita sua si sente libera anche se solo per poche ore.
Peter rimane incantato da Rosa, dal suo modo di fare dolce ma al tempo stesso tenace, equilibrato e spesso fragile come quello di una bambina.
Anche lui vede in Rosa quello che vorrebbe essere, vede la forza ed il coraggio che lei ha avuto nel costruirsi una famiglia, nell'avere dei figli, la ammira e la stima per t
Era dicembre e si avvicinava il Natale. Matteo abitava in una valle tra alte montagne, in un casolare modesto ma confortevole.
In cucina c'era un bel caminetto e tutta la casa era calda perché i genitori di Matteo mettevano in tutti gli ambienti eleganti bracieri di rame montati su treppiedi in ferro battuto. Ma occorreva molta legna. Matteo aveva tredici anni e conosceva benissimo il territorio che si estendeva intorno alla sua casa, compresi i sentieri che salivano verso le montagne circostanti. I genitori si fidavano di lui e perciò gli avevano dato l'incarico della raccolta della legna. Il ripostiglio vicino alla stalla ne era quasi pieno, ma quell'inverno era particolarmente rigido e tutti i componenti la famiglia pensavano che ci si dovesse mettere al sicuro, tagliando altra legna. Una mattina Matteo prese lo slittino-carrello, gli attrezzi per tagliare la legna e si avviò per un sentiero verso un bosco dove sapeva di trovare buona legna da ardere. Un vento gelido sferzava il suo viso ma il ragazzo era tranquillo: il cielo, tranne qualche banco di nuvole, era sereno e il sole, quando faceva capolino da una nuvola, mandava un certo tepore. Almeno questa era la sensazione di Matteo. Passò poco tempo. Il ragazzo si era spinto abbastanza in alto. Improvvisamente il cielo si oscurò e una fitta nebbia calò su tutto il paesaggio. Matteo cominciò ad avere paura di perdere l'orientamento. Per sua fortuna, poco lontano da lui, si poteva scorgere una grotta scavata nel fianco della montagna. Matteo, muovendosi con cautela, la raggiunse e vi entrò. Sul pavimento c'era uno strato di paglia. Probabilmente i pastori vi facevano rifugiare il gregge, in caso di pioggia o di nevicate. Matteo si sedette sul morbido tappeto e dopo un po', per la tensione e la stanchezza, si addormentò. Si svegliò al crepuscolo e subito lo assalì l'angoscia. C'era ancora molta nebbia e non poteva certamente avventurarsi alla cieca per tornare a casa.
Intanto i genitori, allarmati per
l'impiccato 1-2
Durante tutto il pomeriggio pensai ai fatti successi in quei giorni, la sensazione del mistero mi perseguitava anche se tentavo di pensare ad altro -
Rientravo come al solito verso le 20, 30 e percorrevo la medesima strada da almeno sei mesi, non sò cosa mi avesse preso quella sera ma imboccai il sentiero, per giunta scomodo da attraversare con l'auto, mi infilai tra la macchia mediterranea che incorniciava come pilastri di un cancello la stradina, percorsi un paio di chilometri arrivando alla “fonte vecchia” così veniva chiamata dai contadini locali presi una bottiglia di plastica che tenevo in auto e andai verso il rubinetto per riempire la bottiglia non sò dove, ma ricordavo un detto locale?"non passare a fonte vecchia senza sete”non so cosa comportasse se uno passava senza fermarsi a bere , ma era acqua molto leggera faceva bene all'organismo ne approfittai per portarne un po a casa ormai era quasi buio posizionai i fari dell'auto verso l'imboccatura della fonte dove era situata la sorgente mi avvicinai e mentre riempivo il mio contenitore sentii un rumore di scarpe che battevano sull'asfalto con il tacco, mi girai era una ragazza con i capelli lunghi e il viso chiaro acchi azzurri vestita con un completino leggero a fiori, aveva una borsetta e un paio di scarpette con tacco alto, mi disse che doveva rientrare a casa e che aveva perso l'autobus passava da lì per far prima perchè il sentiero accorciava di qualche chilometro la distanza, praticamente chiedendomi il passaggio io sorrisi per educazione e dissi che l'avrei accompagnata volentieri, chiusi il rubinetto della fonte mi girai lei era già in auto.-
IN AUTO
lei cominciò a parlare si chiamava Lisa si rimproverava di non essere andata via ma di essere chiusa in quel luogo senza via d'uscita, quale luogo pensa io, poi proseguendo il suo discorso si soffermò per un attimo su un falò fatto da
Se tutto fosse andato come doveva, a quest’ora sarei in Costa Azzurra, con una valigia piena di soldoni, a godermi sole, mare e affascinanti ereditieri.
Lo scenario, invece, è un po’ diverso: dopo qualche mese di carcere mi hanno messo a fare lavori socialmente utili in una casa famiglia: si tratta di un fabbricato fuori città che ospita i poveracci che Don Paolo chiama i meno fortunati.
Avevo altre prospettive che non affettare patate per lo spezzatino o lavare il dormitorio di questi straccioni.
La domenica è il giorno che detesto di più, arrivano decine di persone a portare viveri e vestiti, stanno con noi tutto il giorno, sono snervatamente premurosi e non smettono di fare grandi sorrisi. Bella forza! A fine giornata tornano nelle loro case, con le loro famiglie, a fare zapping col telecomando, alle loro vite rassicuranti e per un settimana se la scordano tutta questa miseria.
Io no! Io rimango qui con Don Paolo; un ragazzo serbo (pieno di gratitudine verso quel prete che l’ha portato via dalla suo paese in guerra); e Valeria, una casalinga simpatica e chiassosa che passa a trovarci e a darci una mano a tempo perso. Tutt’intorno ci sono loro: Fulco il pazzo, Irma la pittrice incompresa, Carlo l’ubriacone, Serafino il barbone poeta. Da qualche giorno si è aggiunta una famiglia tunisina, e Fatima, la colf di una riccona che non le passa l’alloggio.
Decisamente non è la Costa Azzurra!
- Guarda che bella camicia rossa, mi chiedo perché se ne sono disfatti, è perfetta per te!
Dai mettila, dà un tocco di colore e poi a te che sei mora il rosso sta benissimo " mi dice Valeria con il suo solito sorriso strabordante di rossetto.
E chi ci ha più pensato ad abbellirsi qua dentro? Mi basta fare una doccia e avere un cambio pulito; da mesi non mi guardo allo specchio, cosa che un tempo facevo abitualmente e con un certo compiacimento.
- Valeria mi spieghi cosa me ne faccio di una camicia rossa per pulire i cessi e mescolare pentoloni
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