Quello fu il tempo più intenso della mia vita, io di eserciti, armi, combattimenti al fronte non ne ho mai capito nulla, ne mai ebbi la curiosità di affrontare uno studio teorico-pratico in merito; mi ritrovai in veste ad una sudicia divisa e per di più con i piedi periodicamente immersi nel fango.
Questo, pensai, era un buon momento, l’artiglieria nemica si era calmata, avevo un estremo bisogno di mangiare, quanto di fumare, ma, siccome i rifornimenti al campo arrivavano sempre più di rado, “causa mal tempo” ogni uno di noi soldati, si arrangiava come poteva.
La mia tattica non era molto diversa da quella degli altri, consisteva nel raggiungere la prima trincea dove venivano sistemati feriti e non, approfittando della confusione generale facevo razzia nelle tasche dei morti.
Vi fu pure chi non si accontentava delle tasche dei morti, razziando o cercando di farlo anche in quelle dei feriti.
Per quanto riguarda me, dopo aver visto una scena da brivido proprio nella prima trincea, mi convinsi che fosse molto meglio approfittare del morto, piuttosto che rischiar la vita per le tasche di un ferito.
Ricordo che una mattina mi recai in prima trincea, la fame mi assaliva da ore, arrivato notai un “soldatino” così erano chiamati i nuovi al fronte, ebbene, questo con aria furtiva osservava un tale che vedendolo pareva più morto che vivo, il giovane soldato, tirato un sospiro d'incoraggiamento s’avvicinò al moribondo frugandolo rapidamente nelle tasche, non ebbe però il tempo di capire se in quelle, vi fossero delle gallette o del tabacco che egli stesso, si ritrovò con un coltello nell’orecchio.
Io, a vista di quella scena, preferivo le tasche di un morto, ed ascoltato lo straziante urlo di dolore del soldato, capì che i morti, altro non potevano fare che puzzare.
Bando ai cattivi; il campo era come sempre in preda al caos, vi erano uomini che gridavano, barellieri che facevano su e giù per la trincea e il fumo impestava l’aria, ma
In un negozio di giocattoli usati vicino casa mia abita un pupazzo pagliaccio di nome Tom, era il mio giocattolo preferito quand’ero bambina, ma Tom è il giocattolo preferito anche del negoziante, il signor Scott, un tipo gentile in cuore ma crudele all’apparenza, ha conosciuto un signore che abita in Alabama e gli ha chiesto un oggetto particolare del posto in cambio di un gioco, l’uomo gli portò un banjo scassato, ma funzionale, il banjo fece amicizia col pagliaccio che imparò a suonarlo, insieme fecero tanti piccoli concerti in giro per il mondo, finchè un giorno, a Mosca, si accorsero che una vecchia statua di Stalin si muoveva e allargava gli occhi come un gufo, ma non a loro, a un vecchio che sembrava babbo Natale in miniatura e che aveva appena comprato certi bonghi che suonavano perfettamente bene e cominciò a fare concerti in giro per il mondo, ma un giorno a Roma, incontrò Minnie e Topolino che avevano appena cominciato il loro tour come cantanti: Tunisi - Londra?" Mosca?" Chicago. A Chicago furono convocati da Geppetto che convocò anche il pagliaccio con i borghi e Babbo Natale in miniatura e diedero vita a un gruppo musicale.
Nacque, ed era stato lungamente atteso. Lui, maschio dopo tre sorelle. Sua madre appena lo vide pianse, abbandonandosi tra i cuscini sulla lettiga dell'ospedale, come addolorata, tanto estenuante era stato il travaglio ed il parto. Le sue sorelle, sebbene fossero consapevoli di essere diventate invisibili dal suo primo vagito, lo amarono. Suo padre non era in sé dalla felicità. Lo considerò fin da piccolissimo il gioiello da crescere con attenzione, curando la sua educazione personalmente, occupandosi di ogni minimo dettaglio della sua formazione senza neanche il più piccolo errore. E lui crebbe. La mamma non si perdeva una sola edizione dei telegiornali: come molte altre mamme nella sua stessa posizione sperava sempre, con l'animo tenero e romantico, di sentire una notizia eclatante, liberatoria, utopistica. Mai era accaduto, mai probabilmente sarebbe accaduto, ma lei testardamente perseverava. Lui era felice, sapeva per esserselo sentito ripetere da sempre di essere un eletto, un dono di Dio. C'era solo una cosa, un'ombra, una richiesta che dopo mille tentennamenti decise di fare a suo padre. Lo conosceva come un uomo a volte severo e duro, ma sempre giusto, che motivava le sue decisioni, che lo adorava. Grande fu quindi la sua meraviglia quando quella volta gli rispose brusco, quasi incattivito, quasi vergognandosi di lui. Pensò che ciò che aveva chiesto fosse sbagliato e decise di non tornare più sull'argomento.
Quel giorno si svegliò, come ogni altro, ma non era un giorno come ogni altro. Era il suo decimo compleanno. Nel salotto buono l'intera famiglia lo aspettava per consegnargli il suo regalo, quello annunciato, quello che rendeva suo padre così fiero di sé e di lui. Per un attimo, solo uno, sperò che i programmi fossero cambiati, si augurò di ricevere quella cosa che desiderava tanto, per poi darsi subito dell'ingrato, dello sciocco. Quello con cui stava uscendo di casa ora era un dono preziosissimo, un privilegio che gli era stato ac
Oggi il mio consunto spirito ristora fra ascose alpi eburnee scolpite in doriche e fiere colonne.
Prodigo per le forme più placide della sua coscienza e sacra dimora alle fiamme che lambiscono piedi ed ali quando spicca voli sommi verso eteree mete, verso l'unione di tutte le cose, verso l'unità e l'eterno impero universale di tutte le cose, meta invocata e mai raggiunta.
Ignei organi raffreddano ora lo spirito fuggendo i mezzi di ogni volo e corsa, pascendo su candelabri e bracieri, ed erigo a me il tempio più vasto che l'impero abbia mai veduto, il più divino ristoro dello spirito.
Immolo il solo presente alla terra, precipitato in pace dalle vette dello spirito, ora i frutti terreni maturano per contemplare la madre che dona vita per non spezzar se stessa. E anche il mio spirito è un frutto della natura, anche la vita matura le sue messi ed il suo nettare denso, ma chi inebria se non se stessa? chi berrà il succo divino se non la coscienza? essa riposa su calde braci contemplando ed odiando l'eterno circolo della vita, odiando ed amando la forma che sola diede la forza per amare ed odiare, fino alla più alta e divina unione che lo spirito possa mai toccare, dove l'amore l'odio incorona, dove Polemos l'amore sposa, dove lo spirito si fa sacro sacerdote del conflitto, dove unisce il tutto nell'uno più grande, la cerimonia che più ristora, qui, nel tempio più vasto dello spirito eretto da eburnee cime, qui nel tempio dove lo spirito mio si quieta brevemente, prima che l'acque d'Amelete smorzino i selvaggi fuochi indomiti.
Perché è nell'ozio della quiete, è dove più tramonta lo zelo dell'imbelle guerriero che lo spirito coglie per miti vie... l'assoluto.
La primavera, bizzarra e avara fino a maggio inoltrato,
finalmente era esplosa. Il sole splendeva ogni giorno
e non si erano verificati più quei temporali che spesso
avevano sorpreso Santippe al porto. Dalla casa di sua
madre un giorno Santippe sentì musiche e canti prima
ancora di vedere la nave sacra avvicinarsi al porto.
"Ecco giunto anche per Socrate il momento dell'approdo..." - disse
alla madre che si era affacciata sulla porta. C'era, nella sua voce una
profonda malinconia da cui traspariva il senso di ineluttabile
disfacimento della sua realtà, della sua vita. Cleide lo percepì
e, abbracciando la figlia, le disse: "Finché avrò vita non ti
abbandonerò. Anche se sono vecchia, potrò darti il povero conforto
della mia presenza". Santippe le fece una carezza. "Ora vado a
a casa. - disse - Qualcuno verrà a dirmi quando sarà eseguita
la sentenza". Percorse le strade senza fretta, un po' stordita
dall'animazione che l'arrivo dlla nave aveva prodotto.
Non si era sbagliata. Qualche tempo dopo il suo arrivo a casa
la raggiunse Critone. Era sconvolto ed anche un po' imbarazzato
per il compito che si era assunto. "Fatti coraggio, Santippe. Hai
saputo anche tu della nave, il tuo viso parla chiaro. Esitò un po'.
"Devi preparare una tunica bianca per Socrate". Santippe lo
guardava: i suoi occhi chiedevano quello che la sua bocca non riusciva
a dire. "L'esecuzione della sentenza è fissata per domani, dopo
il tramonto del sole. Socrate ti saluta e ti manda a dire di stare a
a casa, oggi, di stare vicina ai ragazzi. Domani verrà qualcuno di
noi a prendervi, per condurvi da lui". Santippe accennava di si, con
la testa. Critone continuò: "Stai tranquilla, non lo lasceremo un
minuto. Sono già con lui alcuni amici. È sereno. I più addolorati
siamo moi". "Grazie, farò subito quanto hai detto. Ha bisogno
d'altro, Socrate?" "No, di nulla. Fra poco verrà Mandane, è già stata
avvertita". "Allora, addio,
Sarebbe bello imprigionare il grigio, passeggiare sopra al suo bagnato con i tacchi alti. Sarebbe bello correre ma anche restare, sotto la pioggia a planare, davanti a questo semaforo rosso.
Undici meno un minuto. Undici e un minuto.
La notte mi piove giù dalle guance, mentre le immagini diventano trasparenti. Ho voglia di un caffè nero, di un caminetto caldo e di un qualsiasi film stupido da televisione. Una bimba mi osserva dal sedile posteriore della macchina davanti alla mia. La saluto, mi saluta. Ride e si nasconde dietro a un peluche, senza però smettere di fissarmi. Sorrido. Ho improvvisamente voglia di tornare piccola, di contare le gocce sul finestrino. Ho voglia di farmi passare la nausea cantando a squarciagola mentre papà mentendo dice che siamo quasi arrivati. Siamo quasi arrivati? A chi lo posso chiedere? Ho improvvisamente voglia di restare quella che sono, ho paura della dispersione delle molecole, ho paura di farmi inghiottire dai buchi neri nello spazio. Siamo quasi arrivati?
Quella volta che ho spinto la macchina per tre chilometri che si era fermata per la benzina…
Quella volta che ho dato un bacio a Margherita, si chiamava così quella ragazza bellissima che veniva a prendere il pane la mattina…
Quella volta che ho detto al capo: “io me ne vado” e poi ho riso e ho buttato il camice per terra…
Quella volta che ho corso come un pazzo per raggiungere il rifugio e le bombe piovevano come grandine malvagia…
Quella volta che al mare sul moscone mio figlio mi ha detto “guarda papà che bel tuffo che faccio!”…
Quella volta che ho preso i soldi ed ho comprato quell’anello, costava caro, ma le è piaciuto molto… l’avrà ancora addosso?...
Quella volta che c’era silenzio in classe, e nessuno sapeva la risposta, allora ho alzato la mano che mi tremava, e piano pianissimo, con la mia voce di ragazzino ho dato la risposta giusta…
Quella volta che bruciava la casa e abbiamo fatto in tempo a portare fuori solo le fotografie…
Quella volta che abbiamo aperto la porta della nuova casa per la prima volta…
Quella volta che siamo andati in gita al lago di Garda…
Quella volta che alle giostre guardavo la gente sulle montagne russe e pensavo “pazzi” e poi ci sono salito pure io…
Quella volta che mia figlia mi ha detto “sei nonno” ed io mi sono ricordato di quando, ragazzino, mio nonno mi raccontava le storie di paese ed io sognavo, allora mi è venuto da piangere…
Quella volta che abbiamo raccolto i punti dei detersivi e ci è arrivata la lavatrice nuova…
Quella volta che ho fatto dodici alla schedina…
Quella volta che le ho chiesto di sposarmi alla festa di San Giulio a giugno…
Quella volta che lei mi ha detto sì tremando…
Quella volta che di notte in ospedale, fumavo ed aspettavo…
Quella volta che ho visto la discussione della tesi dei miei figli…
Quella volta che mi aveva fatto impressione pensare che i miei figli avevano scritto un libro…
Quella volta che a me hanno fatto l
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