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Racconti su sentimenti liberi

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Nuove sensazioni

Era molto tempo che non scrivevo un racconto. Ne sono successe di cose dall'ultimo. Si perchè io scrivo per sfogarmi, per esprimere quello che ho dentro, perchè la gente leggendo possa trovare ispirazione, capirmi, o semplicemente chidersi che accidenti scrivo. Anche questa volta il mio pensiero vola verso una musa ispiratrice, verso una donna che ai miei occhi appare come una salvezza. Ogni volta spero che la prima persona che legga il mio scritto sia proprio questa musa. Ho conosciuto tante ragazze, sono stato con tante ragazze, ma poi tutto dopo poco finiva, senza lacrime o rammarico, eccetto in alcune, poche, storie. Lei però lo conosciuta diversamente dalle altre. Il primo pensiero quando ci parlai mi mise paura, perchè non fu il solito, sempliciotto, materiale pensiero. Fu subito di complicità e di voglia di proteggerla, di non prenderla in giro o di passarci il solito rapporto di pochi giorni basato sull'aspetto estetico. Volevo corteggiarla, piacerle per come le parlavo e per come le facevo i complimenti, volevo portarla a cena, volevo baciarla e abbracciarla. Quel giorno pensavo tra me e me che anche se non ci fossi riuscito non mi sarebbe importato più di tanto, uscivo e ci provavo con un'altra. Ma ora a distanza di tempo mi rendo conto che mi sbagliavo. Che certi sentimenti, certe emozioni, non le puoi provare se non rischi di farti male. Perchè sperare che quando squilli il telefono sia lei è stupendo, sperare che quando suona il campanello sia lei è stupendo, piangere perchè quella sera non vi siete visti è stupendo. Stupendo è sperare che lei non baci mai nessuno altro come bacia te. Queste emozioni non mi capitano spesso, ma quando le sento mi sento fortunato e felice. Spero che smettano il più tardi possibile, che anche quando il destino deciderà di mettere off sulla parola amore sia solo una salvezza e un modo per crescere. Che si abbia solo un ricordo, quello di emozioni strane e di momenti stupendi, di baci abbracci e litigate.

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   1 commenti     di: Carlo Pascotto


Sento che mi sei vicino!

Quel sabato pomeriggio, con la sua carrozzina elettrica, Giovanna era uscita di casa per una passeggiata. Non aveva voglia di mescolarsi fra la gente del paese che faceva acquisti, preferì dirigersi verso la tranquilla stradicciola lungo al Naviglio, che portava ad un piccolo Santuario.
Lungo il percorso aveva incontrato alcune persone amiche e, con loro, c'erano stati scambi di saluti.

Arrivata alla fine della stradina, si accorse che il cancello in ferro battuto del Santuario era aperto, quindi lo varcò, percorse il cortiletto lastricato di porfido, e si diresse verso la piccola chiesa.

C'era solo un minuscolo gradino, facilmente superabile con la carrozzina, e il portone di ingresso, era appena socchiuso. Spingendolo un po' entrò in quel Santo luogo, semplice e luminoso,... oltre a lei, non c'era nessun altro, solo silenzio e un dolce senso di pace...

Giovanna avanzò fin davanti all'altare e, vicino alla porta della sagrestia, in un angolo, notò una vecchia croce impolverata e abbandonata.

Si fermò ad osservare quella croce, provando dispiacere nel vederla così "malconcia", proprio come si sentiva lei stessa, in quel momento...
I suoi pensieri vagarono, trasformandosi in una sorta di dialogo-preghiera con Dio...

"... c'è chi sta peggio di me, lo so, sai?,... ma mi mancano tante piccole cose!!! Vorrei poter tornare a camminare, a far le pulizie di casa,... pensa, mi manca perfino il mio lavoro!... si, ammetto che col ragioniere era un continuo battibecco, ma... Ma queste cose le sai già, chissà perché te le sto a raccontare... proprio a Te poi, che hai dovuto sopportare molto di più, per causa nostra"...

Sulle guance scesero alcune lacrime,... sulle mani, avvertì il calore di una carezza.
Giovanna alzò la testa e davanti a lei, vide un bimbetto biondo che stringeva un mazzolino di margherite, e che la stava osservando preoccupato.

- Perché piangi?... ti sei persa?
- No, piccolo non mi sono persa, m'è solo entr

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Sogno... realtà

In una famiglia unita con più figli c'è sempre chi la dice un po' lunga e chi invece se ne sta ben accomodato. Ora vi racconto la mia storia. Mi chiamo Carol e sono figlia di Giuseppe e Anita, due genitori stupendi che nonostante i loro sforzi lavorativi hanno cresciuto me e i miei fratelli in un modo amorevole. Noi figli abbiamo sempre aiutato la famiglia, lavorando anche prima della maggiore età. Io sono la primogenita e dopo di me ci sono due fratelli Marco e Claudio. Sono sposata ed ho un marito favoloso e tre piccoli monelli : due femmine e un maschietto. Mio fratello Marco è sposato da poco e anche lui ha una bimba di due mesi, mio fratello Claudio aspetta ancora il giorno in cui arriverà una principessa. Questa è la mia famiglia, che come tante altre ha pregi e difetti. I miei fratelli amano i miei genitori quanto me, ma nonostante tutto io sono molto più disponibile di loro.
Un giorno, mia madre mi mostra una lettera che le è stata inviata da un notaio molto noto che la invitava a recarsi presso il suo studio. Mio padre, non può assentarsi dal lavoro, ed essendo convinto che si tratti di una sciocchezza mi chiede se posso occuparmene io e avere ulteriori spiegazioni a riguardo da parte del notaio.
Il giorno dell'appuntamento mi reco allo studio del notaio e mi presento a lui dicendo di essere la figlia di Anita Azzurri. Mi fa accomodare e mi dice che mia madre è l' erede di uno zio del Brasile che ormai non vede da anni. Non credo alle mie orecchie, ma, il notaio mi racconta di questo zio che ha perduto la moglie in età giovanile e dalla quale non ha avuto nessun figlio e che quindi ha pensato di lasciare tutto a sua nipote Anita.
Mi sento quasi svenire dopo aver capito che questo parente ha lasciato a mia madre una notevole somma di danaro e beni immobili. Rimango sbalordita dinanzi a tutto ciò, penso a come poter dare questa notizia a casa. Fisso un altro appuntamento con il notaio perchè mia madre deve firmare dei documenti

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Il galletto bianco e rosso

Piazza Navona, a Roma, si trovava nel periodo di maggiore affollamento. Mancavano pochi giorni all'Epifania e tutto il grande perimetro della piazza era occupato dai banchi dei giocattoli e da quelli dello zucchero filato.
I pasticcieri, in camice e berretto bianchi, estraevano da caldaie piene di un denso sciroppo bollente, lunghe bacchette che avvitavano su se stesse con attrezzi di ferro.

Le bacchette assumevano sotto i loro gesti precisi una forma a spirale bicolore: bianco e rosso, rosa e verde, bianco e verde. Poi venivano tagliate e offerte a tante mani di bambini che avevano seguito l'operazione con meraviglia ed impazienza. I banchi dei giocattoli erano molto più numerosi di quelli dello zucchero filato. Davanti ad essi si affollavano bambini e genitori che, in genere, non compravano niente perché i bambini dovevano essere certi che ai banchi poteva rifornirsi soltanto la Befana. I bambini guardavano i giocattoli con occhi incantati e i loro sogni si allargavano oltre le normali aspettative. A casa, poi, cercavano di essere più obbedienti, nella speranza che la Befana comprasse per loro proprio quei giocattoli che sembravano un sogno proibito. Davanti ad un banco stava una bambina con gli occhi spalancati su un galletto di gomma che, sotto i soffi poderosi del venditore, diventava sempre più grande. Il galletto era tutto bianco, un bianco che faceva un bel contrasto con la grossa cresta frastagliata e la coda, entrambe rosse. Il venditore gonfiava il gallo dietro il banco ma la bambina, anche a quella distanza, poteva vedere la grana porosa della gomma di cui era fatto il galletto e che accresceva il suo desiderio di avere un animale così bello, grande e robusto. Il padre della bambina la stava osservando da un pezzo e ad un tratto, violando le regole del gioco, comprò il galletto, sgonfio, e lo mise nelle mani della sua bambina alla quale sembrò di assistere ad un miracolo, in primo luogo perché il suo forte desiderio era stato subito esaudito

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Il principe azzurro esiste?

C'era una volta una bambina che giocava con le sue bambole, le accudiva come figli, le vestiva, le svestiva, le lavava, le pettinava, le parlava;
c'era una volta una ragazzina che leggeva tanti libri, tante storie d'amore e sognava il principe azzurro;
c'era una volta un'adolescente che scriveva poesie, fantasticava e continuava a sognare il principe azzurro;
c'era una volta la solita adolescente che si innamorava e disegnava cuori ovunque pensando al suo principe azzurro;
c'era una volta una ragazza che veniva lasciata, che soffriva ma che si rialzava e continuava a sognare il principe azzurro.. e si innamorava ancora.. e si lasciava trasportare dai sentimenti;
c'era una volta una donna che si sposava per amore, con il desiderio di diventare madre;
c'era una volta la stessa donna che non riusciva ad avere figli e si separava.. ma si innamorava ancora.. e poi ancora.. e poi ancora..
C'è oggi una donna che dopo l'ultima delusione, l'ultimo amore sbagliato, dopo un'estate folle, dopo tanti incontri, ancora sogna il principe azzurro.. e lo aspetta a braccia aperte.. più consapevole, più matura.. ma sempre con tanta voglia di amare.. di amare e di ricevere amore..

   3 commenti     di: Roberta T.


Uno dei miei figli

Sei sempre stato così? come da piccolissimo, lo ricordo bene, quando ti dissi: "è da tanto che non mi dai un bacio" e tu con linguaggio infantile e la tua <esse> così lunga mi rispondevi: "sto bene così" ed eri già tu in quella frase che tanto mi colpì e un po' mi fece male. Ora, pare, di me ti vergogni(un pò, tanto? non importa), mi consideri pazza, come mi hai urlato in faccia, e mi eviti, ti da noia anche sapere che ci sono e, come in alcuni stati si fa, mi hai definita<persona non gradita>, perfino al mare, dove da te ho ricevuto schiaffi morali che ho cercato di incassare come meglio potevo come l'amore che provavo per te mi portava a fare.
Sei sempre stato così?, forse si e se fossi banale direi<per colpa mia>, ma non mi accuso di nulla anzi mi assolvo!! perchè ho fatto quel che sapevo fare, forse poco o nulla, ma ho fatto, c'ero, ci sono.
Ora tu ti sei costruito un bozzolo, credimi:pericoloso per i tuoi 23 anni, un bozzolo di riti, che sa di vecchio, di muffa, che pensi ti possa proteggere dalle<follie>che tutti, ma proprio tutti, compiono;il rituale del<ti amo> detto senza cuore oramai da tanto tempo. Guardo come ti lasci vivere e non intervengo perchè non posso(e non voglio), perchè sono persona non gradita, però osservo e penso. Penso che presto esploderai, proverai dolore e poi rinascerai. Sarà allora che potrò pensare:non sei sempre stato così!



Mia madre

Mia madre era quasi analfabeta. Aveva fatto solo la terza elementare.
Mia nonna considerava la cultura un inutile fardello, specialmente per le donne.
Del resto non aveva fatto studiare nemmeno i figli maschi.
Forse non avevano, lei e il nonno, risorse economiche sufficienti per farli studiare tutti. E, così, non avevano voluto fare ingiustizie. Forse.
Con la sua scarsissima cultura, mia madre a vent'anni aveva trovato un posto di telefonista. La mia ferrea nonna glielo fece rifiutare. "Le donne non lavorano -disse - specialmente in posti pubblici. È come andare sul marciapiede".
Mia madre, che aveva un carattere dolce e docile, si rassegnò. Sposò mio padre che era buono e l'amava ma era un po' maschilista e non le lasciava grandi spazi. Ma quella donna fragile e docile, quando era sicura che una cosa fosse giusta, scopriva un lato ferreo del suo carattere che forse aveva ereditato dalla madre. Fu d'accordo con mio padre per farmi studiare, ma i loro obiettivi erano diversi.
Mio padre, che faceva il durissimo lavoro di macchinista delle Ferrovie dello Stato, voleva per me una condizione di vita diversa dalla sua. Sognava che diventassi una donna "di comando". Così diceva. Che cosa dovessi comandare non si capiva bene. Mia madre aveva un obiettivo molto concreto. "Studia - mi diceva - e poi trovati un lavoro. Creati un'indipendenza economica. Non dovrai chiedere a tuo marito un paio di calze. E se non vorrai sposarti, potrai provvedere a te stessa". Mio padre ha fatto molti sacrifici per farmi studiare, ma mia madre, che aveva il bellissimo nome di Elena, ne ha fatti molti di più. Quando mi assaliva l'agorafobia e non riuscivo a muovermi da casa, lei piantava tutto e mi accompagnava. Prima alle medie, poi al liceo e infine all'Università. Aspettava che finissi di ascoltare una lezione o concludessi un esame, seduta sotto la statua della Minerva, la dea della sapienza alla quale non aveva niente da invidiare: lei aveva la sapienza del cuore. Appena

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