Abbiamo passeggiato lungo un mare finito sulle coste africane con degli africani gialli. Abbiamo camminato lungo tutta la Muraglia cinese con delle cinesine grasse. Abbiamo camminato controvento a Trieste. Abbiamo mangiato un gelato al Polo Nord perché sentivamo caldo. Siamo scivolati coi tacchi sulle montagne rocciose. Abbiamo saltellato con gli occhi chiusi nel Gran Canyon. Abbiamo attraversato la strada a Tokyo col semaforo verde per le macchine. Abbiamo fatto l'amore all'aperto a Islamabad. Abbiamo cercato e poi trovato la lampada di Aladino per regalarla ad un senzatetto di Mosca. Abbiamo recitato l'Ave Maria in una Moschea. Abbiamo detto che tutto poteva essere, che tutto poteva esistere, che tutto poteva succedere, mentre eravamo in catene in un carcere in Turchia. Abbiamo concluso che ci piace di più la rivoluzione Tolemaica. Ci siamo affacciate dal finestrino di un aereo. Abbiamo detto alle nostre madri che le amiamo ma che non vorremmo mai essere come loro vorrebbero che noi fossimo, perché non saremmo mai noi e ciò che vorremmo essere. Abbiamo gettato oggetti dal finestrino. Abbiamo disegnato i baffi alla Gioconda. Abbiamo detto al presidente che è un coglione. Abbiamo detto che la vera fuga dei cervelli non è all'estero, ma nelle fabbriche. Abbiamo pensato che siamo tutti egoisti. Abbiamo visto nullatenenti avere le tasche piene. Abbiamo visto gente ricca lamentarsi di non avere nulla. Abbiamo visto gente in salute lamentarsi per un mal di testa. Abbiamo visto gente senza gambe giocare a hokey sul ghiaccio. Abbiamo visto gente povera sorridere perché non conoscevano l'alternativa. Abbiamo visto gente povera piangere perché conoscevano l'alternativa. Abbiamo visto gente che parlava di amore e speranza mentre l'auto blu l'aspettava fuori il Grand Hotel. Ci siamo abbracciati forte in un vortice fortissimo senza che Dante ci degnasse di uno sguardo. Ci siamo detti addio per vedere cosa si provava senza lasciarci mai. Ci siamo guardati per undici or
[continua a leggere...]Luigi è un patriarca. È saggio ma non invadente, tanto
meno un dominatore. Guarda con affetto i suoi figli, nupoti e pronipoti e li lascia in pace. Non dispensa né consigli né ammonimenti. Altezza media, fisico asciutto, viso e braccia
sempre abbronzati. Cammina dritto, appoggiandosi appena ad un leggero bastone che gli dà l'aria di un vecchio gentiluomo di campagna piuttosto che quella di un anziano con problemi motori. Ha 95 anni ed è un concentrato di saggezza e cultura contadina. Ha lavorato sempre una terra non sua ma adesso possiede i suoi animali e la casa in cui vive non è del padrone. Ha perso la moglie da molti anni
ma vive serenamente il suo ricordo. Vive con un figlio e la nuora che non hanno da temere che invada i loro spazi.
Lui si è creato il suo: si siede al sole, davanti alla casa
e, con una lunga bacchetta, tiene a bada galline, polli, oche e tacchini. Quando glielo chiedono uccide un pollo o un tacchino
e si gode l'arrosto. Io l'ho conosciuto ad una festa di compleanno di una dei suoi tanti pronipoti. La mia amica
Giovanna, che è sua nuora, mi presentò così: "Papà, questa
è la mia amica Franca, la professoressa di cui ti ho parlato"
Lui prese la mano che gli tendevo e disse: "Molto piacere.
Io sono Luigi, contadino". E così mise al posto suo la professoressa. Avemmo una conversazione piacevolissima.
Luigi è molto informato sull'attualità politica. Non perde un
telegiornale, legge tutti i giorni l'Unità e qualche volta altri giornali per sentire, dice, anche le altre campane. Quando
scoprì che le sue idee politiche erano anche le mie disse: "Ah,
adesso le professoresse sono anche rivoluzionarie?"
"Perché - chiesi - è un male?" "No, no - rispose lui - ce ne
dovrebbero essere di più".
Un giorno volle portare i suoi animali a pascolare in un
vicino bosco. I suoi occhi ancora validi videro tra i cespugli
la sagoma inconfondibile di una volpe. In quattro e quattr'otto,
con la sua lunga bacch
Uno di questi giorni.
Lo diceva, lo ripeteva ogni volta che qualcosa andava storto, ogni volta che ciò che ella faceva non si risolveva come aveva programmato.
Uno di questi giorni incontrerò qualcuno.
Uno di questi giorni qualcuno capirà.
Uno di questi giorni riuscirò a essere felice.
Ma la vita procedeva ugualmente; ignara delle sue speranze e dei suoi progetti. Le regalava occasioni, questo si, non si può dire che di possibilità non ne abbia mai date, ma andava avanti, che lei le avesse sfruttate, o meno.
Ed ogni volta che doveva ripetere a se stessa che Uno di questi giorni…, solo per non sentirsi sconfitta, le rimaneva un velo amaro in gola, una sensazione di disgusto, come se i suoi organi avessero già accettato ciò che la sua mente rifiutava continuamente.
Che qualsiasi sfida accettasse, ne usciva sconfitta.
Ce ne era una, tra le mille sfide che si era posta, forse la più comune, quasi scontata, ma la più logorante, la più sfiancante.
Aveva un nome, come molti avranno intuito. A dispetto delle disgrazie, dei problemi, per quanto complessi e insopportabili, non c’è lotta più ardua che quella continua e quotidiana con le persone e il nostro cuore; con ciò che gli altri provano e quello che noi vorremmo che provassero.
Aveva un nome, che più degli altri le ricordava che era lontano, da lei e dalle sua mente; anche se spesso era stato vicino, forse troppo, al suo corpo.
Aveva avuto numerose occasioni per comprenderlo, ma aveva, sempre, miseramente, fallito.
Anche lui ne aveva avuto molte, di occasioni per capire cosa lei provasse, ma, forse, a dispetto delle apparenze(e questo era un dubbio che la logorava), non ci aveva mai veramente provato.
Sarebbe stato facile per lei scordarlo, ma lui aveva la rara capacità di spuntare dal nulla, di far capolino nella sua mente da ogni più singolare anfratto della sua esistenza.
Leggeva un giornale e c’era un articolo, una coincidenza senza dubbio, che parlava del suo lavoro.
Andava
Tornato a casa con la barba lunga e l'umore nero Raf si fece abbracciare dalla madre perché era impossibile evitarlo, grugnì un saluto generalizzato, alzò un sopracciglio alla vista di Kim e, senza proferire verbo, si infilò nella doccia. Ci sono uomini che cambiano completamente a seconda che si trovino in giro per il mondo o in ambiente domestico e Kim, che quel giorno non era andata al mare per motivi femminili, stentò a riconoscerlo come il ragazzo che l'aveva colpita positivamente a Vienna.
Si era ritemprata, in quei giorni, e aveva avuto modo di conoscere e apprezzare l'allegra spensieratezza di Borg con cui, per via delle piccole avventure e disavventure marine e cittadine, era nata una sorta di complicità. Raf era stato la bella idea romantica del gigante intrepido e indipendente, un'idea non corrispondente alla realtà; Kim, che tra le sue doti aveva la lucidità, se ne rese conto quando lo vide delegare la madre a svuotargli il bagaglio pieno di panni sporchi da mettere in lavatrice: decise che non era il caso di farsi in quattro per preparare la Paulova.
Incominciò invece a farsi largo nella sua mente un progetto: voleva prolungare il suo soggiorno a Roma ma non poteva abusare dell'ospitalità di quella famiglia. Doveva cercare un lavoro e, al più presto possibile, trovare un'abitazione, magari una camera in subaffitto.
Si confidò con Borg e trovò in lui l'amico di cui aveva bisogno: insieme si misero a leggere e a cerchiare le offerte di lavoro sui quotidiani e su un giornale bisettimanale di annunci gratuiti: baby sitter, cameriera o shampista poco importava, l'importante era uscire dall'inerzia. Fu proprio Borg, che finalmente si era rasserenato di fronte al cuore libero di lei, a trovare qualcosa di decisamente interessante. Una scuola, per giunta del quartiere, cercava un'insegnante di inglese per delle ripetizioni estive.
Presentarsi ed essere assunta fu questione di poche ore: i suoi titoli non valevano, naturalmente, in Italia, ma
Fu solo un attimo, un movimento improvviso, una forma scura e indefinita che per un istante aveva invaso parte del suo spazio visivo… e poi più niente. Lisey era abbastanza sicura di aver visto qualcosa muoversi alla sua destra, mentre stava leggendo, ma adesso non ne era più molto convinta. Le capitava spesso di avere la sensazione di veder muoversi qualcosa proprio all’estremità del suo campo visivo; allora si voltava di scatto, convinta di vedere Max con i suoi grandi occhi verdi sbadigliare e stirarsi pigramente, voglioso di coccole o di croccantini di cui era golosissimo. Mentre invece si stupiva di non trovare niente, neppure il suo gatto che faceva le fusa contro la porta. Cominciava a diventare un fatto snervante e assolutamente fastidioso; eppure non aveva nessun motivo per essere tesa o nervosa. Stava finendo di dare gli ultimi esami all’università, aveva un lavoro part-time soddisfacente e piacevole presso una scuola privata di lingue e un bel gruppetto di amiche simpatiche e divertenti con cui uscire nel fine settimana. Tutto nella norma più o meno, niente che non fosse tipico della vita di una normale studentessa universitaria. Ma quella sensazione… diventava sempre più insistente ed opprimente. Era come se qualcuno o qualcosa la controllasse passo dopo passo, senza lasciarle respiro. Anche i suoi genitori avevano notato che qualcosa non andava, la vedevano pallida e poco curata, proprio lei che, neppure per andare a fare la spesa si sarebbe mai sognata di uscire senza trucco; era diventata intrattabile, bastava una semplice osservazione per farla scattare come una molla. Pensando di peggiorare ulteriormente le cose, Daniel e Margaret Finney avevano deciso di lasciarle i suoi spazi e di non stressarla più di tanto con continue ed assillanti domande a cui lei si rifiutava di rispondere. Forse era solo un brutto periodo che sarebbe passato presto. Del resto Lisey era sempre stata in tipo riservato; difficilmente si confidava su argomenti ch
[continua a leggere...]Ho ricordi vaghi dell’iniziativa, avevo sostituito un collega ammalatosi all’improvviso (??!!). Era un incontro tra sindacato (il mondo del lavoro si diceva allora) e la scuola. Non era il mio campo, non ero in forma e la sufficienza con cui molti trattavano i sindacalisti (termine spesso usato con tono dispregiativo) mi aveva fatto girare le palle e nel mio intervento non feci niente per nasconderlo.
- - -
Faceva un freddo intenso, stavo infilandomi il cappotto, recuperando velocemente l’uscita della scuola che aveva ospitato l’iniziativa, quando qualcuno, avvicinandosi mi allungò la mano “l’istinto sarebbe di baciarti, ma mi accontento di stringerti la mano. Sei sempre così o è una giornata particolare?” La guardai senza parlare, avevo solo voglia di andarmene in fretta. Lei però non mollava e questo accresceva il mio malumore; mi si era piantata davanti e non sembrava provare nessun imbarazzo per i miei modi bruschi, “quando hai paragonato il provveditore a La Palisse, ho quasi avuto un orgasmo.” Accennai un sorriso.
Piuttosto giovane, quasi sicuramente una studentessa. Non molto alta, un viso impertinente, capelli castani, quasi neri. Innegabilmente bella. Farfugliai qualcosa e m’incamminai, ma non doveva essere il mio giorno fortunato “Posso offrirti qualcosa di caldo? Mi piacerebbe approfondire l’argomento.”
Uscendo dal bar ci scambiammo i numeri di telefono, a tutto pensavo fuorché di rivederla.
Mi sbagliavo.
- - - -
Mi ero trattenuto in ufficio ben oltre l’orario, ero di umore nerissimo, una giornata da dimenticare, ma fortunatamente era finita. Stavo togliendo la chiave dalla porta, uno squillo, un altro. Ci mancava pure il telefono, istintivamente guardai l’orologio, 20. 47; decisi di non rispondere. Feci le scale a tre gradini per volta, passando davanti all’ufficio della segretaria, udii il telefono che continuava a squillare.
Giove, dell'alto, ride degli spergiuri degl'amanti.(Ovidio)
Ho smesso di cercare, ed ho trovato...
Ma perché c'è da soffrire per imparare? io voglio imparare amando, ché il mio cuore non tollera strattoni, illusioni e bugie; è diffidente, ma tanto, tanto ingenuo, si smarrisce per mille vie: è capace di scambiare l'interesse per amore!!! per troppo tempo ha covato odio e rancore, come la seppia che rilascia il suo nero per disperdere il cacciatore. Troppo a lungo si è chiuso a soffocare il suo battito languido.
Fievole.
Debole.
Quasi muto. E sordo.
Un giorno che non aspettavo, trovo quello che non speravo.
Due occhi che cercano i miei, senza timore, senza pudore- con mio grande stupore-- per ore ed ore. Bastano poche parole, le sole a destare un cuore agonizzante, che al momento giusto non s'è mostrato sprezzante alle lusinghe di un nuovo amante.
Comincia in un giorno qualunque, nell' aria pigra di un mite sole settembrino: leale con me stessa, presto orecchio al mio rauco cuoricino; creo il silenzio intorno a me, perché possa ascoltare il suo nuovo canto...
Piango--ora lo sento!: non mento --balbetta qualcosa per marcare il suo posto nel mondo, è come mai lieto e giocondo.
Che delitto dirgli che nulla è per sempre, che il suo scomposto pulsare si va ad atrofizzare. Presto o tardi lo porterò, anchilosato, stanco, quasi fermo, in gabbia nel mio torace, serrato dallo sterno; perno della mia passione di paglia, a conservare la memoria di una fulminante voglia; al petto come un' opaca medaglia.
Ma tu stammi vicino che si ripiglia (un bacio, una carezza) a distanza di miglia e miglia: dimmi che non andrai via presto, che non è solo un sogno questo. Dimmi il vero quando lo pensi serio: un cuore convalescente, malfermo, malato è tanto più delicato che un refolo di gelo l'ha già bell'e stroncato.
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