Mi mancava l’aria, sai.
I più semplici comandi corporali richiedevano una grande energia.
Camminare ad esempio. Un piede dietro l’altro… sinistra…destra… … sinistra… sin…no… destra…
Tre passi, trenta gocce di sudore.
Cercavo inutilmente di prendere quella dannata sigaretta, che maledettamente proprio in quel momento si doveva incastrare… e si accaniva contro di me anche il pacchetto che, invece, non si voleva chiudere.
Poi la mia voce strozzata; l’avrai notata.
Possibile, ancora una volta, ancora quel nodo alla gola; mai che riuscissi ad emettere suoni normali.
Un ciao da gallina sfiatata.
Poi, dove mettere gli occhi?
Cercavo una soluzione immediata, ma sono finita di nuovo a posare le sguardo sulla parte sbagliata.
Mettendo ovviamente in mostra la mia espressione allarmata, la mia faccia accaldata.
Te l’ho detto, mi mancava l’aria.
Poi, improvvisamente è tornata.
Ho recuperato la consapevolezza dei miei muscoli. Specialmente, eccessivamente, dei muscoli facciali.
Avevo la pesante certezza che un’altra volta avevo superato l’attimo. L’incontro.
Indenne, ma forzatamente stabile.
Stessa perenne perdita di controllo.
Chissà, forse l’avrai notato.
Sicuramente saprai dove avevo la testa.
Non so come possa io esserci riuscita, hanno rintoccato nell’ aria troppi pochi secondi;
ma… si, ho pensato all’ ultima sera…si, anche alla precedente… soprattutto ho riesumato il suono delle risate, il colore e il sapore delle ombre e dei profili.
Si, ho anche rivissuto i silenzi.
Sai, questi ricordi avevano lo stesso gusto di quel groppo in gola.
Come quando da piccola si sporca il gelato con la sabbia.
Una dolcezza resa fastidiosa.
Lo stesso sapore di un bacio dato prima di andare via.
Sapendo che al successivo incontro mi sarai dovuta limitare al mio saluto strozzato.
Cercando frettolosamente qualcos’altro da pensare.
Sai, forse ho capito perché mi manca l’aria.
È vederti ad una spanna da
La ragazza si avvicinò alla fermata tenendo strette le braccia chiuse sul petto, ma le mani alzate a strofinare contro le spalle. Era il brivido del momento, e una certa ansia sentimentale a spingerla a quell’auto affetto.
L’aria autunnale pioveva come minuscole caterve di lievi spinte.
“Forse non è così triste la faccenda” pensava lentamente “va bene, son qua adesso, da sola, disperata, guarda come sono vestita, si vede la macchia, c’è troppo vento, nel buio mi sento più sola, capiterà a tutti, non ha aggiunto altro quando ci siamo salutati, ma ha fatto quel gesto, poteva non farlo, non l’ha mai fatto prima, però l’ha fatto, allora, certo, idiota che sono, ha capito, forse, oddio spero di no, che vergogna, spero di sì, sì, ha capito, non so, l’ha capito? Non mi aveva mai toccato prima, ha spostato la sua mano, me l’ha messa sulla spalla… perché mi sono scostata? poco è vero, ma cosa avrà pensato, che mi dava fastidio? No, non mi dava fastidio, fa freddo, quando arriva il 29?, devo ricordarmi di dar da mangiare ad Agata, aveva anche un sorriso più aperto, non mi sto ingannando, io pure ho sorriso, di più del normale, sì sì, ha capito, e vuole mandarmi un segnale, sarà spaventato come me, non è il tipo da dichiararsi con franchezza, che idiota che sono, stupida stupida, stupida, mi vuole, vuole me, non lo ripugno, gli piaccio veramente, è l’inizio, stasera c’è vento, magari più tardi lo chiamo, mi chiama, devo vederlo, ancora, se farà quel gesto di nuovo, giuro che non mi scosto, e se mi desse un bacio… mi darà un bacio, lo sento, e gli dirò quanto mi piace, magari non parlando, me ne sto ferma, a lasciarmi toccare la spalla, e capirà tutto…”.
L’autobus arancione come slittando sull’asfalto di affianco alla ragazza, aprì le sue porte e l’inghiottì sbadatamente.
- Vi dico che c’ha un braccio così, una roba che non ho mai visto, una donna con un braccio come un camionista, è davvero grassa, caz
Alla ricerca di una profondità impossibile, invisibile, così maledettamente vicina.
Un angosciato sguardo, lontano dal rumore delle auto che sfrecciano lì a pochi metri, indifferente alle chiacchiere del gruppo di anziane che attraversa, perso nella grandezza infinita del cielo serale, disturbato dalle luci artificiali, isolato dal mondo e da tutti, da cose e persone, da voci e sussurri, da maledette trame di una realtà banalmente e quotidianamente ingannevole e incompleta.
-Scusami, avresti per caso un accendino?
Perché rispondere alla passante? L'educazione dettata da chi gli impone di volgere il suo sguardo dall'oblio più puro alla fredda e rigida determinatezza della ragazza dai lunghi capelli e bel viso davanti a lui, così limitata nelle sue forme carnali, così incompleta nei suoi confini.
-Eccolo.
Si sente costretto a risponderle. Un senso di colpa e vergogna lo pervade al solo pensiero di ignorarla. Maledetta natura umana volubile e incostante! Estrae l'accendino dalla tasca e lo porge alla ragazza. Lei si accende una sigaretta, lui segue il suo esempio e se ne vanno, un ultimo vago grazie rompe il loro così veloce rapporto.
Cosa sto cercando? Me lo chiedo anche io, a dire il vero. Se lo chiedono le persone che ti sono attorno, l'erba su cui cammini, gli alberi che ti sovrastano, il fumo che scende nella tua gola. Cosa vuoi? L'intera natura si ingegna per renderti soddisfatto, il cosmo che ti circonda si interroga su di te e sulla tua frustrazione esistenziale. Tu ne denunci i difetti e i limiti, tu li ritieni incompleti e fallaci, loro cercano solo di dimostrarti il contrario. Tutti noi vogliamo farti capire cosa può offrire questa realtà finita che tu così immensamente disprezzi e ripudi. O è forse paura la nostra? Terrificante timore che tu abbia ragione? Ci spaventa così tanto essere finiti, racchiusi nei nostri confini? Vuoi forse svegliarci da questo sonno, ingannevole pacata soddisfazione delle cose così come sono, vuoi spingerci
Quel sabato pomeriggio, con la sua carrozzina elettrica, Giovanna era uscita di casa per una passeggiata. Non aveva voglia di mescolarsi fra la gente del paese che faceva acquisti, preferì dirigersi verso la tranquilla stradicciola lungo al Naviglio, che portava ad un piccolo Santuario.
Lungo il percorso aveva incontrato alcune persone amiche e, con loro, c'erano stati scambi di saluti.
Arrivata alla fine della stradina, si accorse che il cancello in ferro battuto del Santuario era aperto, quindi lo varcò, percorse il cortiletto lastricato di porfido, e si diresse verso la piccola chiesa.
C'era solo un minuscolo gradino, facilmente superabile con la carrozzina, e il portone di ingresso, era appena socchiuso. Spingendolo un po' entrò in quel Santo luogo, semplice e luminoso,... oltre a lei, non c'era nessun altro, solo silenzio e un dolce senso di pace...
Giovanna avanzò fin davanti all'altare e, vicino alla porta della sagrestia, in un angolo, notò una vecchia croce impolverata e abbandonata.
Si fermò ad osservare quella croce, provando dispiacere nel vederla così "malconcia", proprio come si sentiva lei stessa, in quel momento...
I suoi pensieri vagarono, trasformandosi in una sorta di dialogo-preghiera con Dio...
"... c'è chi sta peggio di me, lo so, sai?,... ma mi mancano tante piccole cose!!! Vorrei poter tornare a camminare, a far le pulizie di casa,... pensa, mi manca perfino il mio lavoro!... si, ammetto che col ragioniere era un continuo battibecco, ma... Ma queste cose le sai già, chissà perché te le sto a raccontare... proprio a Te poi, che hai dovuto sopportare molto di più, per causa nostra"...
Sulle guance scesero alcune lacrime,... sulle mani, avvertì il calore di una carezza.
Giovanna alzò la testa e davanti a lei, vide un bimbetto biondo che stringeva un mazzolino di margherite, e che la stava osservando preoccupato.
- Perché piangi?... ti sei persa?
- No, piccolo non mi sono persa, m'è solo entr
La vacha malha (Lou Dalfin)
ANDREA
Ma c'è davvero bisogno di una storiellina minimale?
Non lo so, non sono miei problemi.
Comunque, tanti anni fa, avevamo in casa un canarino arancione. L'ospite cominciò a svolazzare nella sua gabbia che era già un maschio adulto, mentre io, seppure anagraficamente più vecchio, ero in età prescolare. L'avevo chiamato Andrea. Certo è un nome inconsueto per un volatile, e già sento turbe flagellanti di apprendisti chierici scagliarsi contro quell’infantile decisione adducendo l'incontestabile fatto che non sta bene rinnovare il nome del santo ad ics in un miserabile pennuto. Ma io, fin da piccino, odiavo dare agli animali appellativi sciocchi, quali Fido, Fufi, Bobi, Cippi, o qualche altra tra le mostruosità più in voga dalle nostre parti e in quel preciso contesto storico, in un'orgia di puerilità e neologismi anglo-transalpini, tanto esotici quanto onomatopeici. Quel sentimento era dovuto al mio segreto piacere nell'apparire un po' originale, e chiamare Andrea un canarino era senz'altro originale. Lo trovavo un bel nome per un uccello, molto buffo. Intendiamoci, sarebbe stato altrettanto buffo chiamarlo Gianluca, che è il mio nome, ma credo che non faccia piacere nemmeno ai bambini vivere il ridicolo troppo da vicino. Andrea mi faceva ridere perché era un nome da grandi, il mio era, almeno per personale esperienza, un nome da bambini. Vuoi mettere?
Andrea prosperava nelle sue due spanne cubiche di ferro a sbarre becchettando mangime e un osso di seppia bianchissimo, nutrito, dissetato e riverito grazie ad una bravura canora senza eguali nel nostro condominio. Pensavo, è vero, che fosse un po' troppo intellettuale, come canarino, dato che aveva sempre il capo chino sul foglio di giornale che, dal fondo della gabbia, gli fungeva da cloaca, ma se trovava piacevole tenersi informato sui fatti del mondo non sarei certo stato io ad impedirgli l'innocente sollazzo. Così ogni mattina, alle sette e tren
Un albero dalla chioma giallognola, immerso nel gelo delle sei del mattino d'un 16 dicembre in una città settentrionale, avvolto dalle tenebre e da quella nebbiolina che si rivela solo all'illuminazione gialla dei lampioni delle piazzette deserte si chiede: "perchè sono costretto a subire tutto questo, la solitudine in attesa di spogliarmi con dolore agli occhi di tutti, di chi porta dei caldi piumini e dorme sotto altrettanto calde coperte in altrettanto calde dimore?"
A quel punto sentì una rauca risposta al suo interrogativo. Proveniva da una vecchia panchina di legno, ormai orfana della vernice verde che contraddistingueva la sua cute organica anni prima, ubicata sotto di lui: "questo è il nostro destino amico Castagno, amico mio. I e te siamo fratelli, io sono fatto della tua stessa materia anche se quest'ultima origina dalla violenza dell'uomo. Noi siamo cose, non meritiamo rispetto alcuno, così come non ne merita nessun ragazzino arrogante che ci prende a calci o ci calpesta o ti strappa la corteccia provocandoti un terribile dolore. Lasciali fare, un giorno un sacerdote dello spirito tornerà sulla terra e ci libererà da questa vita grama. Ci riuniremo banchettando su tavoli dorati, al cospetto di commensali buoni, generosi e divini mentre osserveremo l'annientamento di quelli che ora sono i nostri aguzzini.
Mentre la pioggia cadeva a dirotto noi ci rifugiammo di corsa in un portone che sembrava l'ingresso di un castello tanto era grande, un signore di mezza età restava all'asciutto sotto l'arco che annunciava un cortile che ospitava un piccolo giardino circolare con una fontanella, ci sorrise e fatosi coraggio con il suo ombrello sparì in un attimo, restammo soli abbraciati nell'intento di riscaldarci per l'umidità raccolta e che sentivamo addosso un bacio seguì durando il tempo di un acquazzone estivo, appena smesso di piovere ci incamminammo verso piazza di Spagna l'asfalto era quasi asciutto per il gran calore che quel giorno faceva, sembrava essere una cosa naturale andar per le strade scalzi cercando le ultime pozzanghere da schiacciare e sentire l'emozione dell'acqua che saltava tutta intorno.
Le ombre delle persone si facevano sempre più lunghe e la ragazza doveva ritrovare le sue amiche in Piazza Venezia sotto la finestra detta del Duce, avevamo pochi minuti poi non l'avrei più rivista aspettando lei continuò a guardarmi dritta negli occhi e con il suo sorriso riusci più delle parole a capire tutti i suoi pensieri e le emozioni che riusciva a trasmettere, poi una lacrima scese giù fino alle labbra, socchiuse, rosse, un bacio e poi andò via le sue amiche parlavano e ridevano raccontando chissà quali storie lei prima di girare l'angolo si fermò un attimo non dimenticherò mai la testa le ruotando fino a girarsi verso di mè mi sorrise dimenticai tutto e come una foto memorizzai quello sguardo e quel sorriso che ancora non riesco a ritrovare in nessuna ragazza e in nessun quadro.
Chissà come ti chiami amica mia di un pomeriggio, non parlavi per una tua scelta ma riuscivi a trasmettere parole dritte al cuore. Ciao sorriso
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