Sei il mio tormento.
Tanti anni fa aspettavo l'arrivo della tua lettera come una dolce abitudine di cui non riesci a farne a meno, come il caffè del pomeriggio che mi piace tanto.
Se ci pensi abbiamo sempre fatto tutto in gran segreto. Da principio le nostre lettere non le leggeva nessuno, nessuno si è mai interessato alla nostra amicizia. Sempre uniti io e te da quel filo invisibile.
Ripenso spesso a noi, a tutto quello che c'è stato, a quello che ci ha separati... e riuniti quella sera, quella famosa sera! Poi abbiamo deciso di incontrarci a Milano dopo vent'anni... che emozione...
Ho studiato con cura cosa mettermi, e che non era nulla di speciale, mi piaceva solo la sciarpa rossa, sono andata dal parrucchiere perchè volevo essere a posto solo per te... ho messo solo l'acqua profumata perchè non amo i profumi e i trucchi, volevo mi trovassi semplicemente semplice come sono.
Mi aspettavi in stazione, poi ti ho visto, mi cercavi tra la gente con il cellulare in mano... ti ho preso per le spalle da dietro, ti avrei riconosciuto ovunque!
Ricordo che tu mi hai abbracciato stretta e non mi lasciavi più come per recuperare vent'anni persi di abbracci...
E poi la panchina, "lo bacio... lo bacio ora... quando?" Mi parli di lei, ti sto ascoltando ma non sempre... sono rapita da tutti i miei pensieri... quella barba, il tuo profilo mi piace da morire... proprio lì voglio baciarti.
Ci siamo stuzzicati per mesi... e adesso sei qui con me e io vorrei baciarti... ma tu continui a raccontare... poi saliamo sul Duomo, di corsa è tardi...è novembre e nemmeno fa freddo.
Quante scale, eccoci in cima ma ci sediamo per poco è già ora di chiudere... e il bacio non arriva... tu non me lo vuoi proprio dare questo bacio.
Poi ti prendo la mano e sento un'emozione nuova. Prof quanto ti amo. Lo capisco dalle piccole cose.
Forse la sera che sta per arrivare sarà mia complice, ci sediamo ancora, appoggio prima la testa sulla tua spalla come la prima volta che avevi suon
Il mare accarezzava i suoi sogni, che viaggiavano ancor più lontano dei suoi pensieri. Volgeva lo sguardo all’orizzonte nero, gustando una luna troppo contrastante col suo umore. La scogliera a strapiombo sul mare era fredda, non la vedeva, riusciva solo a percepirla al tatto, era tutto nero ciò che la circondava, si sentiva avvolta in un abbraccio gelido. Non sarebbe stata la prima volta che sentiva sua quella sensazione di perenne freddezza, il suo cuore più duro di un diamante non brillava per le sue mille sfaccettature. Opaca la notte, opaca la sua mente, opaco il suo cuore. Solo la luna brillava. Stiracchiò un braccio, si sdraiò ascoltando ancora le onde. Una taciturna calma, solo il frangersi del mare sulla roccia nera. Aspettava, una parola, un volto, una carezza. Aspettava, un pensiero caldo, un amore ancorante. Aspettava. Ogni desiderio moriva come il moto lento del mare, si spegneva come le stelle al mattino, eppure era notte. Lo aveva avuto, era suo, ma non poteva esserlo. Lo aveva amato, forse l’amava, ma non poteva farlo. Urlò nella notte, quel poco di rabbia che ancora tratteneva tra le mani, come sabbia le scivolava via, l’ultimo appiglio alla vita, volava, sparso dal vento gelido. Anche le lacrime, che le rigavano il volto, congelavano nell’impatto con la brezza marina, forse, quelle lacrime erano solo sinonimo di esistenza. Forse, il dolore la rendeva ancora reale, perché tutto ciò che la circondava grondava inesistenza. Un’ultima eco della sua flebile voce si schiantò sul mare, pensava ancora. Amava. Era consapevole di ciò a cui sarebbe andata incontro, ma l’aveva fatto, aveva continuato a trattenere un contatto razionale con se stessa, ma tutto era stato più forte del suo arido tentativo d’opposizione. Amava. Giustificava con forza le sue azioni, nulla era plausibile al fine di accettarsi di nuovo. Si odiava. Trasse un piccolo frammento di specchio dalla tasca, il riflesso biancastro della luna brillò, immediatamente, s
[continua a leggere...]Considero i bambini miracoli, ognuno un miracolo. Sono tenerissimi, qualche volta crudeli, sempre ricchi di formidabile fantasia e curiosità che sono i primi passi verso la conoscenza. Se l'ambiente dove vivono non li ha guastati sono straordinariamente spontanei e la spontaneità è il primo passo verso il faticoso cammino della libertà. Mi interessa osservarli anche nel loro impatto con le realtà forti della vita, quando questo è inevitabile.
Questa che racconto è una storia privata e vera. Quando morì mia madre i miei due figli che erano molto affezionati alla nonna partirono subito dalle rispettive città dove risiedono, entrambe lontane da quella dove abito io. Uno dei miei figli, sposato, venne con la moglie e i bambini, uno di quattro e l'altro di nove anni.
Mi si creò subito un problema. Mia madre era nella bara scoperta che avevamo sistemato in sala. Intorno alla bara, le candele. La mamma aveva il viso come glielo aveva lasciato una morte serena e senza sofferenza. Era molto anziana e si era spenta a poco a poco, dolcemente. Il mio problema era come affrontare l'impatto dei bambini con la morte. Dovevo chiudere la porta della stanza con la bara? Ma che cosa avrebbe immaginato la fantasia dei bambini dietro quella porta vietata, come a nascondere terribili visioni? Mio figlio con la moglie e i bambini arrivarono di pomeriggio. Li aspettai davanti all'ascensore e, mentre guardavo i genitori per cercare il loro consenso o meno, dissi ai bambini: "Sapete che la vostra bisnonna è morta. Ora l'abbiamo messa in una specie di letto di legno. Ma lì c'è il suo corpo, lo spirito è in cielo e lei continua ad amarci. Volete vederla?".
I genitori accennarono un "Va bene" con la testa. I bambini dissero che si, volevano vederla. Entrammo nella stanza. I bambini si misero uno a destra e l'altro a sinistra della bara, proprio dalla parte della testa della nonna. Qualche istante di silenzio. Poi chiesi ai bambini: "Vi fa impressione?" Il più grande diss
(narratore seduto in una sedia, si accende un riflettore su di lui.)
Il mio nome è, anzi, era, Paolo Borsellino, e sono morto il 19 luglio 1992. Io sono cresciuto in un quartiere povero chiamato “La Kalsa “ insieme a Falcone. Io e Falcone siamo cresciuti e morti insieme, nello stesso paese e per la stessa causa. Il 19 luglio 92 l’avevo delineato filo per segno, come mai fino ad allora avevo fatto, quello era il primo giorno di riposo dopo tanto lavoro, anche se in realtà il lavoro mi perseguitava giorno e notte, con minacce da parte della mafia, con i miei pensieri che vagavano nella mia mente come fantasmi in cerca di qualcuno da terrorizzare, ma quel giorno l’avevo delineato filo per segno: il mattino a Villagrazia, sulla casa sul mare con tutta la mia famiglia, e il pomeriggio ad accompagnare mia madre dal dottore, così il mattino del 19 luglio 92 lo passai sul mare con la mia famiglia, l’odore del mare, la voce di mia moglie che gridava il mio nome e il nome dei miei figli, le onde che si inchinavano davanti a noi, quello era il primo giorno di riposo dopo tanto lavoro, e dopo tanto tempo vidi la mia famiglia veramente felice. Dopo, alle 16. 15, partii per andare da mia madre a portarla dal dottore, con quei grossi macchinoni neri blindati e con tutta la mia scorta, io ero molto orgoglioso della mia scorta, perché ne faceva parte anche una donna, la prima donna a far parte di una scorta! Quando arrivammo, la prima cosa che feci quando aprii lo sportello dell’auto fu guardarmi attorno, perché quel giorno era arrivato per me un ordigno a Palermo, e un po’ di paura ce l’avevo, anche se non era la prima volta che mi minacciavano di portare chissà che ordigno per me, perché la smettessi di ficcare il naso dove non volevano, io non potevo cedere alle loro minacce, perché avrebbe voluto dire consegnarsi direttamente nelle mani della mafia! La mia scorta si posizionò con le armi in mano, guardando bene in giro, io suonai il citofono a mamma con
Italia 1981. C’è confusione per le strade di Palermo, un uomo sta correndo per la strada inseguito da quattro uomini, cerca di entrare in un bar ma lo respingono e all’improvviso gli uomini lo raggiungono e lo uccidono con tre colpi di pistola. La polizia arriva sul luogo del delitto e chiedendo ad alcuni testimoni informazioni utili, scopre che in una casa vicino al luogo del delitto, è stato commesso un altro omicidio dove una mamma e una figlia sono state uccise qualche ora prima. Roma, 2001, la polizia sta indagando su una serie di omicidi in varie parti della città, le vittime sono tutti pentiti mafiosi e si è scoperto che sono stati assassinati proprio dai mafiosi. Su una montagna alta, vive un cacciatore di animali che vive in solitudine e tre volte a settimana scende in città per consegnare legno ai falegnami o alle case e vendendo i peli degli animali usati per fabbricare pellicce. Quest’uomo era diventato molto importante in città, si sapeva solo che il suo nome era Flavio e che aveva una grande amicizia con il commissario Alessandro sonetti. Tutti i cittadini vedevano Flavio come un uomo povero, senza amore, senza odio, senza dolore cioè un uomo vuoto e in giro da un po’ di anni si era sparsa la voce che era “cieco”, ma un giorno quando sentì suonare il campanello della sua casa in montagna, appena aprì la porta, il suo cuore venne profondamente colpito da una donna o meglio una postina che gli consegnò una lettera e firmò. Mentre vide la donna allontanarsi con una bicicletta, Flavio si rese conto che non aveva mai ricevuto posta e in quello stato confusionale ricordò solo un nome Clorinda, il nome che gli aveva detto la postina prima di dargli la lettera. Flavio si lavò, si riposò e lesse la lettera che era del commissario Sonetti che diceva di correre subito in commissariato perché aveva scoperto delle cose su di lui e sulla sua famiglia. In commissariato il commissario spiegò a Flavio che suo padre era stato ucciso dalla ma
[continua a leggere...]Inorridì, e sul suo volto il tempo sembrava fosse passato due volte per imprimere meglio i segni e il dolore.
La porta si spalancò nel buio, un boato. Il grido le rimase dentro al petto strozzato dalle mani del silenzio di quella notte che non voleva essere disturbata.
La pioggia aveva smesso di battere sulle finestre, le ultime gocce scivolavano tremando sui vetri gelidi e appannati, andavano di fretta perché non volevano partecipare allo scempio che stava per avvenire. Dalla porta avanzò un'ombra nera, e gli stivali di gomma scura che entrarono fecero vibrare le vecchie tavole di legno tarlato che costituivano il lurido pavimento di quella catapecchia dimenticata dal mondo.
Lei rimase immobile, il petto si alzava e abbassava ad un ritmo estenuante, i capillari degli occhi le si erano infiammati di rabbia e delle fiamme gelide le scorrevano nelle vene e nelle arterie impedendole di compiere qualunque gesto.
L'ombra nera fece un altro tuonante passo, non si vedeva nulla di lei, stagliata contro lo sfondo scuro delle montagne solitarie si mescolava all'orgoglioso governo delle tenebre.
- Jenny... piccola Jenny - la voce falsamente dolce accarezzò con una frusta la pelle della ragazza che adesso si era rannicchiata in un angolo della stanza.
- Non è bene che tu stia tutta sola al buio... nono.. povera piccola- ancora una volta quella voce ruvida l'abbracciò con gli artigli di un falso amore. Ci furono dei fruscii molto lenti, un 'tic' veloce che fece schioccare la fiamma di una sottile candela che ora l'ombra nera teneva con le sue ossa sottili.
Si avvicinò con il suo ghigno e dando una pedata alla porta la fece richiudere alle sue spalle con un tonfo secco. I vetri tremarono, gli infissi delle finestre ebbero un brivido. Poggiò la candela su un tavolo zoppo e il suo ghigno distorto fu illuminato parzialmente mettendo in mostra la follia del suo sguardo.
E lei era sola. Oggi come ieri. Era senza nome e senza volto in quella sera. Era in silenzio quand
Gli occhi di un bimbo. Occhi che parlano, ridono, piangono, trasmettono emozioni... e hanno vita propria.
Quegli occhi che ti fissano, scrutano la tua anima, la rendono nuda e semplice, priva di qualsiasi maschera... e ti senti impotente, indifeso, dinanzi all’immenso potere di quegli occhi. Perchè non puoi resistere alla loro forza, non puoi opporti a quel infinito senso di pietà, commozione e tenerezza che ti assale ogni volta che ti specchi in quello sguardo... E quello stesso sguardo rimarrà impresso nella tua mente per sempre, traccia indelebile di un incontro speciale. E se farai del male a un bambino, non ti illudere di esserti riuscito a sbarazzare per sempre di quel viso... quegli occhi ti seguiranno ovunque, nei tuoi sogni e nei volti di persone sconosciute e non. Occhi neri, azzurri, piccoli, affusolati, grandi... occhi di qualsiasi tipo. Ma che non smettono mai di comunicare.
E gli occhi di questo bimbo ti stanno parlando, stanno gridando, non puoi fare finta di non sentire; ti stanno chiedendo aiuto, affetto, comprensione... quegli occhi di un bimbo così piccolo, eppure così esperto della crudeltà del mondo... Quegli occhi non vogliono più vedere ore e ore passate con altri suoi coetanei a lavorare duramente per portare a casa qualcosa, non vogliono più vedere la gente morire a causa della fame e delle malattie, non vogliono più vedere fragili case di capanna e fango e misere porzioni di cibo, non vogliono più vedere le violenze delle continue guerre, non vogliono più vedere corpi mutilati e sangue in mezzo alla strada... la luce di quegli occhi si va sempre più affievolendo, al posto della speranza subentra la rassegnazione, al posto della felicità la tristezza, al posto della meraviglia l’orrore... e se di notte, nei nostri sogni, siamo tormentati da un dilaniante rimorso la colpa è solo nostra, perchè non abbiamo avuto il coraggio di incrociare lo sguardo con quello di questo bimbo e restituire ai suoi occhi la loro innocenza e la gio
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