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Racconti su sentimenti liberi

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La malattia invisibile

Non possiamo essere realmente artefici del nostro destino. Molte volte il caso distrugge piani ed obbiettivi, o in altri, aiuta . Anche questo c è nella storia di Ester e Muhamad. Lei sapeva di essere sua figlia ma lui non ne ebbe mai la certezza.
Ester viveva una vita normale, nell'Europa occidentale, studiava all'università , usciva con le amiche, aveva avuto storie d'amore ed un altrettanto amorevole madre. Ma ad Ester mancava qualcosa, la figura paterna quella a cui tanto sono le legate le figlie. Si sentiva in disagio vedendo i padri degli altri oppure due genitori assieme, la madre non volle risposarsi credendo di dare un dispiacere, ma quando non c è dialogo si finisce per illudere o deludere l'altro. Non lo fece mai presente alla madre pensando di farla soffrire, e ne la madre volle mai indurla a farlo. Un tempo l'ignoranza nelle zone più sottosviluppate, rendeva ingenue anche le giovani ragazze, fu così che la madre di Ester che vedendo un ragazzo muscoloso, grande, di un colorito mulatto, affascinante, non seppe resistere e cedette alle sue insistenti richieste pur non capendo bene cosa dicesse. Pur essendo rimasta sola, incinta senza veri punti di riferimento, non si pentì mai di quello che fece, il dolore e il dispiacere provato in quel momento le fu ricompensato con l'amore e le soddisfazioni che le diede in seguito la figlia. Ester era sempre stata una ragazza studiosa, brava, obbediente non diede mai problemi alla madre,- ma per questo volta-pensò -non farà nulla. Infatti aveva da tempo intenzione di fare presente al genitore il bisogno di trovare suo padre. Conoscere anche la parte maschile delle sue origini. Glielo disse un giorno in cucina, mentre stavano per pranzare assieme, la madre guardo un attimo il suo piatto mosse le labbra verso l'interno della bocca se fosse adirata, Ester per un attimo si pentì di averglielo chiesto, ma poi dopo la sollecitazione della figlia sorrise, rendendosi conto che questo momento sarebbe dovuto arrivar

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   2 commenti     di: antonio imbesi


CASTULFO (1)

E venne anche l’ora di Castulfo, ed egli era stranamente sereno.
Il trapasso fu traumatico è vero (un dolorosissimo infarto del miocardio), e fu altresì brusco trovarsi sbalzato improvvisamente dai luoghi che ben conosceva a quella stanza luminosissima (Castulfo non aveva con se gli occhiali da sole), però sapeva! Nell’istante stesso in cui la vita lo abbandonava venne pervaso dalla consapevolezza di quanto, nell’immediato futuro, lo attendeva. Sapeva che in quella stanza qualcuno - chi fosse non gli era noto, ma sperava nel Dio che aveva sempre pregato - avrebbe giudicato la sua esistenza per assegnargli una posizione definitiva per l’eternità, ed era tranquillo.
Una vita passata all’insegna della correttezza estrema, dell’onestà assoluta, ma non per questo rigida... Castulfo era sempre stato molto elastico nel giudicare le mancanze altrui, un po’ meno con sé stesso. Cercava di essere il meno invadente possibile, ma non si tirava indietro se il suo dovere gli imponeva di stigmatizzare qualche comportamento. Un brav’uomo, insomma, serio e responsabile, tollerante e tollerato. In fin dei conti qualunque dio avesse trovato quale giudice supremo, non avrebbe avuto motivo per dannarlo in eterno. Per questo Castulfo era tranquillo.
Sicuramente molto più tranquillo e soddisfatto di poche ore prima, quando, nell’ufficio del suo “capo” attendeva trepidante di poter tornare a casa...

Poche ore prima Castulfo - ancora nel mondo dei vivi - se ne stava seduto ad una scrivania con la biro in mano, in attesa che il suo datore di lavoro finisse la telefonata che li aveva interrotti. Certo che, a quarant’anni suonati, continuare a fare il tirapiedi del capo, soddisfacendo anche la sua voglia di dettare lettere personali... e fare il caffè la mattina... e fargli spesso da autista... e...
Ascoltava pensoso, aspettando di riprendere il suo modesto compito di scrivano - e pensare che ho un mare di fatture da controllare - la conversazione tra Lui

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I nonni

I nonni sono preziosi: fra loro e i nipoti c'è un rapporto particolare che va oltre il legame affettivo. Si compenetrano attraverso la nota dominante della tenerezza, una virtù che definirei teologica perché misteriosamente sfiora la sfera metafisica, pur affondando nelle viscere.

Mi ha suggerito questo pensiero Leonardo Boff quando ha esaltato la tenerezza di Francesco di Assisi. Nonni e nipoti: albe e tramonti che si guardano stupiti, l'inizio e la fine che chiudono un cerchio d'amore.
Dei miei nonni ho intensi, anche se pochi, ricordi. Mia nonna Cleofe, la madre di mio padre, la conobbi quando ero piccolissima. Mi portò nel suo povero giardinetto a guardare i pesci rossi che nuotavano in una vasca circolare. Poi non la vidi più. Povera nonna Cleofe! Era stata la moglie di un fattore ed aveva goduto di una sobria agiatezza nella splendida terra di Toscana, accudendo polli e galline e impastando sportelline da servire con il vinsanto agli ospiti. Questa vita idilliaca finì una notte quando mio nonno Gaetano morì di un colpo apoplettico.
Le mogli dei fattori non avevano pensione e i padroni dimenticavano presto il debito che avevano verso i loro solerti dipendenti, colonne portanti della fattoria. La nonna Cleofe rimase sola con quattro figli. Il più piccolo, mio padre, aveva nove mesi. Per tirare avanti si mise ad impagliare fiaschi.
Un giorno, tornando da una consegna, vide davanti alla sua casa una fila di pompieri che si passavano secchi d'acqua. Mio padre e suo fratello, giocando con i fiammiferi, avevano incendiato la sala che lei usava per ricoprire i fiaschi. Al dolore per la casa devastata si aggiunse la preoccupazione per i due piromani che si erano resi latitanti.
Li ritrovarono dopo qualche ora, seduti in riva al fiume Elsa.
Nonna Cleofe riuscì a fare studiare tutti i figli, quel poco che servì per trovare un lavoro, chi da una parte, chi dall'altra, ma tutti lontani da lei. Morì sola per un improvviso e violento attacco d'asma. D

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Alla Vita

Il tempo scorre velocemente, a volte non ci accorgiamo delle stagioni che passano, ognuna con i propri colori, con i propri profumi, siam sempre di corsa,
non riusciamo più ad ascoltare,
non riusciamo più a vedere ciò che di bello ci circonda,
scorre tutto troppo in fretta.
Poi, un giorno qualunque, in un posto qualunque, in un orario qualunque, decidi di fermarti, e pensi alla Vita, ti accorgi che non ci si sofferma un attimo per parlarle,
senti crescere nella gola la voglia di gridare, di urlare per farti sentire da lei: 
"Fermati Vita, femati, non correre,
ho ancora tanto da sentire, da dire, da vedere,
ho ancora tanto da donare."
Ma non ti ascolta, lei cammina, corre, non si guarda mai ndietro,
non lo può fare,
perchè si rattristerebbe, piangerebbe,
per tutto quello che sta guardando,
per quello che sta ascoltando.
Cerchiamo di viverla a fondo la vita,
donando a lei il nostro sorriso, che spesso ci dimentichiamo di avere.
Diamole vigore, amiamola e parliamo con lei:
“Grazie vita, che ci sopporti, con i nostri sbagli, grazie perché spesso ci perdoni per quello che ti facciamo, spesso ti umiliamo, non ti rispettiamo, a volte ti uccidiamo
Grazie vita perché ci dai la possibilità di guardare il cielo, di osservare il mare, di ascoltare le risate dei bambini, di amare e di esser amati.

   3 commenti     di: ESTER zaniboni


Sotto la pioggia

Verso le quattro del pomeriggio di quella domenica, d'improvviso, il cielo si squarciò in uno di quei temporali estivi, brevi e violenti, che ricordiamo in tutte le nostre estati.
Il carro, maestoso e solitario, sostava nella piazza, davanti alla Chiesa, a fianco al campanile: si era sciolta da ore la processione, affollata e festosa, che in mattinata aveva accompagnato la statua della Madonna della Neve lungo le strade di Ponticelli; e non ancora si erano accese le luci della festa che, in serata, avrebbe animato il paese.
Era il 10 agosto 1953.
Angelina fu sorpresa dall'acquazzone in Corso Ponticelli ("ma San Lorenzo non dovrebbe essere il giorno più bello e caldo?") e non ebbe altra opportunità, per ripararsi, che entrare in chiesa.
Era stanca e si fermò a lungo. Forse pregò la Madonna, o più probabilmente S. Antonio, di cui era da sempre devotissima, o li ringraziò. O soltanto si riposò un poco.
Era un giorno particolarissimo per lei: avuta notizia, pochi giorni prima, che avevano assegnato al marito ed a lei un alloggio popolare a Ponticelli, era voluta venire, da Napoli, a vederlo.
Era sposata da quattro anni, Angelina, ed ancora non aveva figli; il marito, operaio turnista, di Padova (come non pensare ad un segno di S. Antonio?) quel giorno lavorava e lei, con il tram, da sola, era venuta a vedere.
A Ponticelli non era mai stata e non ne sapeva quasi nulla, se non un remoto racconto del padre che, forse ai primi del secolo, veniva da queste parti, al fiume, a pescare anguille.
Questa casa, dove avrebbe poi vissuto per sempre, dal gennaio dell'anno successivo, fu una grazia tanto a lungo implorata.
Tornò a Napoli, quando il temporale era finito, nella stanza ammobiliata dove abitavano; dovette ripensare a lungo alla sua nuova casa, ma anche alla chiesa, al carro, alla storia di questa tradizione di cui una donna, in chiesa, le aveva parlato.
All'unico figlio, Antonio (naturalmente), nato dieci mesi dopo, Angelina avrebbe raccontato mol

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Rinascita

Paul stava guardando la bara che conteneva sua madre con uno sguardo di ghiaccio, privo di qualsiasi emozione. Stava disperatamente cercando di sembrare addolorato ma qualcosa gli diceva che non poteva provare quel sentimento nei confronti della defunta.
Era semplicemente impossibile.
La sua mente faticava persino ad accettare il fatto che la chiamasse “madre” e del resto non si poteva dargli completamente torto.
L’infanzia di quel ragazzo che oramai adesso andava per i venticinque anni era stata semplicemente terribile; costretto a rimanere chiuso in camera sua per la maggior parte della giornata non aveva mai conosciuto nessuno all’infuori di sua madre e soprattutto era stato per anni all’oscuro di ciò che poteva offrire il mondo esterno. Non aveva frequentato nessun tipo di scuola (le poche cose le erano state insegnate da Margaret), non aveva nessun amico e soprattutto si sentiva terrorizzato al solo pensiero di mettere piede fuori di casa. I discorsi di sua madre infatti avevano colpito profondamente la sua giovane mente da bambino, influenzandola irrimediabilmente. Le poche volte che si era azzardato ad affrontare la realtà che circondava casa sua ne era rimasto semplicemente scioccato. Quando poi le persone si giravano a guardarlo, anche se lo facevano con un sorriso, gli incutevano una paura tremenda costringendolo a correre di nuovo in casa.
E la storia era andata avanti fino ad un anno prima, quando lei si era ammalata ed era stata costretta a letto. Paul oramai aveva ventiquattro anni in quel periodo e dovette badare a lei, curandola giorno e notte. Considerando il modo in cui lei lo aveva cresciuto Paul avrebbe dovuto abbandonarla in quel letto di dolore e invece no; le era stato sempre accanto, tutti i giorni, curandola con una tenacia ed un amore che lei non aveva mai dimostrato nei suoi confronti.
La notte prima che morisse però lui andò in camera sua deciso a dirle tutta la verità.
Margaret nonostante la malattia che la stava

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MARE D'AUTUNNO

“Ciao. Scusa se ti disturbo, ma devo organizzarmi, va bene per le nove?” Sarò puntuale, risposi.
Riattaccai, uno sguardo all’orologio, c’era tempo, continuai a battere sulla tastiera.
Avevo smesso da tempo di provare entusiasmo per queste cose, da quando era finita con Laura, non riuscivo più a vivere un momento sereno. Qualunque rapporto mi creava più sofferenze che gioie, finivo sempre per fare confronti, con il risultato di sentirmi più vuoto e più solo.
Anche i tentativi di ricordare le tribolazioni di quella storia non miglioravano la situazione. Un po’ come quando da bambini ti raccontano la favola dell’orco, stai al gioco, ma non hai paura; anzi l’orco, finisce per diventare una figura familiare, un compagno di giochi.
Allora perché accettare di farsi coinvolgere? Sarebbe stato facile declinare l’invito, oppure coinvolgere altre persone; facile prevedere cosa sarebbe successo uscendo da soli, visto, che da circa un mese mi telefonava quasi tutti i giorni. Non che mi dispiacesse, ma non intendevo far crescere quel rapporto. Poi senza quasi accorgertene ti lasci trasportare, magari per pigrizia, per solitudine, per uno strano senso di ribellione.
Eravamo a fine settembre, non erano ancora le nove di sera, ma il Lido era deserto, pochi locali aperti, poche luci, qualche passante. Una desolazione. Ma chi me l’ha fatto fare? Perfino gli alberi sembravano assumere un’espressione di compatimento.
Più passano gli anni e più rincretinisco.
D’altronde, che dire di uno che per anni rimpiange la libertà, perfino la solitudine e appena le conquista, cade in depressione.
Parcheggiai rassegnato, come sempre ero arrivato con mezz’ora d’anticipo.
Meno male che non t’interessava più di tanto, altrimenti cosa facevi ……..
Non avevo ancora terminato il pensiero, che vidi lampeggiare due fari dall’altra parte dello spiazzo; <Mi sono liberata prima ed ho pensato di anticipare, caso mai tu …….> Indos

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   9 commenti     di: Ivan



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