La primavera, bizzarra e avara fino a maggio inoltrato,
finalmente era esplosa. Il sole splendeva ogni giorno
e non si erano verificati più quei temporali che spesso
avevano sorpreso Santippe al porto. Dalla casa di sua
madre un giorno Santippe sentì musiche e canti prima
ancora di vedere la nave sacra avvicinarsi al porto.
"Ecco giunto anche per Socrate il momento dell'approdo..." - disse
alla madre che si era affacciata sulla porta. C'era, nella sua voce una
profonda malinconia da cui traspariva il senso di ineluttabile
disfacimento della sua realtà, della sua vita. Cleide lo percepì
e, abbracciando la figlia, le disse: "Finché avrò vita non ti
abbandonerò. Anche se sono vecchia, potrò darti il povero conforto
della mia presenza". Santippe le fece una carezza. "Ora vado a
a casa. - disse - Qualcuno verrà a dirmi quando sarà eseguita
la sentenza". Percorse le strade senza fretta, un po' stordita
dall'animazione che l'arrivo dlla nave aveva prodotto.
Non si era sbagliata. Qualche tempo dopo il suo arrivo a casa
la raggiunse Critone. Era sconvolto ed anche un po' imbarazzato
per il compito che si era assunto. "Fatti coraggio, Santippe. Hai
saputo anche tu della nave, il tuo viso parla chiaro. Esitò un po'.
"Devi preparare una tunica bianca per Socrate". Santippe lo
guardava: i suoi occhi chiedevano quello che la sua bocca non riusciva
a dire. "L'esecuzione della sentenza è fissata per domani, dopo
il tramonto del sole. Socrate ti saluta e ti manda a dire di stare a
a casa, oggi, di stare vicina ai ragazzi. Domani verrà qualcuno di
noi a prendervi, per condurvi da lui". Santippe accennava di si, con
la testa. Critone continuò: "Stai tranquilla, non lo lasceremo un
minuto. Sono già con lui alcuni amici. È sereno. I più addolorati
siamo moi". "Grazie, farò subito quanto hai detto. Ha bisogno
d'altro, Socrate?" "No, di nulla. Fra poco verrà Mandane, è già stata
avvertita". "Allora, addio,
Era una notte d’estate, il caldo torrido e umido non faceva scendere il termometro sotto i 30 gradi. Non si respirava, i vestiti si appiccavano al corpo come una seconda pelle.
A quel tempo abitavo in una casa di ringhiera ancora con il mio ex marito, un essere viscido che la mia famiglia mi aveva costretto a sposare dopo che lui aveva compromesso il mio onore abusando di me quando avevo solo 17 anni. Ne erano passati ormai di anni. Lui tornava a casa tutte le sere ad ore tarde dopo essere stato con gli amici a fare chissà cosa ed io lo aspettavo in silenzio.
Quella sera era particolarmente caldo, un caldo strano pesante e carico di umidità. Non un alito di vento, anche respirare era difficile. Io cercavo di fare un po’ di corrente lasciando aperta la porta di casa e tutte le finestre che davano sul cortile interno. Indossavo solo una semplice sottoveste di raso bianca, i capelli neri mi scendevano sulle spalle appiccicandosi alla schiena per il sudore. Camminavo per casa, passando dal tinello alla camera da letto, ogni tanto guardavo fuori, ero stranamente inquieta come se qualcosa dovesse succedere. L’atmosfera era carica di elettricità.
Sapevo bene che lui dall’altra parte del ballatoio che circondava tutto il cortile mi stava fissando, sentivo i suoi occhi su di me come ogni sera, e questo lo trovavo estremamente eccitante. Seduto su una vecchia sedia in paglia, con la sigaretta in bocca mi fissava in silenzio. Era ancora un ragazzo, ma il suo ardire nel guardarmi era quello di un uomo. Mio marito quella sera non era ancora rientrato e così io maliziosamente mi divertivo a provocare il mio ospite sconosciuto.
Mi muovevo lentamente per casa, scalza, ogni tanto tiravo su i capelli per far prendere aria alla schiena, poi sedendomi davanti allo specchio in camera da letto me li spazzolavo, mentre dallo specchio fissavo lui che mi guardava. Lentamente facevo scivolare la spazzola come se fosse la sua mano ad accarezzarmi. Era un perverso gioco del
La scena è quasi buia. È una sera del 17oo. Siamo in uno dei tanti vicoli dei quartieri napoletani illuminato da una fioca luce di un lampione a muro. La giornata è appena finita, in lontananza si odono le ultime voci prima che il silenzio regni sovrano a guardia e difesa del giusto riposo di chi ha lavorato per sopravvivere un altro giorno.
1^ voce: buona notte 'onna Cuncè!
2^ voce: bbona notte a vuje e santo riposo ca dimane ce aspetta 'nata battaglia!
3^ voce: Carmeniè, allora dimane ‘a mmatina, avutate de cinche, ce vedimmo 'o puntone d' ‘o Chiatamone. Bbona nuttata!
Il silenzio riempie la scena per qualche attimo poi viene rotto dalla voce un poco lamentosa di Pulcinella.
(fuori scena) Mannagia ‘o puort' 'e Napule (entrando in scena) e quanno maje ce fosse juto! (accenna ad un pianto lamentoso) Nce l' avevo ditto a ‘o patrone mio:
- Patro' nun me fa ire! Patro' famme sta quieto! Io mme cunosco... so' bbuono e caro... po' nun risponno delle cunseguenze conseguenziali che prevengono!
Ma isso no! Da ‘sta recchia nun ce senteva!
- Caro Pullicenella, solo tu puoi farmi questo piacere. Io mi fito solo di te! Domani matina arriva da Surriento con il vaporetto mia nipote Isabella con la sua servetta, viene a trascorrere un periodo di riposo dopo la malatia che l'ha colpita, e tu dovrai andare a prenderle con la mia carrozza e non discutere!
(riprende il pianto lamentoso poi rivolgendosi al pubblico) Voi vi domandate che ncincentra tutto questo? Centra, centra! Pecchè s' io nun ce fosse juto a ‘o Puorto mmo' nun starria sprufunnato nella disperatizzazione! Pecchè? Mmo' vo' cconto! Comme m'aveva ordinato 'o patrone mio, mannagia a isso e che le venesse nu canchero dint' allo stenteniello, stammatina di buon'ora aggiu pigliat' 'a carrozza co' lo cucchiere e me ne songo juto abbascio 'o puorto p' aspetta lo vapuretto co' la nepota Isabella. Ato che Isabella, Isabrutta l'avevana chiammà! Shé! L'ha culpit' ‘a
Quand’ero in prima media, ho conosciuto una bambina di quarta elementare di nome Cristina, nipote della mia vicina di casa, veniva da San Vittore Olona( Milano), sicura di sé e ottima compagna di gioco. Un giorno prendemmo un paio di sassi grossi dal cortile di casa mia, due tavole di colori ad acquerello e cominciammo a colorarli di tutti i colori possibili immaginabili. Poi ce li scambiammo e li mettemmo ognuna nel proprio cassetto del comodino.
Ricordo quell’estate come fosse ieri, poi lei partì e ritornò a San Vittore con il treno, arrivata mi chiamò e rimanemmo al telefono per tre quarti d’ora, lei mi raccontò della donna con le labbra grosse che la guardava come fosse ET, di suo papà che russava e di suo fratello che ascoltava la musica da far spaccare i timpani anche ad un sordo. Da quella telefonata, Cristina, sicura di sé e ottima compagna di gioco non si fece più sentire, e nemmeno io.
Quest’estate la ritrovai in piscina con suo fratello che ascoltava la musica ad un volume da far spaccare i timpani anche ad un sordo. Andammo a casa mia e prendemmo due sassi grossi dal cortile, due tavole di acquerelli, e li colorammo di tutti i colori, poi ce li scambiammo e li mettemmo nel cassetto del proprio comodino.
Propongo un altro brano del mio romanzo "Una vita negata"
nel quale ho interpretato Santippe, la moglie di Socrate, in chiave femminista, assumendola a metafora di tutte le donne che, nel corso dei secoli, hanno lottato, come hanno potuto, per raggiungere la pari dignità con l'uomo.
Si avvicinava il giorno della grande festa in onore di Atena.
Santippe si meravigliava del suo entusiasmo giovanile per
questa festa. Da quando aveva cominciato a parteciparvi
come sposa, il suo interesse era diminuito fino a tramutarsi
in un disagio di cui non afferrava bene il motivo. Eppure
sarebbe dovuta andare in processione anche questa volta.
Non poteva permettersi una trasgressione tanto grave: il suo
rifiuto avrebbe senz'altro assunto il significato di empietà.
Quando arrivò il giorno si preparò malvolentieri, sotto lo
sguardo incuriosito e preoccupato di Socrate che non riusciva
a collegare la novità dell'indifferenza religiosa della moglie
con le altre sue stranezze.
Santippe ripercorse le vie di Atene, sorda al suono delle
musiche che accompagnavano la processione, psicologica-
mente assente dall'avvenimento che stava vivendo, assorta
in una molteplicità di pensieri che stentavano a strutturarsi in
ordine nella sua mente. " Ah, vergine Atena! - ricordava di
aver pregato tanti anni prima - dammi uno sposo che sappia
condividere tutto con me!" "Una preghiera davvero esaudita"
si disse ironicamente e si acorse che su tutti gli altri
sentimenti, in quel momento, prevaleva l'irrisione.
"Sono forse diventata empia?" - si chiese. Nella sua mente
tornava, martellante, una parola: vergine. "La verginità è
considerata la prima virtù di una ragazza - pensava - come
mai non è stata mai richiesta ai ragazzi? Vergine Atena. Ma
Afrodite non è vergine e, a sentire le storie degli dei, non è
stata nemmeno una sposa fedele. Eppure è venerata anche
lei e considerata immortale. E Zeus, il padre, il re degli dei,
non è un
Il luogo, era ben conscio, aveva un’aria familiare.
Inutile far finta che non fosse iniziato tutto da lì. Bastava chiudere gli occhi e quel frangente di qualche anno prima saltava dall’ ultimo posto della scala dei ricordi incisi nella sua memoria, dove lo aveva seppur dolorosamente, inveitabilmente rilegato, e gli si parava davanti manco fosse il trailer dell’ultimo film uscito in heavy rotation. Gli odori no, non potevano essere uguali, non era più stagione, e nemmeno il cielo, quella volta di un’azzurro così limpido da far socchiudere gli occhi, ed oggi invece tanto terso quanto gonfio di pioggia impaziente di scendere e bagnare questa umida citt?? . Tirava pure un po’ di vento, freddo, impossibile non rabbrividire. Ma avendola vista arrivare non potè essere così sicuro che fosse stato per quello e non fosse invece stato, per lei. Era bella, caspita quanto era bella. Ma era sempre stata così bella? Forse si. Diede un’ultima occhiata veloce al suo ricordo che ormai era lì in bilico tra la memoria ed il presente e non potè fare a meno di notare che si… era sempre stata così bella. E allora ripensò a com’era andata e a come lui l’aveva presa male, molto male. E ripensò a tutte quelle volte in cui si era chiesto rabbiosamente perché avrebbe dovuto stare così male. E non si era mai dato quella risposta che pure era tanto semplice, ed evidente e così esplicitamente oscena da non farcelo neanche pensare. Era bella, era dannatamente bella. E lui era maledettamente innamorato di lei. Era sempre stato così. E chiss?? per quanto tempo ancora lo sarebbe stato. E ancora non le aveva neanche parlato, non erano neanche così vicini come vi potrebbe venir pensato. In realt?? erano a circa una trentina di metri, e facendo due rapidi conti stabilì che, visto che lui non si sarebbe mai mosso di lì, perché era esattamente quello il punto di tanti anni prima, e forse, pur volendolo, non sarebbe riuscito comunque a muovere un muscolo, lei avrebbe
Ricordava ancora quel giorno d'estate, erano saliti su un monte si tenevano la mano, d'intorno la radura era accesa di luce, un venticello leggero soffiava tra le fronde degli alberi, ogni cosa intrisa di magia parlava, il vento soffiava parole dolci d'amore e una melodia leggera come il suono di una musica accompagnava i suoi pensieri.
Lo aveva guardato negli occhi...
Oscar aveva occhi scuri e profondi, espressivi e ridenti. Il sole gli accarezzava dolcemente il viso velando emozioni e sentimenti, sentiva che niente li avrebbe allontanati, ed una leggera sensazione di calore le invadeva l'anima.
Stesi sul prato soffice guardavano il cielo attraversato da banchi di nuvole bianche ed ovattate. D'improvviso uscì una lacrima, Oscar la raccolse con delicatezza, poi le sorrise si guardarono di nuovo, occhi come specchi a scrutarsi l'anima si strinsero e iniziarono a ridere a crepapelle senza motivo come due ragazzini, anche se adesso non lo erano più.
Forse erano ridicoli, forse il tempo si era fermato così in quel momento soltanto per loro, sembrava che la natura, il mondo l'universo cospirassero contro il tutto per farlo durare in eterno.
Ogni cosa si era fermata e quell' attimo sarebbe durato per sempre, immobile nel ricordo come imprigionato.
Un momento galeotto bagnato da una lacrima arrestato da un sorriso nel cuore che cominciava indissolubilmente a battere come il rumore delle lancette di un orologio, poi una nuvola annebbiò il cielo, lo sguardo, la radura e provocò un fremito, fu in quel momento che Oscar la baciò con passione, un bacio lungo, intenso e in quell'abbraccio ritrovò l'uomo di un tempo, il ragazzino che aveva conosciuto a scuola, il loro amore immutato, rinnovato come i loro corpi segnati dagli anni, le rughe incise sui volti facevano presagire che non erano più a scuola, che erano "grandi" ma forse solo adesso stavano vivendo.
"Con gli occhi dell' esperienza si impara a vivere"-le diceva suo padre
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