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Racconti su sentimenti liberi

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Il cavatore

Le nuvole coprivano le cime delle montagne, la pioggia continuava a cadere fitta.
Il paesaggio era affascinante, ma al tempo stesso incuteva timore.
La guida continuava a raccontare la storia delle cave di marmo, io lo ascoltavo, pur continuando a fotografare. Rimasi incantato davanti al monumento del ''cavatore'' scolpito alla perfezione, sembrava guardarti, sembrava vivo, sembrava volesse farti capire tutte le sofferenze e le fatiche che quel lavoro gli aveva procurato. Chi aveva scolpito quella statua ci aveva messo dentro l'anima.
Lasciammo il paese con l'auto per recarci in visita alle cave e alla larderia, a pensarci bene io ero venuto proprio per il lardo, non sapevo
che Colonnata stesse a Carrara così fui doppiamente contento. La storia delle cave era veramente interessante ed era strettamente legata alla storia del lardo. Purtroppo l'ora era tarda e le cave erano chiuse, così ci limitammo a guardarle dal di fuori, mentre la guida continuava con le sue spiegazioni.
La signora ci offrì dei pezzettini di focaccia con sopra il famoso lardo poi ci mostrò la vasca, fatta col marmo del luogo, dove avveniva la stagionatura e ci spiegò tutto il procedimento di condimento.
Fuori della larderia un vecchietto mi sorrise dicendo che era lì per il vino, scambiammo qualche parola poi se ne andò, sarebbe ripassato più tardi. Guardandolo mi ricordava qualcuno ma non mi veniva in mente chi.
Acquistai del lardo ed un mortaio, naturalmente di marmo, poi ci recammo al bar per un aperitivo.
All'interno, in un angolo appartato, vidi di nuovo quel vecchietto, alzo il bicchiere per salutarmi, risposi con un gesto della mano, sorridendo, ma sconcertato. Come era possibile che era arrivato prima di noi? finii per pensare che forse conosceva qualche scorciatoia, ma non rimasi molto convinto. Bevemmo del vino, ottimo, si continuò a parlare delle cave e del lardo poi la guida mi
consigliò, per il giorno dopo, di visitare le ``Cinque terre'' spiegò come arrivarci e

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   2 commenti     di: Riko Zodiako


-Quinta parte-Una semplice vita

La sveglia puntualmente suona come ogni mattina e stordito mi alzo dal letto.
"Buongiorno Mondo" dico tra me e me. Subito prendo il cellulare, ho ricevuto un messaggio verso le 6:30. Mi lavo il viso e mi preparo a leggerlo;
Elisa: "Buongiorno Riccardo, spero di non disturbarti a quest'ora. Sto partendo per tutto il giorno quindi non potremo sentirci. Ti auguro buona giornata, bacio".
Le rispondo adesso: "Buongiorno a te, non disturbi mai, buon viaggio :)".
Anche oggi da solo al bar;sento già un po' di nostalgia, mi manca Maurizio.
Mi dirigo al lavoro, 10 gradi oggi, fa un po' freschetto, in macchina con la musica e un vecchio CD di Tiziano Ferro. Mi sento spensierato oggi, sarà ancora l'effetto della serata di ieri.
Arrivo al lavoro alle 8:12, vado a salutare Donato e Luciano.
Io:Ciao bello, come stai?"
Donato: "Ciao Rì, tutto bene, tu?"
Io: "Me la cavo dai. Dov'è Silvano?"
Donato: "Non ne ho idea, arriverà a momenti. So che Maurizio ritorna domani."
Io: "Sì è così, non si è fatto vedere però in questi giorni."
Donato: "Ah ecco Silvano, sta entrando. Stasera io e lui andiamo a farci una birra insieme a Maurizio, vuoi unirti a noi?"
Io: "Davvero? Grazie, vengo volentieri! Chiamo Maurizio e mi metto d'accordo con lui. Buon lavoro."
Donato: "Anche a te!"
Passando dò una pacca sulla schiena a Silvano che ricambia con un sorriso.
Mando un bacio volante anche a Silvia, l'assistente del sr. Di Cesare e mi chiudo in ufficio. Cellulare già spento, è ora del lavoro.
"Italia-Svizzera, un'amichevole per sorridere!"
Buffon tra i pali, Cassano e Osvaldo in attacco, centrocampo da brividi;ecco cosa riserva per Mercoledì questa Italia.
Articolo scritto e completato, che faticaccia però, non sono abituato. Non sarò mai bravo come Maurizio su questi argomenti.
Io: "Silvia è libero il capo?"
Silvia: "Aspetta, adesso controllo." "Sì, entra pure!"
Io: "Grazie."
"Permesso, posso?" Chiedo bussando.
Sr. Di Cesare: "Certo entra pure e accomodati".

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IL DIRETTORE M. ( prima puntata)

Il Direttore M. conobbe la Signora D. durante una festa alla quale era stato costretto a partecipare per motivi di lavoro. Fra loro accadde uno di quei nulla che, alle volte, significano molto più di un tutto, ed il Direttore, di norma uomo pratico, ed uso ad esercitare il quasi totale controllo di sé, si ritrovò, sulla strada del ritorno verso casa,
a chiedersi perché mai una mezz’ora scarsa di conversazione ricomparisse così tenacemente, e quasi dispettosamente, nel ricordo di una serata che lui aveva deciso di archiviare come una tediosa necessità.
La donna non era giovane. M., che si apprestava a festeggiare una cinquantina molto ben portata, le aveva attribuito un’età di tre o quattro anni minore della propria. Non era nemmeno una di quelle bellezze ben mantenute, e ben coltivate, che, grazie a molta autodisciplina, ad una notevole quantità di tempo disponibile, ed a parecchio denaro, riescono a rendere l’età anagrafica un dettaglio trascurabile.
Aveva, però, capelli che, nonostante un lodevole tentativo di pettinatura ordinata, sembravano mossi dal vento anche in una serata afosa come quella appena trascorsa.
Aveva, però, uno sguardo che, senza preavviso, sembrava dirigersi, ed invitare a guardare, verso orizzonti indefiniti dal sapore di favola.
Aveva, però, una voce che, nel mezzo delle frasi più inoffensive e banali, modulava accenti di solito riservati ai più affascinanti seduttori, ai più intrepidi eroi.

M., quando doveva uscire la sera, gradiva trovare la moglie alzata ad aspettarlo, e ricambiava questo gesto di attenzione cercando di non rincasare troppo tardi.
Quella notte, aprendo la porta di casa, M. trovò tutte le luci spente, anche se l’ora del suo rientro non si era protratta molto oltre al solito. Evidentemente abbastanza, constatò, affinché la signora M. si considerasse libera dall’osservare il loro usuale piccolo rito. Invece di esserne urtato, provò un certo inaspettato sollievo, mentre, camm

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   3 commenti     di: laura ruzickova


Lolita 2

Pioveva quando lo incontrai, l’oggetto del mio amore. Era una giornata di pioggia estiva, quella pioggia calda e indesiderata che ti fa sudare come in preda alla passione. Già, quello stesso sudore perlaceo che avevo sulla fronte quando io e lui ci amavamo per una notte intera.
Il cielo era scuro e io riuscivo a malapena a camminare per l’odore di afa misto alla pioggia umida che mi intasava le narici.
Odiavo la pioggia d’inverno, figurarsi d’estate!
Le scarpette basse in gomma sbattevano sul suolo ad ogni mio passo di quella corsa arrabbiata.
Il mio ombrellino rosso mi copriva alla bene meglio la testa, lasciando che la pioggia trasversale mi bagnasse le gambe scoperte. Imprecai e mi rifugiai sotto il portone di un condominio, guardando sconsolata l’acquazzone sperando che si fermasse.
Non so per quanto tempo rimasi lì, immobile, sudaticcia e bagnata, con l’ombrello sgocciolante in mano e le scarpette basse di gomma ormai fradice, a fissare ogni goccia di pioggia che vedevo, nella speranza che tutto si concludesse con uno splendido arcobaleno.
- Piove ancora?- disse una voce alle mie spalle.
Mi voltai di scatto e lo vidi, quello che sarebbe diventato il mio primo uomo. Lo guardai appena, piena di imbarazzo, sicura che lui mi avrebbe sgridata per essermi introdotta in una proprietà privata, ma lui si limitò a sorridere.
- Eh, sì, ancora piove- risposi con voce flebile.
- Accidenti- disse lui, ma il suo volto era disteso.
Era perfetto, come lo fu sempre per tutta la nostra storia. Sempre impeccabile, sempre tranquillo, non si arrabbiava mai. Naturalmente io, da brava adolescente ero irascibile, impreparata e maledettamente imperfetta, questa era la nostra più grande differenza.
Mai come in quel momento si notava ciò. Lui era smagliante, le spalle larghe fasciate da una camicia bianca appena stirata, il sorriso sincero e gli occhi azzurri che brillavano. Non una goccia di sudore, non un accenno di caldo o afa insopportabile sul suo volt

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Bianca come la neve

Un racconto sulla mafia, per riflettere, per combatterla, per stimolare gli insegnanti ad educare alla legalità.


Salvatore, un bambino di nove anni, abitava a Palermo, in uno dei quartieri più poveri e degradati della città. Il padre faceva il facchino in una ditta di trasporti e la madre amministrava lo scarso stipendio del marito, districandosi a fatica tra pranzi e cene per cinque persone. Salvatore aveva un fratello più piccolo ed una sorella di diciotto anni. I bambini poveri di Palermo sanno molte cose della vita e Salvatore, detto Turi, aveva notato, nell'abbigliamento e negli occhi della sorella Rosa la tentazione di andare in una strada del centro dove ragazze in minigonna e con il trucco pesante aspettavano che un uomo con l'automobile si fermasse, facesse un cenno ad una di loro che si affrettava a salire. Turi era deciso ad impedire a Rosa quelle squallide "gite" in macchina, ma non sapeva come.
Un giorno Turi fu avvicinato da un collega del padre. " Turi - gli disse- mi faresti un favore?"
" Certo "- rispose il ragazzo. " Dovresti portare questo pacchetto nella profumeria di via Ruggero Settimo. Come vedi è un pacchetto regalo. Potrei spedirlo per posta, ma ci tengo molto che arrivi per il compleanno della ragazza alla quale e destinato, la cassiera del negozio. Nemmeno con la posta prioritaria arriverebbe in tempo. Il suo compleanno è oggi e solo oggi ho trovato il regalo che fa per lei. Se mi fai questo favore ti darò 20 Euro" "Ci vado subito - disse Turi. L'uomo mise il pacchetto nella busta di plastica dalla quale lo aveva tolto per farlo vedere al ragazzo e gliela consegnò, insieme ai 20 Euro. A cena Turi, tutto contento, consegnò il denaro alla madre e raccontò tutta la storia. Il volto del padre si rabbuiò. Turi se ne accorse e chiese:
" Papà, non sei contento?" Turi - fu la risposta - devi pensare a studiare. Non perdere tempo con queste cose" Il bambino tacque. "Beh - pensò - il compleanno è passato. Non ci sarà u

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Dove Accarezzi Le Nuvole

... e ci sono sere in cui non conta chi sei... quelle notti dove le stelle ti fanno compagnia... e ritrovi tra le nuvole un ricordo dimenticato... e ti guardi intorno e trovi solo voglia di vivere... solo voglia di sognare e andare oltre... e quel fottuto mondo dove ogni giorno provi ad alzare la voce diventa superficiale... e tu... riesci ad ammirarlo dall'alto di quella superficialità... e senti il vento accarezzarti il cuore... e tra una canzone da film e una mente stupita sei felice... e non c'è niente di meglio... e sai che una cosa del genere non la dimenticherai mai più... e rimarrà in quella piccola parte di esistenza passata a sentir vibrare la pelle... rimarrà tra i ricordi di un'adolescenza di cazzate... e sorridi con un filo di malinconia... perchè non ricordi già più esattamente come ci si sente là dove il forte soffiare del vento è la cosa più stabile che ci sia... la cosa più bella da poter Sentire...



E poi ci sei tu

E poi ci sei tu.

Al rientro. Dai miei eccessi.
Mi piace la sregolatezza. Forse perchè si perde la cognizione del tempo. O forse solo perchè la quotidianità mi spaventa. Non che non la viva. Ma mai fino in fondo. All'improvviso fuggo.

Di notte.

Facce. Sorridenti. Vestiti impeccabili. Eppure c'è così tanta polvere. Bianca.
Occhi. Che scrutano tutto senza vedere niente. Mani.
Profumo. Di buono.
È facile sentirsi una regina quando la musica è così assordante che nessuno la può sentire l'isteria delle tue risate.
Pareti lucide. Eleganti. Freddissime. Perdo il senso dello spazio. Mi lascio portare. Non conta dove.
Sto bene con te. Forse perchè siamo uguali. O forse solo perchè anche tu fai parte del gioco.

Il delirio. Della follia.

Un'altra me. O forse io. Semplicemente.
Mi lascio cadere. In un labirinto di voci e colori. Nella mia testa un vortice vertiginoso scandisce le ore, i minuti e i secondi che mi separano dalla realtà.
Mi muovo sicura, in questo quadro da cui non vorrei uscire.
C'è tempo per dormire. Con la mente in pace, senza sogni.
C'è tempo per piangere. Con discrezione.
Non ora. No, ora no.

Sfiniti.
Esausti.
Un volteggiare di maschere. Dai Sorrisi vuoti.
Ho soltanto voglia di ballare.

Tintinnio di braccialetti luccicanti.

Chissà cosa pensi.
Mentre mi guardi.

Tacchi alti. Sul marmo gelido. Bianchissimo.

Cosa ti starai domandando.
Cosa succederà dopo, forse.

Mascara. Nero. Mascara sbavato.
Non la smetto di ridere.

Ticchettio di lancette di un tempo fuori dal tempo.

Mi prendi per mano.
Tu.
Ora non ho voglia di capire cosa stai pensando.
No, ora no. Ora portami via.
Rivoglio la mia faccia pulita.
Voglio stare in silenzio. Composta.

Chiudo gli occhi. Lentamente.
È quasi giorno.
Non andare via. Non ancora.




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