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Racconti su sentimenti liberi

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La Talpa di Babelel

Praticamente verso le 3 di notte molliamo le ragazze al locale e andiamo a casa mia. Io, Sandro e Federica. Conosci la mia camera; è un tugurio. A turno io e Sandro, all'insaputa di Fede andiamo in bagno a fare un paio di pippotti e poi beviamo alcune birre insieme a lei. Sandro ci fa una disquisizione sui vini e i vigneti siciliani.
"... sono secoli che da queste parti fanno il vino, ma il nero d'avola, o il bianco d'alcamo, o peggio, il corvo glicine, sono tutti vini che non baratterei col peggior vino friulano. Da quelle parti si che sanno come si fa il vino".
La Fede non sembra d'accordo:
"Magari è anche vero, poi a me il nero d'avola non piace, però la qualità del vino è subordinata al piacere che mi da berlo, più che alla provenienza geografica".
Io di vino non ne capisco molto, anzi secondo me il nero d'avola è un ottimo vino e vorrei battermi per far valere la mia opinione, ma non mi lasciano spazio per esprimermi, sembra abbiano questa conversazione in atto chissà da quanto e nonostante ci troviamo a casa mia, mi sento un pesce fuor d'acqua, quasi di troppo. Sandro ch'è un addetto ai lavori, cerca di far valere le sue opinioni argomentando con cognizione di causa.
"D'accordo Fede, sono d'accordo anch'io, però ti faccio un esempio che magari apparentemente non è molto attinente: metti che hai due piatti da cui poter mangiare, uno contiene caviale e l'altro contiene merda, magari per il tuo gusto la merda ti piace più del caviale, ma non puoi venirmi a dire che la merda è migliore del caviale solo per questo".
Questo ci trova un po' tutti d'accordo.
"Se poi usi lo stesso criterio nella valutazione del vino capirai che per me il miglior nero d'avola non può neanche lontanamente essere paragonato ad un buon barolo o un Chianti."
Il ragionamento di Sandro non faceva una grinza, tanto che preso atto di questo criterio valutativo, anche la benché minima mia intenzione di interagire nella discussione si avviluppa su se stessa

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   5 commenti     di: Alfa Alfa


PDL e Cesca oggi 4 -stazione centrale-

Stazione Centrale, testa del binario 11, solo 20 minuti di ritardo del “Tartaruga”, ed eccola lì, Francesca, sono passati anni ma sembra ieri che stringevo le tue mani……

Ti avvicini camminando in modo normale, io resto immobile, paralizzato da un cervello che gira a mille, poi tu cominci a correre e sono io il tuo capolinea, non mi resta che spalancare le braccia e ammortizzare l’urto, cadiamo quasi a terra, non so più chi ride e chi piange, sono singhiozzi e sussulti di gioia, di disperazione, i nostri volti si strofinano, i fiori che avevo portato per te, sono caduti per terra, li abbiamo anche calpestati nel nostro balletto convulso.

La gente intorno, abituata a scene simili, ci ignora, al più pensa “ ecco un’altra figlia che riabbraccia il proprio padre”

Sto fatto dell’evidente distacco generazionale, so già che sarà la mia croce futura, ma adesso voglio godermi il calore delle sue braccia, l’odore del suo collo, il turgore del suo seno schiacciato al mio petto, l’umido delle sue lacrime, miste alle mie che vorrei conservare in una teca, come una reliquia del Graal, ma guarda che cavolate mi vengono in testa!

Dopo alcuni, intensi minuti di emozione scoperta, tiriamo il fiato e cominciamo a squadrarci come alla “fiera del bestiame” inutile dire che stamattina presto sono andato dal barbiere per farmi rendere presentabile, poi di corsa a casa, una superdoccia con il bagnoschiuma “dell’uomo che non deve chiedere mai” denti lavati due volte, poi il colluttorio, poi la felpa col “Che”, ma no, che ca…. faccio, non renderti ridicolo, meglio il maglione a collo alto, quello blu marina, che è largo e nasconde meglio i difetti, e poi, e poi tanta ansia tanta preoccupazione, tante parole pensate e poi abortite, tanti diversi approcci, come l’attore prima della “prima”; faccio l’indifferente? Aspetto di capire, guardandola negli occhi prima di fare la figura del fesso? Ma che vuoi capire te, che sei l’ultimo

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   5 commenti     di: luigi deluca


Cuore di ghiaccio

Era sempre piena quella gelateria, da quando la gestione era cambiata e il nuovo proprietario si era sbizzarrito in tutta una serie di nuovi gusti, alcuni persino discutibili. I clienti facevano pazientemente la coda per accaparrarsi un cono.
Anche quel giorno non faceva eccezione. La fila, al solito, era molto lunga, ma c'era qualcuno che, piano piano, la stava risalendo, con l'approvazione benevola di tutti quelli che venivano superati.
Si trattava di un ragazzino apparentemente molto giovane e molto mal messo fisicamente: sapete, quel genere di handicap che rende un po' deformi, con i movimenti degli arti a scatti e una grossa difficoltà ad articolare le parole.
In poco tempo era arrivato al banco e il gelataio gli chiese, piuttosto bruscamente, cosa volesse.
"Cccce l'hai il gggelato alla zzzucccca?"
Il poverino ci aveva messo un buon minuto a formulare questa semplice domanda, ma il senso si era capito abbastanza bene.
"No, non ce l'ho il gelato alla zucca, e adesso togliti dai piedi, ché i clienti stanno aspettando" grugnì il gelataio.
"Nnnon ccce l'ha il gggelato alla zzzucccca..." disse mortificato il ragazzino, rivolto agli altri clienti, e se ne andò via mestamente.
Qualcuno, nella fila, osservò: "Però, questo gelataio, proprio poco sensibile, poteva anche trattarlo un po' meglio, quel povero ragazzino!"
D'altra parte, voi m'insegnate, un gelataio deve avere un cuore di ghiaccio, se no è meglio che cambi mestiere, vi pare?

Il giorno dopo, alla stessa ora, il gelataio si ritrovò di nuovo il ragazzino davanti al bancone. Ma non appena questi ebbe pronunciato "Cccce l'hai..." prontamente lo fulminò: "No, non ce l'ho il gelato alla zucca, non ce l'avevo ieri, non ce l'ho oggi e non ce l'avrò domani, è inutile che torni!"
"Nnnon ccce l'ha il gggelato alla zzzucccca...", tornò a dire sconsolato e scuotendo la testa il nostro ragazzino, mentre usciva mogio mogio e senza gelato.

Il giorno seguente la storia si ripetè, quello dopo anco

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   11 commenti     di: PIERO


Come dimenticai Christine?

la notte si annunciava chiara. e al chiaro di luna mi resi conto per
la prima volta che mi avevano rubato gli occhi e il naso. Christine!
che fine ha fatto Christine? è forse a casa tua? ha portato via tutto
compreso il ricordo di se. qualcuno sostiene di averla vista andare via
con due valige per sviarmi nella sua ricerca, ma i più sostengono che
non sia mai esistita. ad ogni modo, avvolsi nella mia tunica
insanguinata quel che restava di me ed uscii per cercarla. non posso
lasciarvi così. volai giù dal terzo piano ma non riesco quasi mai a
morire e incontrai mia madre affaccendata nella cura delle sue povere
cose. "Madre, permettimi solo ancora una volta di pronunciare il tuo
nome", mi aveva già dimenticato. riconobbi quell atteggiamento ed
infatti in pochi istanti giunsero i gendarmi nelle loro classiche vesti
bianche. "centurione" disse il più giovane "cosa devo farne di lui".
pensai che fosse giusto cercare di fuggire ma un uomo dalla folla
sostiene che non c'è motivo di essere nervoso. i gendarmi agitavano i
loro sfollagente. "tornate a casa non è niente, è solo un altro che ha
perso la bussola. e tu, ingrato, perchè non riconosci il nostro
amore?". non risposi, soprattutto perchè come sempre non capivo la loro
lingua. decisi allora di far ricorso alla mia magia. li fissai senza
dire molte parole oltre a dei normali convenevoli come "grazie per le
vostre cure", oppure "non so come potrei fare senza di voi", e nel
frattempo bevvi dal mio alambicco, il filtro dell'invisibilità. riuscii
a fuggire nell'incredulità dei presenti. decisi allora di cercarla per
mare.
il viaggio durò parecchi giorni prima che la prima terra annunciasse a
suo modo" nave in vista" e salisse a bordo.
"Fermatevi" ed imprecai, il silenzio scese sul mio orizzonte come un
rasoio. non so se avessi già smesso a quel punto di emanare odore o
forse la mia menomazione olfattiva mi impediva di sentirlo, ma so pe

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   7 commenti     di: Alfa Alfa


La storia di T.

T. era un ragazzo molto ben educato.
A volte l'eccesso di buona educazione può essre una trappola, e T. questo lo sapeva bene.
Aveva frequentato il Le Rosey, uno dei migliori college svizzeri; suo padre possedeva una delle più quotate agenzie per modelle in Europa, la "Skinny and Thiny Models"; sua madre beveva, ma con charme e moderazione.
Insomma, potreste dire che nulla o quasi gli mancasse, non è così?
Non è così.
T. infatti soffriva di un orribile forma di progeria.
Per chi non sapesse di cosa si tratta, la progeria è una malattia rarissima, che colpisce un'essere umano ogni cinque milioni, o giù di lì, e che fa sembrare T., che di anni ne ha appena compiuti ventuno, un vecchio di ottantanni.
Ha le sembianze di un nonnetto in tutto e per tutto a prima vista, ma i suoi occhi..., Dio, i suoi occhi non tradiscono la sua vera età, sono quelli di un ragazzo, vispi e speranzosi.
Fatto sta, che la sua famiglia, com'è forse lecito che sia, non ha aspettative nei suoi confronti; egli vive infatti in una specie di cupola allo stesso tempo dorata e di cristallo, mettetela come volete; ma a T. da qualche tempo, questo proprio non va giù.
Decide allora, un giorno qualsiasi, ad un'ora qualsiasi, ma di un anno ben preciso, ma da specificare, di scappare da quella cupola, di frantumarla.
Decida insomma di fuggire di casa, e di mostrare quello che vale veramente.
Prima di partire per quella che è la sua meta prefissata, Londra, T. svaligia la cassaforte di suo padre, pensando, in fondo di non star facendo del male a nessuno.
"Questa è la mia parte di eredità- pensa fra se e se- ,"in fondo non mi resta poi molto da vivere" .

Ed eccolo finalmente ad Heathrow, la città di tutti i suoi idoli musicali e non.
Se glielo aveste chiesto in quel momento, egli vi avrebbe definito il suo stato d'animo, come un misto di eccitazione, euforia, paura e sgomento; o molto più probabilmente non vi avrebbe risposto affatto; sapete com'è, era molto timi

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   6 commenti     di: Alessio Cogno


Dalila

Dalila aveva partorito i suoi cuccioli sotto la pianta del mirto, in un angolo nascosto del giardino. Antonio e Giovanna, i padroni di casa, lo avevano immaginato perché , per tutta la giornata, l'animale non si era fatto vedere nella veranda posteriore, dove cibo ed acqua venivano serviti ogni giorno da quando era entrata a far parte di quella famiglia, sette anni prima. Era una cagnetta di media taglia, dolce, affettuosa, dagli occhi languidi che intenerivano. Non faceva male a nessuno. D'inverno, nelle giornate molto fredde, dormiva dentro il soggiorno, adagiata su una vecchia coperta ai piedi del camino. Era diventata una presenza importante in quella casa, la chiamavano" il maggiordomo "perché era solita accompagnare gli ospiti dal cancello del giardino fino all'ingresso dell'abitazione con scodinzolii, piroette e salti di gioia. Compiute queste esibizioni si adagiava sul primo gradino della scala d'ingresso e attendeva con pazienza la loro dipartita, ripetendo lo stesso rituale con un abbaio dolce di saluto. Non si sa come fosse rimasta gravida, visto che non era mai uscita di casa. Forse aveva vissuto una veloce storia d'amore con qualche baldo cagnetto innamorato, che si era intrufolato alla chetichella, in qualche notte di luna piena. Rimase sempre un mistero.. . sta di fatto che i piccoli nacquero in quel cespuglio e amorevolmente vennero accolti tra le zampe della neo mamma. Non si sa quanti fossero, Dalila non faceva avvicinare nessuno.. . se ne intravvedevano tre, microscopici, che, ad occhi chiusi, cercavano a tentoni, volgendo la testa ora a destra ora a sinistra, le mammelle da succhiare. Infatti, appena le trovavano, s'attaccavano avidamente ai capezzoli, beati, mentre la loro mamma generosamente si concedeva loro... La sorte volle, sfortunatamente, che la faina, in una aggressione notturna, facesse strage e la povera cagna riuscisse a mettere in salvo solo un piccolo. La natura è incredibile! Dalila si occupò del piccolo con amore, lo

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   5 commenti     di: antonina


racconto di papà

Oggi ero in macchina con mio padre e abbiamo iniziato a parlare di chi è volontario in croce rossa, come alcuni miei amici, e dei vari incidenti, e sono rimasta colpita da una cosa.
Era il 1984, Agosto per precisione, mio padre era insieme a degli amici in casa, stavano aspettando altri 2 ragazzi; uno di 16 e l'altro di 18 anni, erano su una vespa, era una bella giornata, il sole era alto e loro non vedevano bene;
Arrivarono ad un passaggio livello, quelli vecchi di una volta, senza la sbarra ma solo con il lampeggiante e il suono, i 2 ragazzi stavano andando tranquillamente solo che avevano il sole negli occhi e non si accorsero che il semaforo stava lampeggiando, quando se ne accorsero era troppo tardi, il ragazzo alla guida appoggiò istintivamente i piedi per terra per frenare, solo che all'inizio del passaggio livello c'era una piccola cunetta che li catapultò oltre la vespa.
Il ragazzo sedicenne che era dietro volò oltre il passaggio livello e si ruppe il bacino in 5 punti, a sedici anni la sua carriera da ciclista fu stroncata.
Il ragazzo diciottenne finì contro la punta del treno che gli tagliò la gamba sinistra all'altezza del ginocchio.
Mio padre e gli altri amici corsero per soccorrerli, l'ambulanza arrivò dopo mezzora, mio padre vide gli occhi di quel ragazzo senza una gamba, vide il sangue, e quel suo sguardo perso nel vuoto, era sveglio ma non era coscente di quello che gli era successo; li portarono all'ospedale e si salvarano entrambi, aveva perso3 litri di sangue mentre aspettava quella stupida ambulanza! Pochi minuti e sarebbe morto lì, sotto gli occhi dei suoi amici, dei genitori e del suo compare di avventure.
Mio padre tornò a casa, si scolò mezza bottiglia di liquore e non si ubriacò, era come acqua, non sentiva più niente, non mangiò per dei giorni, nella sua mente continuava a vedere quegli occhi vuoti, insensibili, e quella gamba, frantumata, non c'era rimasta neanche più la scarpa.

   1 commenti     di: silvia bonezzi



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