username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti storici

Pagine: 1234... ultimatutte

Giovanni Pascoli tra Urbino e Messina

Gli impegni universitari mi davano la sicurezza di adempiere agli oneri che rientrano nelle competenze ministeriali, ma sentivo il bisogno di un rapporto più vivo e diretto con i discenti.
I miei colleghi mi invidiavano perché avevo avuto dal preside, Prof. Alvise Lunigiani l'incarico di presiedere alle riunioni di Facoltà. Il docente di Greco, Domenico Giffoni diceva di me, ed in mia presenza che ero il beniamino del preside; a volte lo diceva con un sarcasmo tale, che avrei voluto dirgli: "Ti cedo il posto mio, con relativi obblighi, purché tu la smetta di provocarmi."
A volte, ritornavo a casa amareggiato; nonostante l'alta considerazione, nella quale ero tenuto, mi rammaricavo al pensiero che ci fossero degli invidiosi; un gruppo di colleghi mi ostacolava per inconsce rivendicazioni personali, rifugiandosi nel pretesto che i miei oneri non avrebbero dovuto uguagliare quelli del Vice Preside.
Era il mese di Gennaio, del 1891; era trapelata la voce che un professore di Filologia Romanza, Carmine Rao, anelava ad avere la docenza nella Facoltà di Lettere.
Non ebbi remore e lo andai a trovare all'Istituto Aleardi. Il Professore Rao, mi venne incontro sentendosi onorato, della mia visita. Quindi, mi disse: "Non ci son smentite; anelo veramente ad ottenere un posto di docente all'università, ma non per ambizione. Dico sempre ai ragazzi che quanto prima, io li lascerò... E, al buon intenditor, poche parole. Sappia, Professor Pascoli, Le dico, col cuore in mano, quel che non vorrei rivelare ad alcuno: di quei ragazzi, non ne posso più; mi fa star male non poter reagire, quando mi chiamano per nome, aggiungendo a dileggio un aggettivo, suggerito dal loro immaginario. Ella deve sapere, Professore, che son malato; è una malattia, che a lungo andare, e a diretto contatto, potrebbe generare, anche il contagio... Dio non lo voglia. Loro non sanno... Continuano a chiamarmi, goliardicamente "Il tubercolotico" perché ignorano che quella malattia ce l'ho davve

[continua a leggere...]



Soldato nella nebbia

Sera fredda e nebbiosa a Melegnano, non so cosa mi porta a camminare per la città con questo tempo e a quest'ora, forse il piacere di gustarmi le vie cittadine quando nessuno è in vista, guardare incuriosito i giochi d'ombra che si creano in anfratti debolmente illuminati con la nebbia a fare da principale comprimaria.
E così cammino riempiendomi gli occhi di immagini curiose ed irreali, facendo lavorare la fantasia immaginandomi situazioni suggestive come le solitarie vie che percorro ; sono in giro a curiosare e pensare, e, con poco, passo bei momenti sotto la magica nebbia o, quando a tratti questa si apre, sotto un fascio argenteo di luce lunare, eh si! Perché stanotte c'è anche la luna piena che impera sopra la coltre, soffice e immateriale, che incombe sulla città.
Mi ritrovo a passeggiare verso il castello, l'illuminazione fioca sotto la nebbia da dell'edificio un'immagine a tratti tremolante, da farlo sembrare un miraggio notturno, in certi momenti però riemerge nitido ed imponente a ricordarti che è lì da secoli e, quasi a schernire la tua piccola parentesi in questo mondo, lì rimarrà per tanto altro tempo ; non posso fare a meno di ammirarlo.
Nel fossato c'è una piccola luce bianca, hanno messo un altro riflettore? ! No! La piccola luce si muove, qualcuno con una torcia passeggia nel fossato e siccome sono tremendamente curioso, con un piccolo sforzo scendo e mi avvio verso questo signore che riesco appena a distinguere attraverso la nebbia che si fa piu fitta.
Ecco gli sono al fianco, lui mi ha notato da un po' dato che ha fatto piu cenni di saluto, ora che gli sono vicino mi sorride trasmettendomi una sensazione di tranquillità. Non ha torcia, ma è la sua intera figura ad emettere una chiara luminosità, è vestito da militare : tunica scura, credo blu, con cinturone e fibbia argentea, calzoni rossi, ghette bianche sopra gli scarponi e kepì rosso ; porta anche dei gradi sulle maniche che m'incuriosiscono attirando il mio sguardo in mod

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Saverio


Antorcha hija del diablo y el inquisidor cap 1

Cap 1 (prima ora)

Siamo all'incirca nel 1630, chi scrive, è "recluso" in un Convento isolato, sui Pirenei...


"Noi, Papa….., per misericordia divina Inquisitore Generale, fidando nelle vostre cognizioni e nella vostra retta coscienza... vi nominiamo, costituiamo, creiamo e deputiamo quale fidelis filium fra gli inquisitori apostolici contro la depravazione eretica e l’apostasia nell’Inquisizione di Nostro Signore.. voi Aloisius de la Cruz e vi diamo potere e facoltà di indagare su ogni persona, uomo o donna, viva o morta, assente o presente, di qualsiasi stato e condizione... che risultasse colpevole, sospetta o accusata del crimine di apostasia e di eresia, e su tutti i fautori, difensori e favoreggiatori delle medesime".

Con oggi, son giusto 10, gli anni che porto i segni di questa Bolla; io Certosino dedito agli studi più che alla battaglia, io, impegnato nella traduzione di Platone, al quale ho dedicato anni a lui ed alla sua “de Re Publica”, sì, son proprio io, il belante animale che contrito verga queste righe, nell’ora, nella sola ora ogni 24, che m’è dato essere ancora uomo!
Ma necessita che anteponga ai fatti, la mia storia:
battezzato alla nascita, per volere di mia madre, Aloisio, ed impostomi il di lei cognome, quasi fatidico direi, essendo cadetto, m’erano offerte due strade, indossare l’armatura, al servizio del Re, o indossare il saio al servizio del Re dei Re, io nemico per istinto della guerra, ho scelto pur senza logica di fede, il saio.
L’essere uomo di Chiesa, m’ha consentito di accedere a Biblioteche per molti proibite, di conoscere ed essere allievo di uomini illuminati di scienza, invasati di sete di conoscenza, adoratori del sapere, anche se questo comporta, evidentemente il dubitare della Fede.
Non so perché, né se si trattò di uno scambio di persona, ma quando 10 anni fa, fui convocato a Roma, in udienza pontificia, il mio stupore e confesso, paura, fu veramente grande.
Pensavo, infatti,

[continua a leggere...]

   4 commenti     di: luigi deluca


Notte senza luna

Pregare. Ci sono momenti in cui non posso fare nient’altro.
Seduta su queste scomode poltroncine di plastica, in questi squallidi corridoi verdi che odorano di medicinali, prego un Dio che non conosco. Prego perché i medici riescano a salvarlo. Prego perché il chirurgo varchi le porte della sala operatoria con un sorriso e mi dica che Francesco ce l’ha fatta.
Crescono l’ansia ed il terrore. I secondi passano lenti ed inesorabili, diventano minuti, diventano ore e l’aria è sempre intrisa di paura e di speranza. Cresce la mia inquietudine, insieme al senso di impotenza. Non c’è nient’altro che possa fare. Pregare è tutto quello che mi resta.
- “Tieni, ti ho portato qualcosa di caldo” - È Maria che mi porge una tazza di tè bollente - “Devi cercare di prendere qualcosa, almeno tu”.
- “Grazie, non la voglio”.
- “I medici non si pronunciano. Dicono che è grave, che fanno il possibile. Nient’altro”.
Sospira trattenendo le lacrime e si siede accanto a me. È così vicina che potrei toccarla solamente allungando la mano, eppure il suo sguardo è spento e distante, perso in un mare di ricordi; forse lo stesso mare dove è perso il mio.
Ho conosciuto Francesco nel dicembre del ’70 sul treno. Ricordo quel giorno come se fosse ieri: eravamo entrambi diretti a Roma, ma per motivi completamente diversi. Lui ed i suoi amici andavano ad aderire per solidarietà ad una manifestazione. Io andavo a dare il mio esame di diritto romano.
Ricordo che cercavo di dare un ultimo sguardo distratto agli appunti che tenevo in mano, ma una numerosa comitiva seduta dietro di me mi disturbava con il suo chiacchiericcio continuo. Mi sono girata per dire loro di smetterla ed è stato allora che l’ho visto per la prima volta. Mi ha colpito subito.
Francesco era sicuramente bello. Aveva un viso pulito, due grandi occhi azzurri, ombrati da ciglia folte e scure ed un magnifico sorriso sicuro di sé. Il fervore carismatico dei suoi discorsi destava l?

[continua a leggere...]

   7 commenti     di: Elisa Tronci


Antorcha hija del diablo y el inquisidor cap 5

Cap 5 ultima ora


L’indomani fu l’inizio della fine, alle prime luci dell’alba, scortato da uno squadrone di lancieri, il Cardinale Principe della Chiesa, Primo Inquisitore di Spagna, senza neanche darmi tempo di parlare, schiaffeggiandomi pubblicamente col guanto di pelle nera, suo simbolo personale, mi destituì da ogni incarico, mi retrocesse all’istante, brandendo una Bolla Papale ove era scritto che io Aloisio de la Cruz avevo indegnamente servito etc etc e venivo pertanto condannato alla clausura nel convento di Chateau de Rennes ad libitum.
Prese, immediatamente le redini di tutti i procedimenti in atto, e, neanche a dirlo, tempo una settimana condannò al rogo oltre cento fra vecchie, giovani e addirittura bambini, fra il giubilare della folla accorsa, finalmente soddisfatta nel suo istinto criminale, contenta a tal punto di applaudire le urla strazianti dei condannati alle fiamme!
Ovviamente Antorcha, dopo giorni di torture e sevizie inimmaginabili, nonostante le quali non profferì una sola parola, fu fra le prime a subire l’onta del giudizio capitale, rifiutando con deciso orgoglio il pentimento finale, rifiutando il conforto dei sacramenti e sorridendo, mi fu detto, attese che le fiamme la straziassero.
Io sono qui, con l’obbligo del silenzio imperituro, la mia giornata è divisa fra la celletta per il giorno e la biblioteca per la notte, la mia condanna mi impedisce non solo di parlare ma anche di vedere chicchessia, quindi il Priore ha disposto che io lavori in biblioteca, quando questa è chiusa per gli altri monaci.
All’inizio mi sembrava una condanna crudele, poi, l’ho considerata addirittura una fortuna, di giorno, dormo, di notte, accudisco la biblioteca, eseguo gli ordini che mi vengono vergati sulla lavagna, penso, sogno ad occhi aperti, scrivo le mie memorie e le nascondo in un incavo dell’architrave della sala grande; ma soprattutto non passa giorno, o meglio notte che non rivedo con gli occhi, con il cuore, con il se

[continua a leggere...]

   2 commenti     di: luigi deluca


I Santi: San Bonifacio

""Predichiamo i disegni di Dio, ai grandi e ai piccoli, ai ricchi e ai poveri. Annunziamoli a tutti i ceti e a tutte le età finché il Signore ci darà la forza, a tempo opportuno e inopportuno, a quel modo che San Gregorio scrisse nella sua Regola Pastorale". Così scriveva Bonifacio a Lioba, sua parente e badessa, esprimendo il suo zelo instancabile per l'evangelizzazione dei popoli dell'attuale Germania e Olanda, ispirandosi alla Regola di San Gregorio Magno.
Ma chi era Bonifacio? Wilfrido questo era il suo nome di battesimo, nacque intorno al 673 nella regione meridionale dell'Inghilterra. Da ragazzo venne accolto ed educato nell'abbazia di Exeter e poi in quella di Nursling, secondo i principi della severa regola benedettina. Nel periodo di formazione cristiana, Wilfredo acquisì l'osservanza alla preghiera ed agli studi, la fedeltà alla chiesa di Roma e la passione missionaria per la conversione dei popoli pagani o ricaduti nel paganesimo.
Al fine di comprendere al meglio i Testi sacri, Wilfredo imparò la lingua latina, greca e quella ebraica, approfondì il messaggio e la spiritualità dei Padri della Chiesa, divenne maestro e scrisse una grammatica per i suoi alunni, si dilettò nella poesia. Tuttavia l'impegno che Wilfrido sentiva di più era quello dell'evangelizzazione, in forza della quale nel 716 chiese ed ottenne il permesso di raggiungere l'Olanda. In quel tempo il principe Radboch si era ribellato alla dominazione Franca e vedeva negativamente il cristianesimo, poiché era il credo professato dal conquistatore, inoltre aveva confinato il vescovo di Utrecht, Willibrordo presso un monastero.
Wilfredo fece visita al principe, ma subito comprese che i tempi non erano ancora maturi per l'evangelizzazione, occorrevano uomini e donne disposti al martirio, l'appoggio dei Franchi, ed infine, acquisendo il sostegno della chiesa di Roma, si sarebbe conservata l'autonomia della nuova chiesa, dal potere politico dei principi che nominava vescovi e abati s

[continua a leggere...]

   3 commenti     di: Fabio Mancini


Don Giuseppe Puglisi: la forza del garbo

Chissà se esiste una relazione del tutto trascendente fra persone tra loro sconosciute, vissute in luoghi e in epoche differenti, ma accumunate dal coraggio e segnate dal medesimo destino?
Cosa hanno in comune il vescovo salvadoregno Óscar Arnulfo Romero e il sacerdote palermitano don Giuseppe Puglisi?
Entrambi furono assassinati, in virtù della loro testimonianza: Óscar Arnulfo Romero fu trucidato con una pallottola che gli recise la vena giugulare, mentre stava elevando l'ostia; Giuseppe Puglisi fu soppresso con un colpo di pistola alla nuca, mentre stava rientrando nella propria abitazione.
Con atteggiamento profetico il vescovo salvadoregno annunciava: "Un vescovo potrà morire, ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non morirà mai".
E come non estendere tale formulazione anche a don Puglisi e a tutti i martiri della Chiesa?
Può una pallottola mettere a tacere la voce univoca della Comunità cristiana?
Presto Don Giuseppe sarà beatificato per poi essere elevato all'onore degli altari come primo martire della mafia, deceduto in odio alla fede.
La cronaca nera rilevava che il 15 settembre 1993 il corpo di don Giuseppe giaceva a terra, privo di vita.
3P (acronimo delle iniziali Padre Pino Puglisi) veniva chiamato così dai suoi parrocchiani, terminava la sua avventura terrena il giorno del suo 56° compleanno.
Una strana coincidenza... eppure un altro elemento conferisce alla vicenda un significato un po' particolare: il giorno dell'omicidio don Puglisi indossava un clergyman, anziché la solita camicia a scacchi.
A qualche parrocchiano che glielo aveva fatto notare, don Giuseppe aveva spiegato che quel giorno doveva celebrare più matrimoni. A me piace pensare che il Signore lo abbia chiamato a sé, abbigliato con il suo abito migliore, in vista dell'imminente unione mistica con quell'anima devota.
Forse qualcuno potrebbe chiedersi: qual è il confine tra il dovere deontologico e il valore aggiunto della santità?
Perché la mafia ha inviat

[continua a leggere...]

   3 commenti     di: Fabio Mancini



Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Racconto storico.