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Racconti surreale

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Solo un nome da ricordare

... e mi guardi, assonnato, stringendo la mia mano sul tuo petto. Affondando il viso nel mio collo, respirando il profumo dei cuscini.

Sai di birra, sigarette, sabbia e mare. Sai di montagna, sai di ricordi lontani.
Sai di scappatelle nel cuore della notte, dalla mia stanza alla tua.
Nei tuoi occhi leggo le poesie che mi dedicavi, sulle tue labbra i segni dei miei baci. Sul tuo corpo ogni nostra battaglia, sempre insieme, mano nella mano. Entrambi testardi, entrambi innamorati.

Schiudi le labbra, chiudendo gli occhi. Un debole sussurro.

Credo di non amarti.

Ti accarezzo il capo e ti cullo, lasciandoti poggiare sul mio seno, finché beatamente non ti assopisci.

Non questa notte, angelo grigio, questa notte non è fatta per soffrire.
Concedimi almeno questo.
All'alba, sarai solo un alone.
Solo un nome da ricordare.

   4 commenti     di: Vinter_


Bianco e nero

Che strano posto, chissà dove mi trovo. Là c'è un signore, sembra non abbia nulla da fare, quasi quasi mi avvicino. Elegante però nel suo completo bianco, e poi ha dei bei lineamenti, cordiali. Ecco, sono proprio davanti, ora chiedo.
<Scusi, dove si va per di qui?>
<Cos'è uno scioglilingua?>
< Intendevo, dove porta questa strada?>
<Perché, lei non lo sa?>
<No!>
<A, no?>
<Perché, dovrei saperlo?>
<Eh sì, caro signore, a questo punto dovrebbe proprio saperlo!>
Non credo sia poi così buono come pensavo. Mah, proverò ad andare avanti, qualcuno mi saprà dire dove mi trovo.
<Senta lei, non può passare.>
<E perché?>
<Poco fa mi ha detto di ignorare dove porta la strada, se non sbaglio!>
<Infatti!>
<Allora non può andare.>
<Chi lo dice?>
<Ordini superiori!>
Questo qui è proprio antipatico, se ne sta lì tutto impettito. Che ci farà, poi, con tutte quelle chiavi. Boh, meglio tornare indietro. Se almeno ricordassi del motivo per cui mi trovo in questo posto, già sarebbe qualcosa.
Laggiù vedo muoversi qualcuno, chissà se posso chiedere. Ora che sono vicino, che lo vedo bene, devo dire che questo tipo è proprio diverso dall'altro. Sempre molto elegante, ma completamente vestito di nero. I suoi lineamenti sono duri, quasi ostili.
<Dove va lei?>
<Ah io non lo so. Volevo giusto domandarle..>
<Silenzio. Le domande spettano a me.>
Questo è molto, molto più antipatico dell'altro. E sta zitto poi. Ha detto che le domande le fa lui, però non parla.
<Senta, scusi, vorrei solo sapere..>
<Zitto!>
<E no, caro lei, se facciamo così. Là non posso passare, qui nemmeno parlare. E dove diavolo mi trovo!>
Non l'avessi mai detto! Il tipo vestito di scuro mi guarda con gli occhi iniettati di sangue, le narici sembrano sbuffare, il volto assume un ghigno crudele. Credo di averlo fatto arrabbiare. Ecco, ora sta per dirmi qualcosa.
<Lei sa cosa c'è laggiù, oltre quel fiume?>
<No, perché dovrei saperlo?>
<Speravo tanto di sì.> Mi dice,

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The light

Era intessuto di ingiustizie e parole pesanti, di grida lacerate e che laceravano. Vi erano incastonati pezzi di realtà misti a fantasia. Il lavoro dentro di me, quello che non ero mai riuscita a capire. Ed ecco poi, poi ho preso il volo! Equilibri fragili su corazze di cristallo. Le stelle sopra di me, era poesia, la sentivo. Sussurava parole rubate ai poeti, ma eternamente mie. La libertà tanto ambita, una forza che non avevo mai provato. Il mondo sotto di me, i turbamenti, il disprezzo
tutto era sotto di me. Ma dovevo ritornarci. Ahimè, nient'altro che frammenti di libertà chiusi in una prigione!

Il faro, all'improvviso, lo vidi. Era sempre stato lì e decisi di raggiungerlo. Volare non era mai stato più semplice, era un talento che mi apparteneva. Raggiunsi il Faro e ammirai il mare tempestoso e tranquillo.
Capii che sogno spesso un luogo
privo di barriere e di confini,
senza gabbie, sbarre, catene o spinati.
Con la voce intessuta di cristallo
ed avorio per viso
e occhi, non occhi
ma aquile infuocate.
Sul limite del mare,
sospesa tra paure ed aspirazioni
certezza insicura,
avvelenata.
Sotto di me il vuoto.


E capii, all'improvviso capii che quei manichini lì sotto non erano in grado di volare e vedere le stelle perchè incapaci d'amare e credere.
Ma finalmente davanti a me,
IL FARO.

   0 commenti     di: Giorgia Deidda


Il contrabbasso non passava dalla porta

Entrarono in bar due musicisti
Il primo era un tipo smilzo, asciutto, sgangherato, portava un cappello di lana cotta, come si usava un po' di anni prima. Si poteva definire un cimelio da museo, e non parlo solo del cappello: mi riferisco a tutto quello strano personaggio.
L'altro era semplicemente grasso.
Si sedettero al tavolo sotto alla finestra e incominciarono a parlare.
barista: cosa vi porto?
il primo: acqua con ghiaccio
il secondo: un caffè e un bicchiere d'acqua.
Mi sarei aspettato di trovare due motori a scoppio vecchio stampo, da whisky e benzina, ma purtroppo non superavano i consumi di un monopattino.
il primo: sono a secco di soldi caro mio.
il secondo: non si trova piu tanta gente disposta a pagare il prezzo che la buona musica costa.
il primo: già le radio invece non avanzano tante pretese: le piazzi lì, le dai da mangiare un po' di corrente e si accontentano ogni tanto una qualche carezza alla sintonia.
il secondo: concorrenza sleale.
il primo:sai qual'è un altro problema grosso di noi contrabbassisti? le porte.
Il contrabbasso non passa mai dalle porte: sono sempre troppo strette e lui sempre troppo largo;
è una discriminazione naturale allo strumento, come se involontariamente gli edifici si facessero scudo dal suo suono.
il secondo:ma non suona mica male... lui..
il primo:effettivamente nemmeno gli edifici hanno orecchie per sentirlo.
il primo: seriamente, non so più che cosa dare da mangiare alla mia famiglia
il secondo:è una brutta faccenda
il primo:abbiamo talento ma siamo poveri
il secondo: credo che sia colpa di questo secolo che è arrivato e ha spinto via tutti quelli che erano rimasti aggrappati a quello vecchio. Un bel colpo di spugna, il progresso.. Beh, sono arrivate tante cose belle con lui, ma nessuno le aveva chieste. Voglio dire, come se entri in un bar e ti portano una bottiglia di champagne senza averla ordinata: a nessuno fa schifo lo champagne, ma c'è chi può pagarla e chi è costretto a rif

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Sopra Le Nuvole

Quella stanza era vuota, solo ero lì dentro.
Superato l'orizzonte della pazzia, lo spirito tagliò il collegamento tra gli occhi e la mente:quella piccola stanza divenne più grande d'un teatro comune.
Da quel posto dove mi ero seduto m'alzai, volai fin sul palcoscenico, imbracciai quell'insolita chitarra elettrica:era normale, di colore rosso con della parti bianche, semplice.
Pizzicai il mi, non sentii nulla:era tutto acceso, il cavo era inserito.
Posai la chitarra, m'avviai per la postazione dov'era il mixer:era da sessantaquattro canali ed inoltre erano presenti due computer, ma quella stanza era vuota, di nuovo solo, lì dentro.
Guardai gli schermi, tutti e due erano accesi, con un programma che segnava ogni frequenza:sui monitor c'erano delle linee orizzontali verdi.
Tutto ad un tratto sentii un uomo gridare aiuto, questa voce proveniva dal palcoscenico, era molto simile alla mia, era al centro ed imbracciava la chitarra in ginocchio. M'avvicinai, ero io, m'inginocchiai davanti a lui, non dissi niente, gli alzai il capo con la mano, mi specchiai nei suoi occhi da cui gocciolavano lacrime:lui si alzò, si girò e con passo deciso s'allontanò, io rimasi congelato immobile, di fronte a quella chitarra, sentì la porta chiudersi, ero rimasto solo lì, dentro quell'immenso teatro.
Urlai:Padre, sono solo, guardami!!
Iniziai a sentire un calore sul petto, veniva da dentro, la mia fronte si riempì di sudore, le mani erano sudate, presi la chitarra ma scivolò per terra, non si ruppe. Decisi di sdraiarmi su quelle calde tavole di legno, chiusi gli occhi, m'addormentai.
Mi svegliò una forte luce che penetrava tra le palpebre, non riuscii a vedere più niente, sentii solo questa frase:qui fuori tu non sei solo.

   2 commenti     di: Ettore Smith


Il gigante che venne dal cielo-parte terza

Nell'erba i piccoli folletti tremavano sconvolti, ci ha scoperti, ci ha scoperti si dicevano, ora sa di noi.
Nei giorni seguenti il gigante si spinse sempre più lontano nelle sue passeggiate esplorative, finché non trovò il villaggio di Zizoro, si avvicinò con sguardo divertito ed esaminò le piccole case, i carri trainati da scoiattoli che trasportavano ghiande e bacche, i loro magazzini, e prese anche alcuni oggetti come piccoli mobili e sedie. Il maghetto che accompagnava Abian e i suoi compagni disse: dobbiamo ucciderlo per la nostra sicurezza, adesso lui sa di noi e ci troverà, non lasciamogli l'opportunità di farci del male. I membri della squadra erano perplessi e non sapevano cosa fare, ma Abian intervenne dicendo: il gigante non ci ha ancora aggrediti, nè ha manifestato aggressività nei confronti del villaggio abbandonato, può esserci del buono in lui, non aggrediamolo subito.
Cosa proponi di fare allora? Chiesero gli altri.
Mi offro volontario per una comunicazione, rispose Abian, voglio essere ambasciatore e tentare una mediazione.
Questa tua decisione potrebbe costarti la vita, disse un compagno, quel mostro potrebbe mangiarti in un sol boccone, ammazziamolo e basta.
Se siamo noi a cominciare una guerra non potremo meravigliarci di averla, disse Abian, mettiamolo alla prova e se è malvagio comincerà lui e perderà. Io credo che prima di aprire rapporti di qualsiasi tipo sia utile comunicare con una creatura sconosciuta.
Ammirati dal coraggio di Abian i compagni approvarono la sua decisione, ma il maghetto fece un incantesimo sul fabbro così nel caso il gigante lo avesse attaccato si sarebbe addormentato improvvisamente e i folletti avrebbero potuto ucciderlo.
Così il giorno dopo mentre il gigante passeggiava solitario Abian lo chiamò dicendo: salute a te grande visitatore, io sono Abian portavoce delle genti di Herses, chiedo di poter parlare con te!
Il gigante lo guardò e dopo aver farfugliato qualcosa con una strana voce meta

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C'ero anch'io

Pazzesco! Non si era mai visto un traffico così!
Tutti cercavano di rientrare a casa in tempo per la partita. È proprio vero che basta poco per far sì che delle persone normalmente educate ed a modo diventino maleducate ed irrispettose…!
Ognuno si sentiva padrone della strada; c’era chi bruciava sistematicamente tutti i semafori rossi, chi ignorava le precedenze, chi non rispettava gli attraversamenti pedonali e chi dimenava i clacson come un sassofonista in un gruppo jazz.
C’era frenesia…da vent’anni la Nazionale Italiana di calcio non giungeva in una finale dei Campionati del mondo e l’attesa era tanta!
Anche se si era in piena estate l’accalcarsi di chi tornava da lavoro con chi era in giro per compere o sane passeggiate aveva creato un intasamento nelle zone più popolate della città.
Sin dalla mattina le discussioni avevano riguardato la partita ed il suo possibile esito, sia negli uffici che nei negozi e nelle scuole ed avevano unito i più giovani agli anziani come gli appassionati con chi invece aveva sempre detto che non gliene sarebbe potuto fregare di meno…ma si sa che la Nazionale unisce tutti!
Da questa frenesia, da questo turbine di emozioni, non era estraneo Luigi che, non essendo riuscito ad avere un permesso sul lavoro per via di una urgente consegna da finire l’indomani, era uscito dall’ufficio poco prima delle 20, a mezz’ora dal fischio d’inizio!
Calcolando che per raggiungere la sua onesta dimora avrebbe dovuto attraversare la città è facile pensare come avrebbe rischiato di perdersi buona parte dell’incontro…non gli sarebbe rimasto che pigiare sull’accelleratore e sommare infrazioni su infrazioni come un collezionista aggiunge monili alla sua preziosa bacheca.
Non sappiamo se una buona mano gli fosse piovuta dal cielo, ma alle 20 e 21 Luigi era già sotto casa ed aveva trovato un parcheggio di lusso proprio davanti al portone come rarissimamente gli era capitato prima.
Entusiasta di ciò aveva chiu

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