“Anche in me l’onda si leva. Si gonfia, inarca la schiena. Ancora una volta sono consapevole di un nuovo desiderio, qualcosa che si solleva sotto di me come il fiero cavallo che il cavaliere prima sperona e poi frena”.
Virginia Woolf, Le onde
Eccoli. Tutti intenti a consultare i testi di questa antica biblioteca; son tutti ragazzi, certo, ventenni in erba, in fiore, allegorie per l’infinito. Sono curioso, leggero, discreto, ma anche impaziente e fluttuante come un fantasma che cerca pace, la cui anima è rimasta prigioniera proprio in questo luogo di conoscenza. Mi avvicino al primo: è solo, concentrato, totalmente disarmato; legge un testo sui filosofi esistenzialisti. E mi viene da pensare: no! Sartre proprio no, magari Kierkegaard, ancor meglio Heidegger, ma Sartre no! E poi perché mai proprio gli esistenzialisti? Leggiti una fiaba di Ende o di Andersen, è molto più salutare. Non sembra darmi ascolto e allora proseguo. E questa? Che legge questa? Dylan Dog? In biblioteca, Dylan Dog? Insolito, perlomeno. La dama in nero, eccome se la ricordo, viveva nel castello della paura insieme ad un maggiordomo che ce l’aveva col governo. Questa sarà la terza o quarta ristampa. Il tempo vola veloce, mi sorprendo a pensare, forse è anche la quinta - di ristampa, naturalmente -, ma in fondo che importa del tempo che scorre, lo divorerò per cena stasera e svanirà per sempre. Più giù una bella intesa, si guardano intensi tra le pagine di Tonnies l’una e uno strano teorema matematico di cui non so - e certo non saprò mai - l’altro: “Ciao dolce amore, siamo due stelle danzanti, e non importa se solo per queste ore, ciò che conta è che lo siamo”. Li guardo e mi ricordano qualcosa, è una suggestione, un attimo, come un’ onda, come le tante onde che rifrangono sulla ragione e piegano al loro volere la mia razionalità. Che poi chi l’ha chiesta questa razionalità. Chi la vuole. Ovunque Tu sia, lasciami giocare il più possibile coi coriandoli,
V'è mai capitato di credere d'aver sbagliato epoca?
Voglio dire, di non essere nel giusto periodo storico.
A me sì.
Io vorrei essere un uomo medioevale. Un uomo dell'alto medioevo, del basso no: c'erano già troppi aratri e pochi buoi.
Non fraintendetemi - per carità- non sono un esperto di storia. Non sono esperto di nulla, per definizione e di fatto sono uno studente. Ma credo che sbagliare periodo storico è un po’ come sbagliare tempo in musica: si ha la sotterranea sensazione di non trovare mai l'armonia, la giusta sincronia tra il metallico martellare dei tamburi in sottofondo e il battere del nostro misero cuore, fatto di sangue e carne.
Sarà forse per questo che sono incapace a ballare? Sarà forse per questo sbaglio prenatale, nel redarre la mia data di nascita, che odio la discoteca?
Ancora - vi prego - di non fraintendermi: non sono un moralista, non sono un bigotto, cerco di stare al passo dei tempi, d'altronde sono uno studente. Ma il guaio è che sono lievemente misantropo: c'è chi è lievemente astigmatico, io sono lievemente misantropo. La differenza è che ancora si devono inventare le lenti che ti fanno apparire belli gli altri.
Ma torniamo alla domanda iniziale. Se fossi un esperto di storia, per consolarmi, potrei scrivere un saggio su come si viveva nel medioevo e convincermi che in fondo è meglio una fila alla posta che un'orda di barbari assatanati. Se fossi un esperto di fisica, per consolarmi, potrei scrivere un saggio sul tempo e convincermi che in fondo esso è relativo. Infine se fossi un esperto di psicologia, per consolarmi, potrei scrivere un saggio sui sintomi della malattia mentale che questi pensieri precorrono e convincermi che in fondo è tutto razionalmente giustificabile.
Ma sono uno studente. E, a ben pensarci, per spiegare il perché di queste sensazioni e di quella domanda, dovrei arginare il ruscello sotterraneo con una diga di grigio cemento inerte per prelevarne un campione, brulicante di
Corrado stava seduto su di un treno in attesa della partenza, tutto ad un tratto una ragazza nera che stava camminando sulla pensilina attirò il suo sguardo, Dio com'era bella... la vide allontanarsi lentamente dal suo campo visivo, quasi come fosse una nuvola che attraversa il cielo per poi sparire all'orizzonte, per cinque minuti non ricordò più nulla della sua condizione, non sapeva più chi era nè con chi fosse sposato, non una sola persona conosciuta andò a disturbarlo, il treno era già partito da un pezzo quando alzò lo sguardo, il mare scintillava all'orizzonte e qua e la una palma faceva capolino davanti ai suoi occhi, un perdigiorno tentò di approcciare una ragazza seduta dietro di lui"Questo treno fa tutte le fermate? è la scusa più squallida che sentissi da secoli, per fortuna lo ha spedito subito che diamine, ma dov'era tutta questa gente quando insegnavano come si deve fare, ma si parla così ad una ragazza tanto carina? ma lo saprà cosa vuol dire? dov'è il rispetto per la sua intelligenza che diamine, una volta ho letto da qualche parte che nei secoli scorsi parlavano in francese alle donne cosi, già il francese ecco cosa ci vuole, il francese... stò perdendo tempo dovrei portarmi uno sgabello e mettermi su una piazza, e poi dare lezioni, e farmi pagare, sai quanti soldi che farei, se sapessero mai come ho fatto con mia moglie, oh già resterebbero a bocca aperta, si si mi sembra già di vederli tutti lì a sentire la mia storia, e le donne? le donne applaudirebbero tutte e mi darebbero del lei, sissignore mi riverirebbero, oh si non c'è che dire la mia vita è tutta in discesa oramai, non c'è che da togliere il freno a mano e si parte, allacciate le cinture gente questo viaggio lo paga Corrado, un emozione così non l'avete mai provata forse neanche il giorno in cui nascendo avete visto la luce la prima volta, e dopo tutto è così sono ad un passo oramai, ad un passo".
Tutti questi pensieri gli si affollavano in testa, a vo
oggi a 23 anni, ringrazio il destino che mi ha fatto nascere in quello squallido misero e miserabile sporco luogo che mi ha dato il primo alito di vita. Sono la quinta figlia dopo tre femmine e un maschio, mia madre donna ignorante priva di amor proprio, subisce passivamente le brutture di mio padre, uomo insensibile rude incattivito dall'alcol, senza alcuna voglia di lavoro. Per il sostentamento della famiglia, doveva provvedere la mamma con duri orari, piegata in ginocchio sulla terra umida della campagna, la stessa sorte era riservata alle tre sorelle maggiori, un po' meno al fratello, siccome maschio lui aveva degli agi rispetto a noi femmine. I mie ricordi iniziano all'età di circa quattro anni, quando mia madre comincia a portarmi con se per aiutarla a raccogliere qualcosa da terra. Durante l'assenza della mamma da casa, mio padre rivolgeva le sue attenzioni alle sorelle. Con atti indescrivibili costringeva tutti, minacciando con un machete (ascia), pena l'uccisione, a dormire fuori da casa anche in pieno inverno. Ci rifugiavamo nella stalla e per giaciglio usavamo il deposito della paglia. Due delle mie sorelle, appena sedicenni si sposarono, in casa ero io che dovevo preparare i pasti nella confusione di una casa sporca, perché la terza sorella doveva aiutare la mamma in campagna, avevo compiuto intanto 7 anni, per la scuola dovevo recarmi a piedi percorrendo tre chilometri. Mi esimo di raccontare quante botte ho preso dal fratello che mi tormentava con le sue sporche voglie e dalla sorella per costringermi a fare dei lavori che avrebbero dovuto assolvere loro. Dopo i primi cinque anni di scuola, per potere frequentare la scuola superiore che si trovava a 15 km da casa, fui depositata in casa di una delle due sorelle sposate. Speravo che la mia situazione fosse migliorata, pura illusione, da quel momento ancora una volta mi ritrovai a combattere contro la disumana fobia di un adulto. Avevo compiuto 12 anni e la natura facendo il suo corso, cominciav
[continua a leggere...]Non ne poteva più di stare rinchiusa nel suo bel maniero; seppur circondata da dame servili e paggetti attenti sentiva il bisogno di stare da sola per poter fare ciò che voleva senza il controllo di nessuno.
La reggia era ancora addormentata: raggi di sole tiepido attraversavano le bifore e riscaldavano i freddi pavimenti di marmo.
Non riusciva a stare in quell' ambiente ricco di arredi, popolato di servi, dame e cavalieri frenetici; era giunta l'ora di uscire, provare cosa vuol dire cavarsela da sola.
È, sì, perchè una principessa non poteva svolgere piccole e banali mansioni in totale autonomia, c' era sempre qualcuno che preveniva la sue azioni per soddisfarla prontamente.
Si tolse di dosso le sottogonne voluminose e il corsetto aderente, liberò il corpetto allentandone i lacci e sciolse i capelli. Già così cominciava ad assaporare la libertà di indossare un abbigliamento comodo. Anche i gioielli vennero abbandonati con noncuranza e, camminando silenziosamente in morbidi stivaletti di pelle, attraversò i larghi corridoi del palazzo.
Discese le scale ampie, attraversò il cortile addobbato a festa e giunse nelle stalle reali.
Sempre in silenzio liberò il suo cavallo Furio, un giovane morello e, dopo averlo sellato per la prima volta da sola, aiutandosi con la sua criniera lucente diede un balzo e gli saltò in groppa.
Il ponte levatoio era aperto e le guardie distratte sentirono il rumore degli zoccoli calpestare le tavole di legno.
Esmeralda, capelli sciolti nel vento, galoppava leggera nella brughiera: la brezza pungente le sfiorava le gote mentre si dirigeva decisa verso la spiaggia.
Lì giunta, affannata per la lunga corsa, scivolò giù dalla sella per rinfrescarsi. Ondine delicate le lambivano i piedi rosa, mai aveva camminato sulla sabbia, nè fatto un bagno in mare.
Quell'immensa vastità di acqua in continuo movimento l'attraeva, sentiva un richiamo potente e si lasciò cadere in quel liquido lentamente, tutta vestita.
Era un i
La Punta Mezzaluna si accende di piccole luci bianche.
Accucciato intorno alle reti, i piedi neri di terra, un pescatore di legno cuce le maglie scappate. Punta gli occhietti piccoli sulla densità marina in cerca di un pezzo di Luna.
Volge lo suardo: l'immobilità di quel viso lascia trasparire vibrazioni di invisibili muscoli intorno alle labbra:si aprono in un sorriso stanco. Due grandi gabbiani alti più di un metro e mezzo l'osservano fermi davanti a lui:le loro ali tremano appena, le piume impastate di fango bagnato.
Lo scirocco con dolcezza spietata secca il fango, immobilizza i loro becchi appesantiti.
Presto non saranno che due statue di argilla, solo gli occhi girano impazziti di paura mentre la morsa si fa più stretta. Con forza disperata cercano di staccare le loro zampe palmate appiccicate al terreno, pensano alla luce accecante del sole pomeridiano li aveva attirati nelle grandi stelle azzurre disegnate nel ventre del mare.
Si erano calati sicuri in quelle secche colorate in cerca di pesci verdi e conchiglie rosa, ma si erano trovati improvvisamente immersi nella fanghiglia di una palude fetida di erbe fradice e carogne di volatili.
Ora imprigionati nella crosta aspettano che le mani del pescatore cessino di rincorrere i fili e scalzino con forza il fango rinsecchito.
Nell'aria notturna si sentono piccoli rumori di gusci che cadono sotto i colpi secchi di un martello. Come usciti da una gabbia di argilla ridotta ormai in frammenti, liberi nel piumaggio morbido, i due gabbiani volano stretti nei becchi.
Il pescatore col la mano spinge pezzi di quei gusci in mare.
Buffa la natura.
Si trovano somiglianze
dove meno te lo aspetti.
La postura non era esattamente quella dei suoi consimili. La testa leggermente incassata in piccole spalle, rigide come grucce dimenticate dentro l'abito. E poi quella leggera protuberanza sulla schiena, che non gli avrebbe certo consentito di fare l'indossatore. Per non parlare delle orecchie. Fosse vissuto solo qualche decennio dopo, avrebbero fatto morire d'invidia il Signor Spock.
Era la fine degli anni'50, in quella piccola città fra nebbie dense come il mosto, e nugoli di zanzare a prova di contraerea. Così lontana dal caos delle metropoli, ma a un tiro di schioppo dal mare. Dove, sarà per il fluire metafisico del tempo, sarà per una particolare disposizione della gente a notare cose che altrove sarebbero passate inosservate, anche il più piccolo dettaglio assumeva un rilievo particolare. La nuova cravatta del sindaco. Le calze smagliate della moglie del farmacista. Il viso sbattuto della cassiera del cinema in piazza, che si vociferava arrotondasse con le comitive, subito dopo l'ultimo spettacolo.
Ma torniamo al nostro protagonista. Dicevamo dunque, quei piccoli difetti che in una persona sarebbero stati un tocco di originalità, tratti caratterizzanti che, se ben gestiti, avrebbero anche potuto arricchire la personalità -si pensi alla camminata emorroidale di John Wayne o all'anca sbilenca di Gary Cooper- in un piccione costituivano un vero e proprio handicap. A ben vedere più funzionale che estetico.
Considerato che volare gli riusciva piuttosto faticoso, preferiva di gran lunga deambulare nella zona del centro. Sfiga aveva voluto che, da libero volatile, una natura matrigna lo costringesse per gran parte della sua giornata alla più terrena condizione di animale da cortile.
Molto pio, fin da piccolo passava gran parte del tempo nei pressi del sagrato della Chiesa. Anche se prediligeva la zona dell'oratorio. Le giornate trascorrevano così, fra le lezio
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