Si svegliò di soprassalto, stordita da quello che doveva essere cloroformio. La voce dall’altoparlante risuonò fastidiosa.
“Spero che tu abbia riposato a dovere”, disse.
Savina si guardò attorno, in cerca della voce che le stava parlando. Era una voce alterata. Davanti alla bocca chiunque stesse parlando doveva avere uno strumento per modificare il suono della voce.
“Chi sei? Dove sei? Non riesco a vederti. ”
La voce rise divertita.
“Non puoi farlo, ma io posso osservare te. ”
Savina non disse nulla. Sperava solo di star sognando. In caso contrario avrebbe dovuto trovare una via d’uscita.
Fu in quel momento che mettendosi in piedi, si accorse del posto in cui era.
Appoggiò le mani al vetro freddo e guardò davanti a lei: terra, solo ed esclusivamente terra.
La voce si fece risentire e dopo una breve risata, disse: “Ti ho seguita in questi mesi. ”
“A sì? ” domandò lei spaventata e irosa allo stesso tempo.
“Sei maledettamente bella, eppure non hai mai un uomo accanto a te. Sai dirmi come mai? ”
“La bellezza non è tutto. ”
La voce rise nuovamente.
“Ma a te non manca neanche il resto, Savina. ”
Vi fu un breve silenzio. Poi la voce riprese a parlare.
“Tu hai paura di stare con qualcuno perché temi di affezionarti troppo, e di soffrire. ”
Lei non rispose.
“Non hai amici all'infuori dei colleghi di lavoro, ti alleni da sola e abiti col tuo cane. ”
“E allora? ”
“Ti alleni bene. I pantaloni che porti rivelano i muscoli delle gambe”, continuò dopo una breve pausa. “Per cosa ti alleni? ”
Savina sorrise di scherno.
“C'è qualcosa che non va anche in questo? ”
“Ti alleni per un motivo ben preciso, e lo sappiamo entrambi. ”
Lei rimase in silenzio.
“Che cos’è che vuoi? ” domandò finalmente.
“Voglio che tu esprima la tua intelligenza. ”
Dopo una piccola esitazione, la donna istintivamente guardò in alto, come se stesse parlando con una voce superiore, e domand
Sapevo di non essere conosciuto ma nonostante ciò avevo paura di essere scoperto anche perché era la mia prima volta. Ed avevo ancora sete. Sete di sangue, puro sangue. Gli animali erano la mia preda affinché me ne resi conto finalmente della vera potenza che dava il sangue umano. Non sapevo cosa fossì e nemmeno mia madre ne sapeva fino alla sua morte. Lui l'aveva ucisa con tanto sangue freddo e crudeltà che non potevo credere che io ero riuscito a scampargli. Lui era alto, robusto e con un viso senza età ed era mio padre, almeno da quello che mia madre mi raccontò quando avevo 5 anni. Anche io come Lui ero alto e senza età, ma una creatura in forma umana che si nutriva di sangue.
Dopo aver morso quella povera ragazzina ed aver condannato a morte mia madre dovetì nascondermi in una chiesa al margine della città. Ormai non avevo più paura paura delle croci anche perché ogni sera stavo nel cimitero ad ascoltare il mio Protettore. Lui sapeva che ero un figlio del Diavolo mandato a diffondere il Male nel mondo ma io non ne ero ancora a conoscenza finché in una sera se ne uscì con questa discussione.
''Tu sei figlio del Male ma ormai non importa anche perché Dio ha perso la battaglia contro di esso tanto tempo fa. Da quanto vedo sei sorpreso ma è così. Non tutti i parroci vogliono ammetterlo perché pensano che ci sia ancora una speranza ed anche perché verranno bruciati sul rogo, e per un parroco di ''fama'' è umiliante. Tu, come tuo padre sei molto forte e neanche te ne rendi conto, ma non devi ancora nutrirti del sangue umano. Saprai quando sarai pronto. Il sangue umano è pieno di energia vitale e peccati ed è proprio per questo che il Male prospera in questo mondo che da tempo non ha più fiducia in se stesso figuriamoci in Dio.''
Io taci per tutta la notte ed ascoltai le sagge parole del mio Protettore.
Una folla strabocchevole ha appena assistito al volo della Colombina ed al corteo storico, momenti, questi, che aprono ufficialmente il periodo carnevalesco a Venezia.
Ora, gradatamente e confusamente, la gente sta lasciando piazzetta S. Marco confondendosi con coloro che non sono riusciti ad arrivare sotto il campanile ed hanno seguito, in posizione meno favorevole, la discesa della “Colombina” dalla sua sommità fino alla loggetta di Palazzo Ducale, dove è in sua attesa il “Doge”, pro tempore, della festa.
Si è rinnovato, così, in chiave più moderna e spettacolare l’antico rito propiziatorio del volo della colomba, che era costituito da un grande involucro a forma di colomba, pieno di coriandoli che veniva fatto “volare” dal campanile alla torre dell’orologio. Appena giunto a destinazione la “colomba” si rompeva e tutti i coriandoli si spandevano per piazza S. Marco. Il modo con cui essi volavano era oggetto di pronostico per l’andamento dell’anno a seguire.
A fatica raggiungo piazza S. Marco, dove prosegue la cerimonia dell’apertura del Carnevale, con la sfilata delle maschere ed altri spettacoli proposti da un palco allestito all’estremità della piazza, opposta alla Basilica.
Il pomeriggio trascorre così per alcune ore, immerso nello spettacolo più genuino, colorito e multiforme costituito dalle innumerevoli persone assiepate nella grande piazza.
Veneziani di ogni età che hanno indossato gli antichi costumi, quasi tutti di foggia settecentesca, sontuosi e ricchi in ogni particolare o dei costumi originali, preparati con cura e maestria, con i quali dare sfoggio alla loro fantasia creativa.
Non è raro, nell’incontrare coppie o gruppi di persone in “costume”, rivivere idealmente un momento degli sfarzi carnascialeschi della Venezia del ‘700.
Quanta magia ed anche quanto mistero sono legati al carnevale veneziano, celebrato in tante opere letterarie ed in tante rappresentazioni pittoriche.
Dopo una g
Allegria! Felicità! Gioia! Perché rovinarsi la vita?
Al mattino, tutti gli spiacevoli ricordi della notte precedente si erano dissolti, lasciando la mente fresca e riposata.
Mary si affacciò dalla finestra per guardare il solito ma meraviglioso paesaggio delle Highlands scozzesi. Stava arrivando l'autunno, la sua stagione preferita. Tutto si tingeva di quell'arancio autunnale. Anche l'aria; anche la sua anima.
Adorava, la sera, distendersi sul divano con addosso la coperta della sua vita, davanti al caminetto. Lì tutti, persino i suoi piccoli fratelli, Paul, Frederick e Vincent (sì, era l'unica femmina), diventavano dolci, e gentili, anche se non lo erano.
In autunno, la pioggia non la deprimeva. Di solito.
Perché non sapeva, quella mattina, che di lì a poco sarebbe tornata nella più misera disperazione, e che ci sarebbe stato un alternarsi confusionale di gioia e infelicità per giorni e giorni, fino ad un evento inaspettato. Ma procediamo con ordine.
Dopo pranzo, si era messa nel salottino vicino al salone per fare qualcosa. Qualcosa di importante. Sebbene non le dispiacesse leggere quei libri un po' stupidi che trovava nel palazzo e disegnare i tipici paesaggi scozzesi, provava ribrezzo al pensiero che potesse fare solo ciò nella vita. Oltre a sposarsi, e avere tanti belli (o brutti) bambini, ovvio.
E così si era rifugiata lì, immobile sulla poltrona, in cerca di un'ispirazione su cosa fare. Stava per venire, la sentiva, tendeva le orecchie alla ricerca di un segno... ma facendo questo sentì solo rumori fastidiosi: la nonna che russava, Paul e Frederick che litigavano, le domestiche che sparecchiavano la tavola facendo confusione con l'argenteria, qualcuno che camminava pesantemente.
Non le piacevano quei rumori. Le provocavano irritazione. E non finivano mai. L'ispirazione, se mai ci fosse stata, era svanita. Poi Vincent, che aveva quasi la sua età, entrò nella stanza. Non era propriamente antipatico, ma in quel momento quasi lo detestò.
Mentre viaggiava sull'autostrada Lea pensava a tutte quelle giovane donne sparite, le sembrava strano, tutte in quei luoghi che lei stava attraversando, tutte dopo l'imbrunire; aveva paura, sperava di arrivare dalla cugina prima che la luna diventasse alta nel cielo, ma era partita tardi da casa, cercò con la mente il ricordo di qualche motel sulla sua strada, non voleva rimanere da sola, avrebbe affittato una camera per le ore notturne. Ecco in lontananza si intravedeva l'insegna del motel, Lea pigiò il piede sull'acceleratore, desiderava arrivarci il prima possibile, ma all'improvviso la sua macchina non rispondeva più ai suoi comandi, per quando Lea tenesse stretto il volante, la macchina sterzava verso sinistra, ci fu un bel sobbalzo e la macchina, a velocità elevata, scavalcò la cunetta che delimitava la carreggiata e si inoltrò nella boscaglia. Lea teneva il piede sul freno, voleva fermare quell'assurda corsa, ma la macchina non rispondeva ai suoi comandi, il panico si impadronì di lei, non sapeva cosa stava succedendo. lL'auto continuava a viaggiare a zig-zag evitando gli alberi e gli arbusti fino ad una radura dove si bloccò letteralmente, Lea uscì dall'auto, si guardò intorno, che posto lugubre, spianato, senza vegetazione, c'era uno strano odore nell'aria e poi all'improvviso, al centro della radura una colonnina sbucò dal terreno e si innalzava in quella oscurità. Quando tutta la colonnina fu emersa per circa un 2 metri di altezza, emise una luce bluastra che illuminò tutto intorno. Lea si accorse di non essere sola, c'erano altre auto, e donne che come lei si guardavano stupite, Lea ebbe un conato di vomito e istintivamente calo il capo per vomitare, in quel mentre un raggio rosso attraversò tutta la radura investendo con la sua luce tutte le donne. Lea alzò il capo, passò la mano sulla bocca amara come per pulirsi dopo aver vomitato e si rivolse alla donna a lei più vicina, ma guardandola ebbe paura, quella donna aveva gli occhi strani
[continua a leggere...]Era notte fonda,
magari le due o le tre,
mi è sembrato di fare uno strano sogno;eravamo
assembrati in una enorme valle, e
annunciato da squilli di tromba,
mi sono visto presentare alla folla;
io, dapprima sbigottito, poi incuriosito, ho
chiesto:- perché volete che vi parli? ,
allora in coro, la pletora tutta ha strillato: Dicci un nome!
Em…ma…io, veramente, non so, non saprei proprio;
ma se proprio insistete,
ma se proprio devo enunciare pubblicamente…
allora che ella sia e ho detto il nome : (ma non me lo ricordo più )
Mi divincolai dalla morsa di Morfeo quando le luci del Casinò di Sanremo avevano lasciato il posto a quelle pigre della prima parte del mattino. Avevo la bocca impastata, le gambe pesanti ed un fortissimo mal di testa. Quest'ultimo causato sia dall'enorme quantità di alcool ingerita prima di addormentarmi (una Vodka, una bottiglia di Vino, due Birre, un calice di Champagne, due Cognac, Amen), sia dalle due ore di sonno passate seduto su uno sgabello con la tempia appoggiata sul muro.
" Signore deve andare. La sala da gioco ha chiuso un'ora fa'."
La vecchia signora che mi rimproverava con un marcato accento genovese passava lo spazzolone tra le roulette e le macchine del videopoker. Con la sua espressione corrucciata e le sue spalle curve, sembrava portare il peso di tutto quel mondo frivolo, fatto di champagne e di soldi facili, che aveva animato quelle sale fino a qualche ora prima.
" Me ne vado. Me ne vado subito. Scusi tanto. È stata una serataccia."
" Vuole che la compatisca? Quanto ha perso? Mille? Duemila?"
" Duemila e Cinquecento."
" Ne vedo tanti come lei. Fate i bastonati come se aveste perso per colpa di qualcun altro. Che ci venite a fare qui a San Remo? È il Casinò che vince sempre."
" Mah... signora.. è una storia lunga."
" Bah.. che non son mica fatti miei. Tanto lo so già che tornerà. Lei ha la faccia di quelli che tornano."
" Non credo che tornerò. Beh.. la saluto."
"..'giornata."
" Speriamo."
Mi alzai dallo sgabello e aggiustai lo smoking che avevo affittato per l'occasione. Tra lo Chemin de Fer, il noleggio dell'abito, i drink, la benzina e tutto il resto, la trasferta sanremese mi era costata più di tremila euro. Praticamente due stipendi mensili.
Andai verso il bagno per lavarmi la faccia, ma quando infilai le mani in tasca trovai una sorpresa. Piatta e rotonda, una fiche da 50 euro era sopravvissuta alla debacle appena consumata e riposava beata dentro ai bei pantaloni neri del mio abito di lana leggera.
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