Stellina la rassicurò di nuovo, dicendole che era un complimento e quando capiterà l'occasione, l'aiuterà lei a conoscerlo. Parlando il tempo passò velocemente, così arrivarono a scuola, entrarono in classe e Stellina si presentò come nuova alunna senza problema. Cominciò a conoscere le compagne con accanto Azzurra, un po'in imbarazzo come al solito, che cercava di comunicare le sue emozioni e le sue idee con lo sguardo, ma forse non bastava.
Poi sedute l'una vicino all'altra iniziarono le lezioni, ma loro continuarono a parlare.
Stellina disse: "Spero di aver fatto una bella impressione come loro l'hanno fatta a me."
" Certo che hai fatto una buona impressione!"
" Cosa ne pensi di Elexa?"
"Non la conosco molto bene, ma penso che sia una ragazza dolce e sicura di sé."
"Lo penso anch'io, infatti è lei che mi ha colpito di più."
"Poi c'è Miki la più vivace, Alice che è semplice, ma in fondo sono tutte molto simpatiche e gentili come i ragazzi."
Arrivata l'ora dell'intervallo, Stellina si unì alle compagne che parlavano e anche Azzurra trovò la forza di avvicinarsi ed entrare nei loro discorsi. Cominciò così a conoscerle meglio e a vederle di più, poiché certe volte usciva con loro a mangiare la pizza, al cinema a vedere film e in discoteca a ballare.
Un pomeriggio, invitò a casa sua Elexa, per studiare un po' insieme e andare a fare una passeggiata, scambiarono qualche parola e si divertirono molto. Insomma era bastata la presenza di Stellina, per buttare giù una parete di ghiaccio tra lei e i compagni, facendo provare ad Azzurra, le emozioni di vivere accanto ad amici che le vogliono bene.
Ormai era passato quasi un mese dal giorno del suo arrivo e visto che Azzurra quella mattina era più carina del solito, Stellina decise di farle conoscere il ragazzo che le interessava. Aveva una pettinatura particolare, un vestito speciale e un leggero trucco che la faceva perfetta. Salirono sull'autobus come al solito e notarono che era solo cos?
All'incrocio tra via Mazzini e Piazza Trento Trieste i loro sguardi si incrociarono.
In quell'eterno istante tutto si fermò.
Poi successe qualcosa ed ecco che l'inseguitore incominciò a inseguire l'inseguito.
Uno dietro l'altro di corsa su per via Mazzini poi giù per Pelagio Pelagi e in fondo a sinistra per via Massarenti.
Tra i due la distanza rimaneva sempre costante: 20 metri che diventavano a volte 12 e a volte 33.
Ogni tanto l'inseguito si voltava indietro per guardare l'inseguitore, per vedere se nei suoi occhi continuasse a esserci quella voglia di inseguire.
L' inseguitore, a sua volta, approfittava di quei momenti per guardare gli occhi dell'inseguito, voleva capire se in essi c'era l' intenzione di continuare a scappare dall'inseguitore.
Arrivarono a porta San Vitale.
Entrambi erano stanchi e sudati ma ciò era l'impressione che poteva avere qualcuno che li guardava da fuori poiché in loro non c'era il minimo segno di stanchezza.
Era da tanto tempo che aspettavano questo momento e adesso che erano così vicini dal raggiungerlo avevano perso contatto con il mondo reale. Erano entrati in un mondo tutto loro (dove la fatica e i problemi non esistevano) e in esso avevano scoperto energie mai immaginate prima.
Nel frattempo erano arrivati in piazza Aldrovandi dove l'inseguitore aveva svoltato a destra, giù per Giuseppe Petroni.
Le persone per strada non si rendevano conto di cosa stesse succedendo. Vedevano correre un uomo e quando passava l'altro si erano già dimenticati di aver visto passare il primo.
In Piazza Verdi l'inseguitore stava per girare a sinistra in via Zamboni ma vedendo che c'era una manifestazione decise di proseguire dritto fino a via Indipendenza dove una volta arrivato la tagliò imboccando via riva Reno.
L'inseguitore aveva perso terreno, non lo vedeva più ma sapeva benissimo dove era passato.
Sapeva che non era andato su per via Zamboni a causa della manifestazione ma sa
Lo sai quando ti mancano le forze dopo l'ennesimo antibiotico che ti abbatte come una sega elettrica alla base l'albero. O anzi no, si insinua come virus all'interno del computer. E vuoi dormire, ancora riparato ma senza riparo, chissà per quanto. Malato con malato accanto, che forse non si tratta di depressione ma di sensazione. Di spreco energetico vitale, di mancanza di esperienza, come lasciato mozzarella nel frigo, che sei andato a male. E poi rido di follia e piango senza aver più contatto con questo sentimento che è nella stessa medaglia.
E continuare a scrivere per sentir le dita muovere, ma intorpidite, e gli occhi verso il videoschermo che piccini piccini cercan di resistere. Che non ne posso più di questo andare, già da questo istante, che meno male la musica mi salva. Perchè so che dentro di me, come in te, tutti i suoni del mondo. E coloro che ridono lassù vedendoci così fragili e semplici, che ormai ci controllano in ogni virtù e vizio. Aho! Può scendere qualcuno per far due chiacchiere? Altrimenti comincio a gridare. Lo avete voluto voi.
Ascensore! E sento ancor ridere e piangere sempre più forte l'umore della vita, l'amore e la morte. Ascensore? Che non arrivo nemmeno al pulsante, anzi, il pulsante non c'e' più. Questi ascensori moderni si chiamano come con una preghiera, a sistema spirituale e vocale, fin quando ci sarà ossigeno per poter respirare. Ma talmente afono sono, ecco in arrivo un montacarichi! Tutto lampeggiante, avrò risposta al mio grido, arriverò al cielo per ballare sulle nuvole? Mi ci accomodo sopra.
Cavolo, ma non mi porta su, stò finendo verso il centro della terra. Un neutrino mi pizzica l'orecchio. Mi è entrato dentro ci vorrebbe uno stecco. Passo gli strati tra detriti, rifiuti, insetti, e poi sento la botta. Rimango schiacciato come una frittata ho toccato il nucleo della terra. Mi stanno mangiando a Parigi. "Monsieur, votre crèps c'est ca. Un euro, merci! E mi mastica con dei denti, fosse almen
M'ero alzata presto, quel giorno, perché la mamma aveva detto che la signora Melchiorri gradiva la puntualità. La mamma era già sveglia. In una nebbia che invitava al sonno, o almeno così pensavo mentre tiravo fuori la macchina dal garage, guidai per mezz'ora tra rade tonalità, cercando di soffocare gli sbadigli. Il corpo era asservito all'assopimento, ma il dovere diceva tutt'altro.
Perché dovessimo pulire da cima a fondo la casa di una riccona che il giorno dopo sarebbe partita per le vacanze, era cosa che, credo, neanche alla diretta interessata era dato sapere. Ad ogni modo, ci demmo la buona volontà con uno sguardo e cominciammo a dividerci i compiti: la mamma iniziò col vasellame, e io con l'argenteria.
Non fu sconforto quello che mi prese quando vidi le enormi vetrine che occupavano un'intera parete, ma, piuttosto, la sensazione che il tempo si fosse, o si sarebbe, fermato. Stavo pulendo il candeliere più grande, quando le sue tre cavità s'illuminarono all'improvviso. Pure, non c'erano candele: e, ad ogni modo, un candeliere non s'accende da solo. Possibile che mi fossi già addormentata? Sperai di starlo facendo in maniera perlomeno decorosa.
Se stavo dormendo, notai, conservavo però la posizione verticale, come mi accorsi immediatamente, il che era piuttosto insolito, considerando che di solito non mi faccio mettere le redini. Poi sentii una voce a me molto vicina che mi chiamava ripetutamente: - Rebecca! Rebecca! -
- Eh? - girai la testa, per quel che poteva valere.
- Qui! Nel candeliere! -
Normalmente l'avrei considerata una frase piuttosto strana, ma, dato che ero certa di star sognando, cos'avevo da perdere? Guardai il candeliere che, nel frattempo, era diventato lucido e splendente - fosse stato sempre così facile! -, e vidi una figura che si librava sopra di esso, avvolta in una luce verde, forse fosforescente. Somigliava a un essere umano, benché il naso, la bocca e le mani lo smentissero.
- Posso esaudire i tuoi desideri, se lo
Niente andava bene, e spesso, il ragazzo di cui vi parlerò ripeteva questa frase: " Scommetto tutto quello che ho che se io morissi domani a nessuno dispiacerebbe".
Viveva in una casa da sogno, dove aveva tutto ciò che desiderava, compresa la servitù che lo riveriva in tutto e per tutto, forse proprio questo agio lo aveva reso consapevole della sua fortuna e per questo era sempre gentile e disponibile con tutti, come se dovesse sdebitarsi.
Entrambi i genitori erano sempre via per lavoro, quindi passava gran parte del suo tempo da solo in camera a scrivere bellissime poesie e racconti, che però nessuno leggeva.
La sua grande timidezza aveva fatto si che non avesse amici veri, ma solo conoscenze, e quando si è quasi maggiorenni e non si hanno amici l'unica compagna che si può avere è la solitudine.
La sera era il periodo più duro della giornata, perchè, come diceva anche Foscolo, porta alla mente emozioni che si possono collegare alla pace, ma anche alla morte, in quel periodo della giornata questo ragazzo scriveva tantissimo, senza fermarsi fino a che non si addormentava sul foglio. Era ormai un po' di tempo che scriveva riguardo alla sua voglia di vedere la rezione delle persone a lui care nel caso in cui morisse, stava diventando un'ossessione, voleva vedere chi avrebbe pianto per lui.
Una sera stava per finire l'ennesimo racconto sull'argomento quando senti una delle cameriere piangere a dirotto nella sala adiacente alla sua, la camera da pranzo, corse per vedere l'accaduto e trovò la donna con la testa chinata sul tavolo mentre singhiozzava, gli chiese cosa aveva ma non ebbe risposta, notò sul tavolo un giornale aperto e quando lesse il titolo dell'articolo che la donna stava leggendo gli si gelò il sangue nelle vene, parlava del figlio di due noti personaggi della città morto suicida, e dalla foto non c'erano dubbi, era lui!
Dopo i primi istanti di sconforto capi cosa stava succedendo, il suo desiderio si era avverato, lui era morto e
Non c'era risposta però dato che non ricordava nulla, nemmeno di essere stata in cima alla montagna. Con la mente assai perplessa, decise poi di lasciare quella stanza ed entrare in quella accanto, spinse la porta socchiusa e scoprì che c'era un bagno. Notò subito i sanitari, una vasca grande, una doccia e degli armadietti, come al solito impolverati. Provò ad aprire il rubinetto, per vedere se c'era acqua e ne uscì qualche goccia che osservò, ma appena distaccò gli occhi si ritrovò in mezzo al mare. Seduta sugli scogli ammirava il tramonto, il sole era una palla di fuoco rossa che scendeva nel mare e dardeggiava i suoi occhi, mentre piccole onde spumeggianti sbattevano contro gli scogli e i gabbiani volavano e cantavano nel cielo sereno.
Dispersa nell'immensità che aveva attorno, voleva avvicinarsi alla spiaggia, ma ormai era buio e non si accorse della nuvolosità che arrivava, finché con il vento e la pioggia, il mare fu in burrasca. Violente onde la travolsero e finì in mare, cercò di restare a galla, ma non ci riuscì e finendo sott'acqua vide che vicino c'era uno squalo. Anche se era spaventata, si fece forza e tirò fuori la testa dall'acqua, ma sentiva la mancanza d'aria. Così respirò profondamente, chiuse gli occhi per un istante e si ritrovò nel bagno della casa abbandonata, senza ricordarsi nulla di quanto era accaduto.
Uscì poi dal bagno ed entrò nell'altra stanza, dove c'era un letto matrimoniale con una testata di ottone antico, dei mobili e un bellissimo specchio, ma un attimo dopo si ritrovò dispersa nella savana. Sorpresa osservò quell'ambiente avventuroso, con erbe alte interrotte da giganteschi bao-bab, boschetti di mimose ed acacie. A qualche metro da lei c'erano poi diversi animali: giraffe, leoni, elefanti, iene, sciacalli, gazzelle, rinoceronti, zanzare, cavallette, tigri, leopardi e altri, tutti occupati a procurarsi il cibo per sopravvivere. Nessuno si accorse di lei eccetto una piccola scimmietta dal tenero aspetto che
"Manda il ragazzo, per il caso Ferranti" aveva ringhiato il direttore al caporedattore, "... così..." ma non ero riuscito a sentire il resto. Probabilmente voleva dire che in questo modo si sarebbero liberati - per manifesta incapacità - di un ennesimo pivello. I colleghi me l'avevano detto, che questa era una prassi abituale, in quel giornale: affidare ai novellini un caso disperato. Se ce la facevi, voleva dire che eri proprio in gamba, o almeno che avevi culo, il che non guasta mai, quando si cercano le notizie. Se - cosa molto più probabile - fallivi, avevano buoni motivi per farti fuori.
Io avrei preferito dedicarmi ad altro, ma - come ultimo arrivato - non potevo certo rifiutarmi.
Il caso Ferranti era una storia strana: non si sapeva neanche se definirlo un caso di cronaca o di costume. Ad ogni modo, i fatti erano questi.
Il gestore di un albergo a ore, prospiciente il parco fluviale, aveva comunicato alla polizia che una coppia di anziani, un lui e una lei intorno ai sessant'anni, non erano più usciti dalla camera che avevano chiesto il giorno prima per un paio d'ore, e non rispondevano al telefono. Sapeva bene di rischiare una multa salata per non aver loro chiesto i documenti, ma temeva di andare incontro a guai peggiori se non fosse stato lui stesso ad informare le autorità.
All'arrivo degli agenti era entrato con loro nella camera, dove i corpi dei due amanti giacevano senza vita, nudi, abbracciati, apparentemente senza ferite, con una specie di sorriso sui volti ormai cadaverici; entrambi avevano le labbra aperte, come se stessero parlandosi nel momento della morte. Sul comodino, dalla parte di lei, un pacchetto di sigarette con l'accendino, ma non vi erano cicche nel posacenere e non si sentiva odore di fumo.
Furono fatti subito i rilievi del caso, prima per verificare la possibilità di un assassinio, poi - mancando ogni indizio che potesse portare in quella direzione - di un duplice suicidio. Anche questa ipotesi però non era suffra
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