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Racconti sulla tristezza

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La sofferenza di Roberta

Roberta 40 anni, sposata con Enrico, due figli Riccardo di 14 e Paola di 6, Roberta purtroppo malata di tumore al seno.
Tutto incominciò con una ciste che lei scoprì facendosi il bagno, quindi andò dal suo medico che gli fece fare mammografia ed esami di controllo e routine: " e le disse sicuramente non sarà niente di grave".
Ma gli esami e la mammografia purtroppo non dissero quello, così incominciò a lottare, venne sostenuta e accudita dal marito e dai figli, fino al giorno dell'operazione, le venne asportata una parte del seno.
Quando si vide allo specchio e vide il segno della cicatrice, si sentiva mancare qualcosa, una parte di donna che se ne era andata.
Poi incominciò la chemioterapia e gli caddero i capelli, che lei adorava erano biondi e lunghi, che lei copriva con una parrucca o un fular.
Sul suo viso gli leggevi la sofferenza e il dolore che provava, e per chi gli stava accanto la rabbia di non poter far nulla, per toglierne un po'.
Entrare in ospedale per fare la chemioterapia passando in quel corridoio e vedendo la faccia della gente, che viveva la sua stessa malattia ti faceva venire un nodo alla gola e una fitta al cuore, ma chi la accompagnava doveva essere coraggioso e forte.
Lei entrava in quella stanza apparentemente tranquilla perché ormai c'era abituata, ma quando usciva vedevi la stanchezza e la sofferenza che provava.
In quel reparto vedevi anche persone che si facevano coraggio l'un l'altra, Roberta probabilmente è stata una delle fortunate perché il suo tumore era piccolo ed preso in tempo, ora va ogni tanto a fare i controlli, e i medici che la seguono le dicono che tutto procede bene.

   2 commenti     di: daniela


Dedicato a Te

04/08/2012

Esattamente un anno fa
mi si spezzava il cuore,
come di cristallo,
cadeva ai miei piedi
e si frantumava in mille pezzi.

Esattamente un anno fa
l'anima mi veniva strappata dal corpo
e rimanevo ferma, immobile
a fissare il vuoto
o semplicemente a guardarti da lontano
allontanarti da me.

Non ho mai capito
perché la Morte, tutto a un tratto,
ci porta via le persone a cui più teniamo
o quelle di cui non possiamo fare a meno.
Lasciandoci qui, soli ed inermi, senza saper cosa fare.
Non ho mai accettato questo destino,
e non lo accetto tutt'ora.

Ritorni, mia cara Mamma, nei miei sogni.
Dalla tua bocca non esce una parola, mai,
ma mi parli con gli occhi,
così lucenti e caldi e con i tuoi sorrisi meravigliosi...
Così capisco che lì, ovunque tu sia, stai bene
e lo sento, quando mi sussurri nell'anima, mentre piango,
che non devo farlo, non devo essere triste,
perchè stai bene e sei felice.
E allora mi calmo.

A volte però non mi basta,
perchè vorrei sentire il suono della tua voce,
chiederti consigli, sapere la tua opinione se sto facendo la cosa giusta o quella sbagliata.
Sento sempre la tua presenza accanto a me
ma non posso toccarti, non posso guardarti.
Quello che mi dilania il cuore è il fatto che non ricordo
di averti detto che ti voglio bene, prima che tu te ne andassi...
e questo mi fa impazzire, mi fa quasi diventare isterica.
Che ti voglio bene te lo ripeto tutti i giorni,
quando mi sveglio ti penso e lo stesso vale per quando vado a letto
ma vorrei semplicemente essere sicura che il messaggio ti arrivi..
e se non posso vedere il tuo sguardo, come posso essere sicura che mi senti?

A volte mi abbatto, semplicemente perchè mi manchi..
mi mancano le cose più semplici di te e la tua durezza di Mamma apprensiva
che poi crollava quando sapevi che c'ero rimasta male..
A volte, invece, il fatto di sapere che stai bene, che stai meglio lì dove sei,
mi solleva e mi fa ritrovare una luce nel mio cam

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   2 commenti     di: Lavinia Pini


Il cinismo

Non é vero, non ascoltare i giudizi della gente, maligna perché, conoscendomi, é stata vinta da una forza più letale dell'invidia, più coraggiosa del vano perseverare: il cinismo. Guardami con i tuoi occhi, giudicami... io aspetto, ferma qui al mio posto; condannami, stimami. Ho detto più volte che la vita é più il tempo della rassegnazione che del riscatto dal destino e che la morte sia la presa di coscienza di una inevitabile necessità, non di un fine, ma di un accidente che si presenta a noi come un tiranno anarchico: ci libera dalle catene della vita, pur affidandoci le sue, ma, in seguito, ci fa dono di una magia così fragile, che io esito sempre qualche secondo prima di scriverla, quanto sfuggevole: la consapevolezza. È questo il motivo in più per continuare a vivere: aspettare la ragione, con la sua bellezza, le sue miserie e i suoi troppi silenzi. La morte é la spiegazione di tutto. Il nulla, il vuoto queste sono le sostanze e le forme con cui noi continuamente abbiamo a che fare. Sarebbe bello trasformarli in pieni. Molte volte mi hai chiesto perché mai io mi sia posta contro tutto e tutti, diventando orfana, esiliata, lebbrosa, negra, gialla e tutti i colori del buio. Vivo clandestinamente nel disperato tentativo di sabotare i doveri. Io voglio! Io sono! Io. Non tu, non loro, ma straordinariamente e irrimediabilmente io. Ed é vero, per emergere, ho avuto una vita difficile, che ha reso fragile e tormentata la mia natura... non sai quante lacrime ho consumato nell'ombra dell'altrui cattiveria, dietro l'implacabile muro della maschera, nell'abbondanza di idee sempre più strane, pazze, surreali, quanta amarezza, delusione, ma sappi che mai ho provato quella malinconica nostalgia, traducibile solo in rimpianto, perché nella nostalgia c'é il voler riavere ciò che si é avuto, é il sentimento della vita che reclama ancora più vita in presenza della non vita, la non vita che é nel passare, nel finire stesso della vita. È rimpianto, é egois

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   1 commenti     di: Luana D'Onghia


Gli occhi di chi ha visto un fucile puntato contro

Durante la guerra'' mia nonna disse: ''Avevo solo dieci anni, non c'era niente per nutrirsi. Quando un giorno ci fu un bombardamento e mitragliarono la strada, uccisero tante vite umane, di cui una cosa mi è rimasta nella mente e la ricorderò per sempre... Scesero dalle caserme abbattute dalle bombe, tutti questi tedeschi con il viso ricoperto di sangue, di polvere. In quel momento non vidi il mio nemico ma bensì fratelli ed esseri umani''
Mi disse.
''Sono arrivati gli Americani, ci hanno portato con loro. Quando arrivammo a casa, avevo appena scoperto di aver un fratello in meno. Il dolore mi sorpassò... È come se una parte di me, se ne andasse via col vento... Lasciando solo un eterno ricordo. Lasciando solo lacrime... Quelle lacrime che ti divorano l'anima, quelle lacrime che non riuscivi a trattenere. Di colpo è come se ti sei ritrovata da sola, ero al punto di urlare, ma non avevo neanche l'energia, la forza di far uscire quel male che ancora mi era rimasto in corpo, suggellato. Come quando dentro ad uno scrigno ci metti qualcosa.
Lì dentro a quello scrigno avevo messo la speranza che svanì di colpo dopo quella giornata intera, che sembrava non passar mai...
Che le tenebre, le cose oscure, avevano preso vita e avevano attaccato la felicità, che se ne stava lì in attesa, guardando tutto il male venire su di noi...
Vedendo tutte quelle lacrime scendere, è come se si fosse aperto il petto... Il bene che provavo per mio fratello non si poteva sostituire con niente al mondo... Dalla finestra, affacciata, guardavo i volti delle persone, senza più un sorriso, senza più quella gioia, quella voglia di vivere che circolava nell'anima. Era una pugnalata al cuore. È come se un fiore appassisce... È come se un colpo di vento viene, e la porta sbatte fortemente... Il rumore della porta, nel momento in cui si sente, ti fa paura e inizia a battere il cuore... Ed a ogni battito era una paura in più. E questo, anche per le bombe, appena ne tiravano una giù

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   3 commenti     di: Martina Di Toro


Una storia come tante

È una storia di periferia, questa. Una storia come ce ne sono tante.
Vite rimescolate, strappate ad un futuro, se mai possa esistere un futuro. Questa storia è successa proprio a me, e solo ora mi rendo conto che sta finendo.
Ho cominciato a morire che avevo sedici anni. L'età giusta per incontrarla, la morte.
Ora che sono al capolinea riesco anche a capire che avrei potuto riconoscerlo quel dannato autobus che stavo prendendo. Voglio dire che potevo aspettarmelo che quello fosse un viaggio senza destinazione alcuna. Giri su se stesso e voli pindarici. Questo era.
Ammetto pure che l'odore di morte lo si sentiva già mentre si aprivano le portiere di quell'automezzo parcheggiato col muso in salita. Erano braccia aperte, all'apparenza; un vecchio cancello arrugginito, nella realtà. Scricchiolava ad ogni giro. Aspettava solo di essere oliato, da me o da qualcun'altra.
Il fatto è che io non l'ho sentito. L'odore, dico. La puzza di bruciato.
Forse c'era troppo fumo o magari avevo le mie cose, quel giorno, e anche un piccolo raggio di sole tra la polvere mi pareva una luce bianca.
Salivo le scalette, mi affacciavo all'interno e vedevo tutto bello. Invece c'era la morte. E che morte.
Non quella classica, onesta, spietata, con tanto di falce. Macché; si era pure camuffata, come per un ballo in maschera
Credo proprio che avesse il dubbio di riuscire a farmela, se solo avessi intuito chi era.
Ero svelta, a quel tempo, di gambe e di cervello. Non ero la solita ragazzina; di esperienze ne avevo già avute. È stato il momento e il travestimento che mi hanno preso la mano.
Una morte che si traveste da angelo, non più tanto giovane ma con la vita ancora negli occhi ed il sangue di un ragazzo. Solo il sangue, però.
Lui mi ha sorriso e quei denti bianchi erano il quadro di una felicità incorniciata. La cornice erano le sue labbra. Io cosa potevo fare d'innanzi a tale bellezza? Dopo quel sorriso s'era scoperchiato il cielo e potevo intravedere l

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   25 commenti     di: Amorina Rojo


Il cruccio della massaia

L'utensile da cucina che sibila scosse i nervi della sua sorvegliante assorta, quasi assopita, nell'osservazione di una specie di limone con la scorza molto grossa, e le scolorì il viso. Lei, che governava con lo scettro quella popolazione gagliarda e ribelle di arnesi dal collo duro e di derrate per molti ospiti, orgogliosa e fiera, si sentì come un asino rinchiuso in un recinto che echeggia di ragli e latrati, tra peli di cavallo moltiplicantisi per cento, da soli, e soffi d'aria calda appena uscita da centinaia di froge appaiate e concordi, su note grottescamente armoniche, come lo scalpiccìo ritmico di un pedinatore.
Alzò gli occhi dal libro dei precetti fondamentali della massaia e guardò l'albero di cachi, i cui rami carichi di frutti gialli e arancioni si protendevano fino a sfiorarle il bucato appena steso, e pensò che ormai erano pronti, come ogni anno, in quell'inizio d'autunno caldo ma non troppo, piacevole dopo la calura estiva, mitigato da leggeri, improvvisi aliti di vento e da voli di nubi bianche, talvolta nere e cupe.
Sì, tutto era come sempre, eppure ogni cosa appariva mutata, meno bella o meno brutta di prima, come se tra le cose e i suoi occhi vi fosse un velo opaco che impediva di godere o dolere appieno di tutto quanto.
Una cataratta lattiginosa e grigiastra s'addensava sul cocuzzolo del monte, poi più giù sui colli ammantati di prati, fino a circondare gli alberi e la campagna, fino all'ultimo pezzettino intorno al pozzo dove sorgevano le prime case come funghi solitari.
Provò pena, ma senza dolore, piuttosto una sorta di contrita malinconia per tutte le cose, per tutto il creato, per una incredibile successione di cose che parevano dimenticate.
Le venne voglia di disegnare le scene dei suoi sogni ad occhi aperti, forme dai colori cangianti come bolle di sapone, aerodinamiche, sculture pronte a spiccare il volo.
Ma lei era solo l'eterna ripetente che l'errore fatale riconduceva punto e a capo, all'origine di un lungo

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Non c'è un senso

Lei.. stava seduta sulla sedia, davanti aveva il pc.. Nemmeno sapeva perchè a quell'ora tarda era ancora li, nel suo inconscio sperava di vederlo entrare, di vedere il nome di lui spuntare all'angolo come sempre.. di vedergli scrivere "Ciao piccolina.."e di immaginare la sua voce che lo diceva.. e la sua espressione dolce.. ma lui non poteva entrare, non adesso, non potevano parlare, ridere, ascoltare le loro canzoni.. Lui era lontano, in troppi sensi, per troppi motivi.. Lei era inquieta, agitata.. avrebbe voluto dormire, sognare di lui.. sognare tutte le cose belle che avevano sognato insieme, che si erano raccontati con dovizia di dettagli.. tante volte.. avrebbe voluto trovarlo ancora in sogno che le stringeva le mani.. che la stringeva forte a sè, quasi a volerla portare tutta nel suo cuore.. sulla loro spiaggia privata, quella che nessuno avrebbe mai potuto trovare.. quella che nessuno avrebbe mai potuto capire.. Un sms.."ci vorrà molto tempo.." Poche parole e il mondo le crolla di nuovo addosso.. quanta paura.."sono un egoista, lo rivoglio, rivoglio il mio piccolino, lo rivoglio subito" non si può, bisogna aspettare, sperare, non perdere la fede.. ma è difficile, i giorni sembrano eterni senza lui, la sua risata, la sua voce.. Lei piange.. patetica, inutile.. sente solo sensazioni che le piagano il cuore.. Vorrebbe solo andare da lui, potergli parlare, cercare di leggere negli occhi di lui il loro amore.. ma non può. Può solo aspettare, sopportare quel dolore immenso e pregare qualcuno o qualcosa che possa riportarglielo. Solo il pensiero di loro insieme può farle sopportare tutto, può accompagnarla nel cammino verso la ricerca del loro amore.

   4 commenti     di: Giada..



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