La strada è buia e silenziosa e, questo, può sembrare un inizio scontato, ma non lo è.
Il primo ed unico personaggio sta camminando. Le sue scarpe nere si mimetizzano con lo sfondo, ad eccezione della linea bianca della suola.
I passi contrastano il suono dei grilli. A parte questo tutto tace.
Ogni tanto qualche soffio di vento scuote i rami degli alberi producendo quel fruscio già troppe
volte sentito.
La luna è coperta da un manto di nuvole scure, ogni tanto qualche lampo illumina il cielo mentre le poche stelle che riescono, con tutte le loro forze, a fare capolino dalla matassa grigia sono spente, poco luminose. Devono essere stelle tristi.
Siamo in estate. A dire il vero è agosto inoltrato ed il tempo non è più quel caldo afoso che ti permette di dormire con le finestre spalancate. Le zanzare però ci sono ancora, quelle non muoiono mai. Il nostro camminatore solitario indossa dei pantaloncini neri un po' sbiaditi e una maglietta grigia, a maniche corte, con un disegno davanti.
I suoi occhi sono assenti, persi altrove. I lineamenti della sua faccia, le sue guance spelacchiate, la sua bocca corrucciata e i suoi zigomi abbassati lo fanno sembrare triste.
Sta pensando alla vita, ai rapporti con le persone, ai suoi amici e al perché è da così tanto tempo che non ha una ragazza.
È stato un sabato sera noioso e nel tornare a casa a piedi non può che lasciarsi andare a pensieri pesanti e malinconici, anche se non è successo niente di nuovo nell'ultimo periodo. Però il nostro ragazzo sa che ha bisogno di qualcosa per tirarsi su, per sorridere veramente come faceva fino a poco tempo fa. Perché possa di nuovo andarsene in giro con la sua biciclettina con la musica nelle orecchie e un bel sorriso senza senso stampato sulla faccia; perché anche una coccinella rossa che cammina sui petali di un girasole possa farlo sentire in pace con se stesso. Il problema più grosso è che non sa di che cosa ha bisogno: forse affetto, forse amicizia, forse amo
L'ultimo ricordo che ha di suo padre è di lei bambina accovacciata davanti al gabinetto, che chissà quale schifezza aveva mangiato e stava lì a vomitare l'anima, e c'era il papà che le teneva una mano sulla fronte e la tranquillizzava. Non si ricorda le parole, ma rammenta il suo tono di voce, pacato e caldo, e lei immagina che le dicesse di non preoccuparsi, che sarebbe andato tutto bene, e magari di non dirlo alla mamma che sennò si sarebbe agitata per nulla che lo sai com'è fatta. Lei stava con gli occhi chiusi, e il tepore della mano sulla fronte la faceva star bene dentro, anche se tutto il fuori le faceva male.
Quindici anni dopo Paola scende dall'auto barcollando.
Si aggrappa allo sportello aperto con entrambe le mani, gli occhi mezzi chiusi e la bocca spalancata a far entrare più ossigeno possibile.
Come se questo bastasse.
È quasi l'alba e l'aria è fresca e frizzante quel tanto che serve a schiaffeggiarle le guance arrossate, si infila sotto il niente di cui è vestita e le solletica la pelle. E pare che le cose debbano andare meglio.
Ma la sensazione non dura che pochi attimi.
Qualcuno parla alle sue spalle, e lei sa di conoscere la voce, ma non riesce a darle un nome né tantomeno un volto. Non prova neppure a voltarsi ma stacca le mani dallo sportello che la sorreggeva e muove un paio di passetti lungo il marciapiede. Le viene da ridere perché improvvisamente pensa alle ballerine classiche in equilibrio sulle punte, e immagina come potrebbe essere divertente vedere uno spettacolo di danza con i ballerini ubriachi quanto lei.
Percorre due metri beccheggiando pericolosamente da un lato e dall'altro, fino a che il terzo metro le è fatale. Crolla sulle ginocchia sul pavé del marciapiede e vomita.
Il suo corpo viene scosso da sussulti ad ogni conato, e neppure si accorge che qualcuno è arrivato di corsa a sorreggerla per le braccia, per evitare che si accasciasse totalmente al suolo.
Dopo qualcosa come due milioni di anni - tanto sembra
Il nostro posto in vita è stato determinato in precedenza,
ma le azioni corrette sono il frutto delle nostre mani.
Il peso è diventato insopportabile. Giornate trascorse a cercare risposte sempre uguali: non puoi, non devi tacere, non puoi far finta di niente. Cammini e cerchi di non pensare, sai di non poter trovare risposte diverse. Cammini fino a sfinirti ma i pensieri sono più veloci dei tuoi passi, ti precedono, sono invisibili ma li senti sulla pelle. Il giorno finisce ma tu sai di non avere via d'uscita. La notte é un incubo popolato da mostri, ombre senza corpi. Sudore, brividi e quel senso di malessere che non dà scampo. I pensieri non hanno bisogno di riposo e se ti addormenti si trasformano in incubi.
Mi alzo dal letto e guardo fuori dalla finestra è notte fonda, una notte piena di luci. Il cielo punteggiato di stelle sembra imitare Van Gogh: mille tonalità di blu si rincorrono, un gioco d'ombre avvolge il paesaggio quasi a volerlo conservare il più a lungo possibile. Forse per difenderlo dalla luce del giorno. Un contrasto impietoso con la sofferenza che mi angoscia. Mi paralizza.
Anche ieri, Francesca, la bambina dei miei vicini é "caduta" procurandosi un livido spaventoso al viso. Un volto spaurito e privo di quella felicità che dovrebbe essere un diritto per tutti, in particolare per una bimba di sette anni. La madre ha cominciato a dare spiegazioni, particolari non richiesti, un intrigo confuso e poco credibile. Lo sguardo quasi implorante incrocia il mio ma non riesco a provare comprensione. Anche il padre sente il bisogno di recitare la sua parte, sgrida la piccola per la sua sbadataggine, ma nel contempo la fa volare e la stringe forte. Francesca ha un'espressione terrorizzata e sembra sul punto di gridare ma non le esce nemmeno una sillaba.
... il rumore del silenzio è insopportabile.
La vedo camminare con lo zainetto insieme alle compagne di scuola. Mai un gesto fuori posto, mai uno sla
Lene: Ti pregooo basta! Non ho più voglia di ascoltare queste stronzate, lasciatemi tutti in pace!
Aveva chiuso la porta della sua camera spingendo con forza la madre e il padre che cercavano di entrare, aveva girato la chiave nella serratura e si era buttata nel letto a piangere. Aveva sempre avuto tutto, apparentemente, soldi vestiti, popolarit?? , bellezza, ma mai nessuno che la volesse bene per quello che era, una giovane ragazza di 16 anni sola in cerca di qualcuno che la guidasse in un percorso difficile. Tutti la vedevano perfetta e lei doveva sempre mantenere quell’immagine, costantemente sotto pressione, sempre al centro dell’attenzione di tutti.
Le lacrime non smettevano di scendere, si sentiva scoppiare, avrebbe voluto urlare, spaccare tutto ma l’unica cosa che riusciva a fare era soffocare il pianto col cuscino. Dall’altra parte della porta i genitori non ci misero molto a smettere di urlare e andare via, credendo fosse solo una semplice arrabbiatura giovanile, ma non era così, Lene era stanca, troppo stanca per continuare a sopportare, così smise di singhiozzare apri il cassetto accanto al letto e come molte volte aveva fatto prese una lametta, si asciugò le lacrime con la manica e poi portando il polso alla lametta si taglio, un taglio profondo più delle altre volte, molto più profondo. Provava dolore ma non era un dolore fisico perché si era tagliata, ma era qualcosa di più profondo, qualcosa che veniva dallo stomaco, si sdraio nel letto e taglio anche l’altro polso ancora di più del primo, poi porto le mani al petto e raccolse anche le ginocchia. Chiuse gli occhi e penso che se ne avesse avuto il coraggio questa volta tutto sarebbe potuto finire e sarebbe potuta finalmente essere felice!
Mamma: Lene dai e tardi ti ho lasciato dormire un po’ di più adesso alzati che hai danza poi devi andare alle prove della recita e dobbiamo andare a comprare un vestitino da invidia per la festa della tua amica …
Ma Lene era coraggiosa!
Non ci si rende mai conto di quanto siamo fragili, finchè non ci si guarda allo specchio. E non è il viso stanco a far la differenza o le occhiaie di cui neanche ci preoccupiamo di coprire o quei capelli che, appena svegli, paiono tanti cactus impazziti. È il sorriso la goccia che fa trabbocare il vaso. È il sorriso che mente, che è fuori posto su quel viso sciupato, vicino a quegli occhi ingenui, inespressivi e lontani. Persi.
Hai fatto più volte la prova davanti allo specchio : ti sei detta < rilassati >, hai fatto un sospiro di incoraggiamento, poi hai cominciato a mentire a te stessa, dicendoti < va tutto bene > e via a sorridere. Il primo esce sempre una smorfia, sempre meglio il secondo che viene spontaneo dopo aver guardato la faccia nel fare il primo. Il terzo è quasi sempre quello più originale, perfetto, a prova di urto di persone, direi. Le lacrime le hai ingoiate a forza, gli occhi lucidi vanno sempre di moda - pensi - perchè cambiano il colore della tua iride e ti rendono irresistibile. Per il rossore, invece, non c'è nulla da fare, tocca tenertelo, puoi sempre dare la colpa all'allergia, ce n'è sempre una in ogni stagione, la scusa è sempre valida.
Okay. Sei pronta per il mondo. Puoi uscire allo scoperto.
La porta del bagno si apre e tu esci come nuova, come una modella che esce dal suo camerino pronta per essere fotografata da sguardi indiscreti.
< Ehi, Ashley, va tutto bene? > Prima occhiata strana, primo sorriso di battuta.
< Sì, certo > Man mano che lo ripeti ti senti più convincente e la recita va avanti senza intoppi. Puoi procedere così per tutta la giornata, i crampi allo stomaco del cuore per la fatica di trattenere le emozioni, denti stretti, pungi in mano, puoi sempre farcela, basta crederci.
Intanto ti consoli pensando a sera : all'esplosione che potrai finalmente avere, alla libertà che ti sarà concessa, lontano dagli sguardi indiscreti, a essere quella che sei, fragile. Persino un po' bambina. E ti sforzi perc
Caro mio, luce dei miei occhi... sono qua che scrivo sotto la pioggia, ferma alla fermata del bus; Avrei voluto chiederti tante cose.. ma io sono troppo debole e stanca per farlo.
La malattia mi sta consumando piano piano e ormai sono allo strenuo delle mie forze...
Spero che questa pioggia, ti ricordi me.. la tua donna per 2 mesi e poi mi hai scaricato come fossi immondizia, solo per il mio handicap che non mi permetteva di parlare; queste parole, anche se non le posso dire, vengono dal cuore e riporto tutto sulla carta affinchè quello che pensavo su di te ti potesse arrivare nella tua buca delle lettere.
Nonostante fossi malata, tu hai abusato di me.. mi hai lacerato l'anima come fossi una mela... e se anche ti chiedevo di smettere tu continuavi imperterrito a picchiarmi.
Ho passato almeno un mese in ospedale... e ogni volta dovevo dire ai medici che ero caduta dagli scaloni... e tu non sei neanche passato a trovarmi.
Ho capito da poco quello che tu sei... un mostro arrogante che si diverte a distruggere le speranze di ogni persona...
Alla faccia tua, adesso sono fidanzata con un uomo che mi apprezza per quello che sono e che accetta la mia malattia..
Ma... se vivo ancora con il ricordo di te che mi butti sul letto, Alzi le tue mani verso di me e subito dopo che sono buttata a terra con solo una coperta addosso e con un agonia strappata, allora preferisco morire...
Infatti... Guarda sta passando un'autobus proprio in questo momento...
(A questo punto si interrompe la lettera)
Durante la guerra'' mia nonna disse: ''Avevo solo dieci anni, non c'era niente per nutrirsi. Quando un giorno ci fu un bombardamento e mitragliarono la strada, uccisero tante vite umane, di cui una cosa mi è rimasta nella mente e la ricorderò per sempre... Scesero dalle caserme abbattute dalle bombe, tutti questi tedeschi con il viso ricoperto di sangue, di polvere. In quel momento non vidi il mio nemico ma bensì fratelli ed esseri umani''
Mi disse.
''Sono arrivati gli Americani, ci hanno portato con loro. Quando arrivammo a casa, avevo appena scoperto di aver un fratello in meno. Il dolore mi sorpassò... È come se una parte di me, se ne andasse via col vento... Lasciando solo un eterno ricordo. Lasciando solo lacrime... Quelle lacrime che ti divorano l'anima, quelle lacrime che non riuscivi a trattenere. Di colpo è come se ti sei ritrovata da sola, ero al punto di urlare, ma non avevo neanche l'energia, la forza di far uscire quel male che ancora mi era rimasto in corpo, suggellato. Come quando dentro ad uno scrigno ci metti qualcosa.
Lì dentro a quello scrigno avevo messo la speranza che svanì di colpo dopo quella giornata intera, che sembrava non passar mai...
Che le tenebre, le cose oscure, avevano preso vita e avevano attaccato la felicità, che se ne stava lì in attesa, guardando tutto il male venire su di noi...
Vedendo tutte quelle lacrime scendere, è come se si fosse aperto il petto... Il bene che provavo per mio fratello non si poteva sostituire con niente al mondo... Dalla finestra, affacciata, guardavo i volti delle persone, senza più un sorriso, senza più quella gioia, quella voglia di vivere che circolava nell'anima. Era una pugnalata al cuore. È come se un fiore appassisce... È come se un colpo di vento viene, e la porta sbatte fortemente... Il rumore della porta, nel momento in cui si sente, ti fa paura e inizia a battere il cuore... Ed a ogni battito era una paura in più. E questo, anche per le bombe, appena ne tiravano una giù
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