Sto aspettando te.
Non so chi sei, e... ne da dove vieni.
Potresti essere lo stesso,
Opurè con un altra faccia.
Da una vita aspetto e cerco, l'equilibrio del mio silenzio.
La pace del mio animo.
Siamo forti e sinceri, ma solo sulla carta.
E mi domando: "Dove è la verità?"
E qui su questo foglio di carta.
Inconsapevole e tuttavia lucida, con la mente chiara senza vergogna.
Vorrei tutto e niente.
Senza affaticare.
E tu, chi sei?
Cosa vuoi?
Niente di quell che mi aspetta.
Il dolore invade tutto il corpo, cerco disperatamente qualcosa su qui sedere. Le forze mi abbandonano. Mi sento debole e molto fragile. Arrivi e tutto finisce. Sono rinnata, sono un altra persona, ma con la stessa faccia. sono felice... spero! La speranza prima di morire.
Vorrei averti conosciuta meglio, quante cose avrei potuto imparare da te se solo non fossi stata così presa dai miei problemi, dal mio lavoro; è un errore che commettiamo spesso e, a volte, troppo volentieri per evitarlo. Ora che l’inverno per te è calato, sento crescere un grande gelo dentro di me, come se con te se ne fosse andata ogni speranza.
Hai avuto una vita difficile ed affascinante, lo so, me la raccontasti quel giorno sotto al portico della tua casa, con la freschezza e l’orgoglio che si crede solo una dodicenne possa avere. Quasi un secolo di vita, chissà se io ci arriverò mai, avevi un cuore grande, ne sono certa, hai cresciuto tuo fratello e per lui hai lavorato sodo, hai visto due guerre e sei stata la prima donna in tutta la valle a superare l’esame per la patente.
Ricordo quel giorno d’estate sotto al tuo portico, la prima volta che ti vidi, mi colpirono i tuoi capelli argentei e lunghi raccolti dietro la nuca, come si usava una volta e i tuoi occhi limpidi come quelli di una ragazzina ma dall’espressione dolce e sincera come quelli di una nonna.
Pensavo di aver tempo per dirti addio, avrei dovuto dirti addio sfiorandoti la guancia ruvida con un bacio, guardando quegli occhi dolci che non mi avrebbero riconosciuto ma forse non sarebbe stato un addio ma solo un arrivederci.
Perdonami zia Angelina se sono stata poco presente nella tua vita, forse è solo perché ci siamo incontrate tardi, quando il fiore dei tuoi anni era ormai maturo, forse è colpa della mia pigrizia o probabilmente le cose dovevano andare come sono andate.
Vorrei tanto poterti abbracciare ma oggi te sei andata e chissà se tornerai a trovarmi, chissà se riuscirei ad aspettarti in quel luogo magico che si trova a metà strada fra il sonno e la veglia ma non penso che verresti, ora hai trovato finalmente un po’ di riposo.
Singolari successioni di nuvole e orecchini a scandire con sconcertante regolarità il tramonto stigeo di comete e canzoni, come una semplice carezza del vento per riduzione al massimo comun divisore. Fantasmi evocati dallo stesso fiume che quotidianamente mi nutre. Sulle cui rive rivolgo preghiere a predatori e camper per veder vomitati piercing rigati sul mio pallore, per vedere dipinti di paesaggi e costellazioni in tinta vermiglia. Eppure forse non sono appetibile, forse non c'è spazio per il mio niente sopra il loro caminetto. Troppo lontano dalle scatole di cartucce crioconservate, al riparo dal tepore dei sussurri e degli accordi major-seven. Dalle facce scavate da secoli di scrivanie e brioche a transitor, rese inespressive dagli abbaglianti dei loro fabbricanti di sogni.
Così aspettano al varco, mimetizzati tra fronde di salici di martirio, in agguato come le serpi spettinate contro cui ci mettono in guardia. Aspettano il momento in cui gli astri, timidi, si rivelano e ci concedono le labbra. Non un muscolo si contrae mentre premono il grilletto e osservano, giurerei con intima voluttà, i traccianti che stuprano il silenzio e il bersaglio designato, lasciando memorie affrescate di fondotinta e malcelata miseria.
Occhi sbarrati che mi fissano, mentre la luce marcisce e nell'ultimo spasmo già intriso di formalina le labbra imprimono il loro sigillo incandescente sulla tavola vergine di un "avrei voluto". Risposte che rovinano al suolo senza riuscire a rischiarare la nostra agonia. Nemmeno una goccia di angoscia che abbia il coraggio di separarsi da me e fondersi al terreno che diviene arido al loro incedere.
Raccolto il prezioso trofeo e aggiunta l'ennesima tacca mi strizzano l'occhio, i sensi eccitati dal fuoco dell'assassinio, il bossolo fumante lasciato a mo' di marmoreo memento da riempire per un brindisi alla mia pena. Poco più in là i loro marmocchi sintetici giocano con le ossa dei miei cadaveri e intonano mantra di noia incosciente.
Ricordo quando ero piccola, quando giravo per strada a manina con la mia mamma, e le persone si fermavano per dirmi che ero carina, che ero una bella bimba, poi mi giravo e li vedevo allontanarsi fino a scomparire.
Gli occhi di quella bambina che vedevano tutto a colori, non vedeva l'immensa cattiveria delle persone.
Ho provato a cercare quella bambina dentro di me, quella bambina che pensava al paradiso come se fosse tra le nuvole e ci fossero mille angioletti, le colombe e tutte le cose belle.
Quella bambina se ne andata, e scomparsa lasciando il posto a un'adolescente che non sa cosa vuole nella vita, che vive i sogni di altri, che non e brava in niente, che non si reputa bella, ne attraente, che non riesce a conquistare un ragazzo, in nessuna maniera.
Al suo esterno e presente solo una maschera, una maschera con il sorriso; All'interno una persona fragile, che piange ininterrottamente notte e giorno, piange perchè non sa se a veri amici, piange perchè non trova il ragazzo, piange perchè a preso un brutto voto, piange sempre.
Magari prima o poi questa persona smettera di piangere, e trovera la via giusta da seguire.
Prese la parola, alzandosi, con la stessa facilità con cui nel locale un avventore avrebbe ordinato una birra. La cosa strana, perché di stranezza si tratta, è che stemmo tutti ad ascoltarlo. Non so cosa ci colpì tutti, colpì non solo me ma tutti gli altri. Forse era la dignità che dimostrava, o meglio, che aveva dimostrato fino a poco tempo fa, come un aroma distante e lontano che arriva al naso. Quello che è sicuro, ci colpì la storia, che di avventuroso non aveva nulla, ma proprio nulla. Io vedo ancora le sue labbra che si muovono, ma non sento alcuna sua parola.
Ma rimane la sensazione, il gusto amaro di quelle parole di una lingua sconosciuta e lontana, esotica e disperata. Non era una storia, era un avventura umana quella che ho ascoltato, un viaggio attraverso una vita che ti toglie tutto, o almeno, così fu per lui. Non tolse soldi, non tolse famiglia, non tolse affetti, ma tolse sogni. E tutto crollò con essi. La sua tragedia non si era consumata così come potrebbe immaginare il lettore; tutti noi, e io non sono da meno, crediamo nei sogni. Se non crediamo nei sogni, o almeno così pensiamo, non è vero: noi smettiamo di credere di lottare per i sogni, di dibatterci nelle difficoltà, nella routine o nella semplicità della vita quotidiana. Noi smettiamo di credere nella lotta, non nei sogni. Ci abbandoniamo cadendo all’indietro a quello che c’è, smettiamo di correre e dibatterci per quello che non c’è. Ma, sapete tutti, non è un abbandono. La voglia di lottare torna, torna spesso, torna cattiva, torna implacabile, specie per chi è giovane e ha vita e speranze davanti a se. Se non torna, se continua a dormire e non c’è modo di svegliarla, se perciò pensiamo di aver abbandonato i nostri sogni, cominciamo a credere nei miracoli, nella scorciatoia, nella vita facile.
E così passano gli anni, i lunghi anni della nostra vita, e quei sogni rimangono vivi e sorridenti, ma sotto terra. Noi abbiamo scavato la buca quando abbiamo lottato,
Piano dondola la sedia
mentre supina e ad occhi chiusi
lascio che la musica si impossessi dell'universo.
Scomparso il mondo, cancellato il giorno, dimenticata la notte...
Fluttuano solo le note come in una danza senza fine,
aggraziate, leggere, evanescenti...
Rosse come solo il sangue della passione,
candide come solo le piume di un angelo,
salate come solo le lacrime dei peccati.
Note che si rincorrono e poi si abbracciano
e combaciano, una all'altra, come due labbra che si sfiorano
si sentono, si bramano...
Come due labbra, si.
Umide, affamate... che si prendono, si muovono, si penetrano.
Sto qui ad ascoltarle... silenziosa, dondolante.
Come ascolterei il sussurro di un dipinto
che racconta, ad una parete immobile, la sua stessa immobile esistenza,
immaginando i suoi invisibili movimenti, le sensazioni, tutto...
Note che si muovono come trasportate da uno strano vento
che mi scompiglia i capelli, mi asciuga le guance, mi mormora storie..
e trascina la mia passione dentro la sua stessa passione,
tingendomi l'anima di rosso
e poi di bianco
e poi bagnandola di sale
e di labbra
e di te...
Ed io dondolo piano...
gli occhi chiusi che ascoltano, cercano, vagano
sulla melodia che mi trascina ancora a quelle labbra che combaciano, una
all'altra,
e che si sfiorano, si sentono, si bramano...
insieme alle note che si immergono, si confondono, si innalzano...
e all'improvviso mi precipitano addosso
schiantandosi su di me, e dentro di me frantumandosi,
trasformandosi in gocce di un caldo, umido sudore...
Ora la musica tace e sulla sua ultima nota grida il silenzio.
Tra le mie labbra la passione,
le piume,
il sale.
E il tuo sapore
Ed eccola qui. Sola, davanti al pc. Gli occhi umidi, il cuore che batte forte... Una frase le ritorna sempre in mente, l'ha studiata a scuola tanto tempo fa, in filosofia. Non le piaceva tanto la filosofia ma questa frase l'ha affascinata, l'ha stregata, l'ha colpita. "La vita è un pendolo che oscilla tra dolore e noia", diceva il buon Shopenahuer. "Già", pensa, "credo che lui avesse capito tutto della vita". Perché oscilla, si chiederà qualcuno? e la felicità? dove la mettiamo? La felicità sta in mezzo. Quando diventa troppa si trasforma subito in noia e quando è assente... Si teme, si piange, ci si dispera. Per motivi futili, diciamocelo, ma tutti abbiamo un buon motivo per essere infelici. Lei ne ha, forse uno, forse due, forse tanti. Forse è lei la causa di tutto, ma non sa come uscirne. E poi si sente stupida, pensa a quelle persone che stanno male, che stanno male veramente, che hanno fame, che hanno problemi fisici, che vengono maltrattati. Lei è giovane, carina. Lavora (e in tempo di crisi...!!!). Ha un ragazzo. Una bella famiglia, con i suoi difetti, certo, ma bella e unita. Ma si sente sempre insoddisfatta. Sa cosa vuole dalla vita e non sa come realizzarsi. Pensa, pensa tanto. Parla, per lo più di supidaggini, i suoi problemi è abituata a tenerseli per sé. Avrebbe voglia di stare abbracciata a qualcuno, ma non ha il coraggio di chiedere un abbraccio. Quanto si è stupidi a volte!!! Si fa le domande, ed è così brava che si dà anche le risposte. A volte si chiede perché ci siano tante persone che parlano, parlano... e invece di sfogare i loro problemi a qualcun altro, non se li tengano per sé. Perché ognuno ha i suoi problemi... Lei, forse, più di quelli che non vorrebbe ammettere a se stessa.
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