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Non avevo più il distintivo, ma conservavo un'infinità di abitudini acquisite nel corso degli anni in cui l'avevo portato. Come il fumatore pentito che si fruga istintivamente in tasca in cerca di un pacchetto inesistente, avevo una gran nostalgia della sicurezza che mi procurava quel segno di riconoscimento. Per quasi trent'anni avevo fatto parte di un'organizzazione che aveva incoraggiato la separazione dal mondo esterno, coltivando l'etica del "noi contro gli altri". Ora ne ero fuori, ero stato scomunicato, appartenevo all'universo degli "altri".
In tutti quei mesi non c'era stato giorno in cui la mia decisione non mi avesse provocato sentimenti contrastanti, da una parte il rimpianto, dall'altra il sollievo di essermi lasciato alle spalle il Dipartimento. La mia attività principale era quella di tenere ben distinta quella che era stata la mia attività professionale dalla mia missione personale. Per molto tempo avevo creduto che le due cose fossero inscindibili. Ma nel corso del tempo mi ero reso conto che uno dei due aspetti, e più precisamente la mia missione, aveva finito per oscurare l'altro. Distintivo o no, io stavo dalla parte delle vittime.

 


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