Il 28 settembre 2012, alle ore 20. 00, un ascensore della stazione Trastevere funzionava. Sì funzionava, ed io l'ho utilizzato. Nell'ascensore vigeva un fetore di urina rappresa e mi sovrastavano scolature varie che, per l'altezza alle pareti, non potevano essere di urina. Mah, mistero. Il secondo ascensore, quello per risalire dal sottopassaggio e prendere il treno direzione Viterbo, non funzionava. Il tasto di chiamata aveva le scanalature riempite di grasso di dita multietnico, modellato da pressioni insistenti e stagionato dopo le calure estive.
Sono salito a piedi con il mio fardello. Mi ci sono seduto sopra. L'Islam che abbondava lungo il binario faceva a pugni con l'afrore di prosciutto rancido. Sotto la pallida luna rilucevano vuote le bottiglie di plastica acciccate di sigarette spente, e quelle di vetro emananti retro-odori di birra sfiatata. I moderni schermi segnalavano "no signal". Ed improvvisamente, inatteso e scuro come una morte ingloriosa, ecco arrivare il treno.