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La sconosciuta

Sui ristoranti nel crepuscolo
c'è un'aria sorda di città,
ma l'ebbre grida che l'offuscano
il vento dissipa qua e là.

Fuori barriera là sul vicolo
l'eterno tedio è il solo re:
qui son le lacrime d'un piccolo,
laggiù un'insegna di caffè.

Ed al di là della metropoli,
con i capelli "dernier cri"
van con le dame belle e i nobili
gli esperti e fatui dandì.

Là sul laghetto i remi gemono,
si sente un urlo e nulla più;
la luna come un folle demone
ride nell'etere lassù.

Del solo amico il volto livido
trema nel calice con me:
egli divien per l'aspro liquido
solo e divino come un re.

E i camerieri sempre cullano
le teste stanche in qua e in là,
fra gli ubriachi guerci che urlano:
"Nel vino sta la verità!"

Ed un'immagine femminea,
- se in carne o in ombra, non lo so -
dietro i cristalli sta, virginea:
saper chi sia nessuno può.

Passa fra gli ebbri lenta e umile,
- con lei nessuno mai non c'è -:
ravvolta d'aliti e di nuvole
ella si siede accanto a me.

C'è in lei il profumo delle favole
di tempi ormai che non son più;
dondolan come un'ala fragile
le piume in lutto in su e in giù.

guardo attraverso il velo torbido
che m'incatena il cuore a sé:
vedo la riva strana e morbida
di un orizzonte che non c'è.

Ed i misteri so degli angeli,
un altrui sole mi si dà,
e giù dell'anima negli angoli
l'asprigno vino se ne va.

Treman le piume come glicine
in ogni sogno ch'io non ho,
fioriscon gli occhi di vertigine
sovra una sponda che non so.

Una è la chiave del miracolo
e in fondo all'anima mi sta:
demone, è questo il verbo magico:
"Nel vino sta la verità!"

 


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