Falce di Luna taglia il cielo
come la spada del guerrieo trafigge un nemico fiero;
dolce è il suo canto
ma atroce è il risultato del suo intervento.
Oh! Dolce Dea, signora degli infiniti
persa nel nero stellato, ti curi dei tuoi sudditi rapiti;
cotanta bellezza ed argentea fraganza,
come l'Amor di una giovine vergine mi da baldanza.
S'illumina di bianco chiarore il lato del monte da te colpito,
mi si strugge il cuore pensando di non essere da te arrivato;
s'insinua il triste presagio di aver fallito l'impresa
di cercati ed averti per me senza alcuna attesa.
Oh! Dolce Dea, signora dell'immenso portale
nulla è risparmiato a me misero mortale;
di carni cadenti e fragili ossa son fatto
e nulla di codesto mio corpo potrà sfuggir dal profondo anfratto.
Mi duole l'anima e mi trema il cuore
viver senza di te mia dolce unica fonte di calore;
cercavo una sorgente per esser illuminato,
e pur di giunger da te, nulla rimasi intentato.
Millenni passaron da quel dì che ti vidi sfavillante e bella,
imperi sono caduti dal tempo in cui mi incantasti più di una stella;
ma or son qui, misero e struggente,
cerco solo un tuo sguardo, anche piccolo e sfuggente.
Ma nulla è dovuto agli sconfitti
perire devono gli afflitti;
mi rimane solo un lieto ricordo
di aver rapito un tuo piccolo sguardo.
Muoio nel solitario rifugio
sognando un dolce riposo;
e fra le le braccia calde di una tenera amante
riposerò nell'infinito andirivieni del tempo, sfuggevole ma costante.