Sapremo
povertà vigliacca e strisciante
dalla nostra pelle stracciarti
così vergine di speranze
appena abbozzate ma vivide;
traccia lo scafo
che di lacrime e addii odora,
scia che discreta ondeggia,
come carezza imperlata di madre,
verso il volto di quella terra
che un giorno immaginammo nostra.
Il bagliore scorgeremo
estasiante e giocoso,
di un'isola di nobile Trinacria
eccoci,
Lampedusa sospesa
timida eppur così fiera,
tra seduzioni di greca e arabesca memoria,
incastonata tra labbra di mare fedele,
custode immarcescibile di storia.
No, per molti di noi,
nulla più sarà di una pagina affidata
al nostro diario del cuore
di onirica lucentezza gravido.
Quante volte gli abissi ci hanno morso,
inghiottendoci impronte di respiri?
Quanto ancora,
null'altro che carne innocente saremo,
umiliata dal denaro fetido
di chi il nostro domani comprò
per regalarlo al risucchio silenzioso
di fondali indifferenti?
Lasciarvi altro non possiamo nè potremo,
che le nostre pupille svergognate
dall'umano egoismo
a voi desiderose di affidarsi
perchè possiate vedere per noi,
pensateci stelle,
fratelli baciati da una via lattea,
nel grembo delle notti più belle;
mai saremo morti davvero
finchè nel nostro serbarci ricordo
vi sarà un uomo che lotta e sogna,
che cessi dei mercanti di morte
l'inumana, ignobile vergogna.