Lembi di terra vergine
a me s'offrono in fazzoletti di ore anonime
inconsapevoli complici
di mani d'ancestrali calli schiave
che mi fuor e saranno
denaro e nutrimento.
Scava
e che il cuore a sentire non s'addestri
le lacrime che scintillar potrebbero
tra occhi ch'odorano
di mesti spettacoli di annientamento
teatralità maledettamente regolare;
perchè la morte, si pensa, non sa far paura
a chi avvezzo è
a occuparsi dell'altrui sepoltura.
Tumulo imbronciato, altero,
schiavo di questo mio vestito nero,
attento a custodire
a guisa d'angoli
di stanze eternamente gementi
i viali delicati e mai sfioriti
di un esile o sconfinato cimitero.
Morte,
di te ancora so soltanto il nome,
che sempre affidi come rovente lama,
ai corpi ghiaccio e consunzione
dei respiri su cui ti abbattesti
e delle loro persone.
Ruggisci, lo so
lacrima celata in un barattolo di cuore
rassegnato fotogramma di memoria,
del bimbo che dovetti sotterrare.
Ali vorrei scorgere in me,
per far del mio dolore un tenue velo,
in cui avvolger le anime
che Dio risucchia verso il cielo.
Signore mio,
la vita mia è veder morire,
e anche per me
la giostra si vorrà un dì fermare,
nelle mie dita infondi
la carezza sublime del divino
perchè da pianti amor possa cesellare
il cuore d'un povero becchino.