Due candidi denti di squalo,
dall'Urbe invernale,
le giornate terse
all'occhio donano.
È un minuto scorcio
che margini d'estate
un po' di quel bianco
si degnan di sagomare.
Davanti il sub-Appennino,
da verde a bruno,
di rado imbiancato,
tutto l'anno riveste
l'oriente romano.
Solo da tal piccolo,
fugace spettro
tanto lontano
che, avvicinandosi,
l'occhio sgomento
un gigante dischiuso stanerà.
Al suo cospetto
tra i monti estivi
un'immane, truce piramide,
riarso deserto di brecce,
sospeso incombe
a noi formiche.
Uno spettro titanico
la nebbia canicolare
allora appena vela;
come avamposto
d'arcano pianeta.
Torna ladro lo spettro;
sottraendo a suoi piedi
parte di tale maestà.
Dell'altopiano è l'inganno,
coronato d'altre dune
tinte d'ocra rovente.
Nel termico letargo,
ricche d'acqua fissa,
di latte laccate,
le stesse dune ingannano.
Alle spalle del colosso
lo spettro riappare,
in forma di vertigine,
all'orrido del Teve.
La Marsica conosce stesso
indomito cono litico,
come traspare nei millenni
La perlacea cuspide
lontana traspare
come avamposto lunare
a ogni tramonto generoso.
Dono d'un fugace spiraglio
al deserto di vita che incombe.