Correva da due giorni...
ventre a terra
fauci spalancate
pelo irto.
Lande sconsolate avea percorse
senza fermarsi
senza soste.
La stretta valle or finiva lì.
Lungo fu l'ululato emesso
prima della salita impervia.
Con balzi poderosi
affrontò massi
di pietra aguzza
tagliente
speroni di roccia le carni laceravano
e le zampe sanguinavano.
Il sole volgeva già al tramonto:
doveva affrettarsi
raggiungere il maniero diroccato.
Una piccola chiave era appesa
alla catena d'oro che portava al collo:
l'avrebbe protetta a costo della vita.
Già aveva azzannato un cavaliere
e l'avrebbe fatto ancora
e ancora
con istinto di lupo.
Si fermò un attimo
solo per decidere la via da seguire
occhi rosso bragia nell'oscurità
e riprese la corsa,
ansimando
stremato
col cuore a martello.
Raccolte le ultime forze
trascinò a stento
il corpo peloso
fin sulla sommità
e la vide!!
Si prostrò a terra
orecchie all'indietro
sottomesso
e attese.
Lei lo fissò negli occhi
lo accarezzò
e la sua mano colse la piccola chiave.
Con essa aprì lo scrigno
che, incastonato in nicchia di roccia,
conteneva il pugnale d'argento.
L'anima che era in lui comprese quel momento
capì che così doveva essere
che era l'unico modo per uscire da quel corpo selvaggio,
da quel corpo di belva.
La mano di lei fu rapida
e
rapida fu l'agognata morte.