Il buio bisbigliante dipinge ancora l'aria, il mare
e l'orizzonte quando cammino sulla spiaggia
a sud della città, poco prima dell'alba,
a pochi passi dallo stagno in cui non temono più il chiasso
le colonie di fedeli, magnifici fenicotteri rosa.
(Che faccio qui da solo? ma no, non sono solo, c'è ancora lei, intrecciata ai gangli della mia anima,
aggrappata al mio strapiombo, vertiginosa pena, mentre provo a intonacare le paure, le domande)
Qui ritrovo la salsedine, sentiero di invisibili respiri,
e l'eterno balenio della risacca, sciabordio dell'acqua
che indietreggia sulla battigia, scavalcata dai grappoli
fragorosi delle onde che si abbattono sull'arenile.
Instancabile canzone di un cielo caduto sulla terra
che ha guizzi d'argento vivo al posto delle stelle.
(È questo il posto giusto per dare tregua al cuore? no, malvagio luogo traditore,
invece di spegnerle riaccendi le geometrie della sua anima che io amo)
Perdo il mio contorno tra mare e terra, tra cielo e mare.
Albeggiano i miei occhi ai primi timidi chiarori.
Sono crocicchio delle strade frastagliate di luce
srotolate sul mare, scrigno di alghe e conchiglie.
Sono cresta di spuma, memoria della sabbia,
acqua, vento, canneto in attesa che sgorghi la mattina.
Sono qui per vendemmiare le ultime stelle.
(Tutto è incantevole, limpido è il cielo, un gabbiano lentamente si allontana,
l'orizzonte si sta incrinando, ha una linea di frattura che mi attraversa il cuore tra lievi scricchiolii,
ma non è niente, è solo il rumore che fanno i sogni spezzati ogni volta che stanno precipitando)