Vedessi come ingabbia la mattina
questo vano teso tra cielo e mare:
la perfezione che infine mi pare
beltà usurata d'una cartolina.
Qui passo i giorni; è un ristagnare lento
di pensieri come nebbiosi banchi
nei tremori d'un corpo macilento.
Ma un faro è ogni tuo scritto: assai mi manchi,
amico. Forse un poco ti stupisce
che tra gli affanni del bestiario umano
si strugga inerme il bipede Gozzano
quando anche la sua penna lo tradisce.
Benché ormai pur la cuoca, il pescatore,
i monti, amori astratti o corrisposti
mi siano estranei quanto l'editore
e il critico, e il mio tono ben si accosti
al resoconto d'un esperimento
scientifico, a una bolla, a un inventario,
tu leggi a fondo e scoprirai che sento
ogni cosa. Il silenzio è il mio diario
insieme a qualche stanco verso. Siedo
senza fuggire dalla mia cornice:
qualche lettura mi rifà felice
di aprire ancora gli occhi. Nulla chiedo
a questa dimensione transitoria;
risposte meno oscure non ho dato
di quelle di colui che ieri è stato.
Sono un figlio perduto della Storia.