Tremolanti di atavico gelo,
lo sguardo a fendere fiumi di rotaie
anonime eppur così sorelle,
a un risveglio non ancor risveglio avvinti.
Scorrono bagliori di sonno non domato,
tra onde di feroci sbadigli
ch' ad autolimitarsi appresero a stento
e l'accecante titolo rubato
a una prima pagina di un giornale
già consunto e mal piegato
un minuto dopo essermi concesso alle dita;
un walkman servirà
per tramortire un'attesa d'arrivo
graffiata ormai
da lacerante consuetidine.
Domande lì buttate e azzardate
all'ombra estranea e impassibile
di un severo controllore:
"come sta sua figlia,
e sua moglie, ha proprio una bella famiglia".
E il convoglio dimenandosi va
tra binari disegnati dalla routine
tra lotterie vinte di un posto a sede
regalato da capricciosa combinazione
e lo sbuffare di nervi ammantato
di colui per cui almen quel giorno
la comodità ha colore
sol di inafferrabile sogno.
Per una scia che si diparte di luci intarsiate
da nascenti fatiche di studenti e lavoratori,
un'altra già va componendosi,
rituale, metronimico celebrarsi,
d'una giornata ch'odora
di fotocopia d'altre mille dileguate,
e mill'altre che ancora busseranno.
Ruscelli di pensieri sfumano e si ricompongono,
d'un'unica aspirazione
che ripetendosi va
come litania di religione,
arrivare alla stazione,
e poi imboccar la propria via,
tra seduzione di dovere
e aspirazioni a una giornata
che possa regalare anche
un angolo di ricordo e di poesia.