Uditemi,
labbra lacerate
che d'ancestrali bestemmie
e imprecazioni scomposte al vivere
sempre ebbero
l'assassino tremore;
più non v'inventerò culla,
di ruscelli falsi e sghignazzanti,
di impietoso nettare,
che a camaleonte s'erse,
di vino e liquori.
Se lei ebbe a dileguarsi un tempo,
nelle nebbie delle mie incertezze,
s'altro non mi lasciò,
che la teoria velenosa,
degli errori che commisi
senz'avvedermene nè ammetterli,
non sia ciò anch'il carcere,
dei miei respiri ancor fecondi,
e d'anelito a risorger madidi.
Attendetemi,
in voi implorante s'incunea,
il rigurgito violentato
d'un concerto di ossa in subbuglio,
ch'alle unghie vuol sottrarsi,
d'un'indiavolata cirrosi;
voi ch'attorno al tavolo sedete,
il mio stesso nome non avete,
ma bevuto lo so avete
dell'inganno della mia stessa storia,
a fruscio le nostre parole s'intreccino
perchè più non ci sorprenda indifesi,
ciò che condividemmo ignari,
quell'avvilente fascismo,
che nome porta di alcoolismo.