Esplodeva di sensualità
il tuo canto che vibrar faceva
violentemente quel filo sottile
Che pendeva dal mio cuore
come dalle tue labbra.
Non erano arpeggi soavi,
quelli in cui le dita giocano
tra le corde come tra i capelli
quando giunge la timidezza.
Non era boato di tamburi,
quello in cui le aste colpiscono
le pelli come grandine su pietra
nei temporali estivi.
Era soltanto il fervido timbro
di un uomo che riverberandosi
pareva la mia essenza imprigionare
in un solido di pareti irrespirabili
e il mio voler comandare
come fan gli incantatori
con gli ofidi ammaestrati.
Quel suono stringeva la mia mente
tra due tenaglie d'acciaio
deviando i miei pensieri verso
quell'erotismo perverso che
giaceva latente in cerca di sfogo
fino a sfociare nella tua sagoma.
La tua chioma bruna si confondeva
nella notte sinuosa, vellutata,
piacevole al tatto assai più
dei morbidi cuscini in piume d'oca
o delle sete preziose orientali
il cui possesso porta alla follia.
La tua pelle olivastra si macchiava
d'una barba scura ed agitata
somigliante al mare in tempesta,
ispirando quella virilità sfacciata
e quell'aria smaliziata che tanto
m'esortavano a fare un giro
sulla tua nave pirata.
Il tuo richiamo penetrò brutalmente
I miei timpani fino a sfondarli
lasciando tracce irreparabili
della tua presenza, quell'alone
di desiderio insoddisfatto
Che geme solitario nella mia anima
di donna ardente di fantasie,
ma misurata nei gesti.