Danao anche tu sotto un uccello
hai posto testa e speranza,
tu che le tue figlie tenevi
con gambe chiuse e gigli in mano!
Come potevamo crescere libere!
Come potevamo scrivere la storia,
se pure affermando noi stesse,
come le Danaidi, abbiamo
piegato il capo e aspettato.
Aspettato di agire nell'ombra,
perpetuo assassinio di volontà
che si lava nel sangue,
magari vischioso d'un mestruo.
Oh Danao! Oh padre!
Ti rivedo in quei versi antichi,
marionetta d'un pensiero comune,
spaventato e assetato d'amore.
M'hai dato la grinta
ma non avevo la spada
e alla fine tra le Danaidi
assomiglio a Ipermestra:
accetto serena un destino segnato.
Il sapere che ignora
lo leggo negli occhi atterriti
delle giovenche che fuggono,
pungolate da un insetto.
Deve essere un destino comune,
tutta colpa dell'uccello di Zeus
che c'illumina a tal punto
che ciechi fa i nostri occhi
e sorde le nostre orecchie.
È tempo di cambiare, Danao,
meglio stare al buio e in silenzio,
è più romantico e costa meno.