in quella scuola, la Leone XIII,
la domenica dopo essere andati a messa,
noi bambini ci riunivamo a dare
quattro calci al pallone
nel cortile adiacente alle aule del plesso.
una grande Madonna in pietra svettava
sopra una scalinata contornata
da fiori e piante d'ogni genere,
era un istituto di suore,
suore antiche e bigotte, suore provenienti
perlopiù dalla Basilicata e dalla Campania;
il loro senso di Dio era morboso, passivo,
fondato più sulla paura delle loro azioni
che su una vera necessità di glorificare l'azione del Padre,
ma non mi influenzarono,
lo capii da me soltanto molto tempo dopo
cosa voleva dire credere in qualcosa di spirituale,
di ultramondano, di rivelatore.
suor Adriana era alta sotto il metro e cinquanta,
i grossi occhiali dalla montatura vecchia
svettavano come due fanali
nella buffa faccia rotonda:
era la mia insegnante elementare.
aveva qualche problema con la matematica
e non fu certamente una grande maestra di vita.
loro parlavano di spirito cristiano,
di carità e di miracoli,
ma il vero fatto miracoloso è stato
svincolarsi dal senso di colpa
che quegli insegnamenti radicali
fecero montare dentro ognuno di noi.
oggi sono una persona adulta,
significativamente delusa dalle cose,
la mia azione verso la felicità
non è stata molto fruttuosa,
ma quel passato di educazione
nel mondo chiuso della Leone XIII
fu certamente l'anticamera di questo disastro.