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Lo spazio riservato alla tristezza
fino a 10 anni fa
il tempo della socializzazione
coincideva con momenti
di brio e di fermento.
il mondo
ai miei occhi
era esclusivamente
una possibilità
per conoscere
incontrando
le sensibilità altrui.
erano i tempi della scuola,
la fase conoscitiva
in cui la realtà
avrebbe potuto
celare qualsiasi promessa;
incantato com'ero
era facile
a quei tempi
credere al futuro,
alla gente,
a me stesso.
il male fluttuava
in orbite parallele
alla mia,
sempre insano ma
cautamente distante,
e sprezzante del pericolo
e lontano dalla verità
io rispondevo
agli stimoli esterni
con rinnovata gioia
e gaudente generosità.
il male lo sorprendevi in
un virgolettato del giornale,
nelle notizie clou
ai notiziari,
in un racconto macabro
di qualche ottuso conoscente
che per quanto folle fosse
non poteva sembrarti
anche reale.
ma esso ti visitava,
tesseva la sua tela famelica
su di te
con chirurgico zelo
e crudele rapidità.
e mentre il ragno
catturava un'altra
mosca di cristallo
tu
potevi (finalmente)conoscere
quello spazio riservato alla tristezza,
rannicchiato com'eri
nella posa di una vecchia t-shirt,
dimentico adesso di libertà e ardore,
contemplando l'oscurità elettrica
di vuote notti banali.
quello era il passo
seguente e necessario
alla guarigione
dalla cecità
di uno sguardo acerbo.
a volte credere
a ciò che gli occhi vedono
può rivelarsi
semplicemente un abbaglio
di verità fasulle.
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