sono rapito dal silenzio eterico
delle 2 del pomeriggio,
qua, in questa parte della città
dove non ci sono scuole
e le grate struggenti delle ringhiere
mi separano dal mare,
un mare piatto, immarcescibile.
la strada finisce nei paesi,
la strada è grigio e caldo
sudore di passi
e nelle sue striature
vi è la gioia baldante
del primo cammino,
l'angoscia e la fatica
di non avercene più.
se pur ti ho stretta
non mi sei appartenuta.
vedo fin nelle Calabrie,
una nebbia assurda
mi dice che il primo inverno
coincide con vecchie tristezze.
giù, in centro pensano al Natale,
io non ci penso,
Dicembre per me è soprattutto
l'attesa delle rughe e delle prime nevi.
non ho rimpianti,
ti ricordo seduta su quella sedia di legno
a mangiucchiarti la pellicina delle mani,
i seni minuscoli come due noci,
la tua intelligenza che irradia energia
per tutta la stanza.
ora c'è questo silenzio bellissimo,
il marciapiede praticamente deserto,
solo qualche carta vola sospinta dal vento
e su una panchina stanno due ragazzi
distratti dal volo dei passeri.
non fanno rumore,
anche loro sono presi
da qualche fugace melanconia,
ma non provano solitudine,
me lo dicono le loro pelli,
voracemente rapite da un abbraccio
bianco come l'odore dell'acqua.
io non penso più a te,
mi lascio solo portare dai piedi
verso il centro della magia.
ho ferite nel cuore,
ma il sangue ora dorme
e i miei pensieri recuperano
sante geometrie infantili.