Oltre la febbre santa che i samaritani chiamano speranza
e che io ho visto scorrere, in frammenti, come latte sulle dita,
il tuo giglio dischiuso, anche sì detto fica
mi rende meno amaro il dolore in questa stanza.
Non è che amandoti così disperatamente
io dia scacco alla disperazione,
ma che con la mente,
vituperi il mio razzo, in quel tuo paradiso di cotone
è un po' come fuggire da quello straniamento dell'età,
ed in sé stessi ritornando a quando il sole piegava le panchine,
squarciare a metà
quel tuo dolce strappo di ciliegio, le carnose labbra tue rubine.
Sguardami vivace mentre sento entrare in gola il tuo sapore,
che il mio infierirti non è affatto la necessità di un grido,
ma nella danza vorticosa, nell'andirivieni di libido,
vi è tutta la ragione delle stelle, il mio morire nel tuo amore.