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Pasquale e il mare

Guardalo quel mare che sognavi
giorno e notte senza sosta
quando eri nelle viscere della terra,
vecchio, caro e tenero Pasquale.

Guarda l'agitarsi delle onde,
respira quell'aria che ti mancava
quando tiravi fuori il carbone
dalle miniere in Belgio.

Sporco, nero in volto e sulle mani
ti tiravano su dall'inferno
chiuso in una gabbia di ferro
insieme a tanti altri come te.

Al ritorno dal lavoro vi aspettavano
baracche di legno o di lamiera,
materassi di paglia e pochi panni
sporchi da indossare il giorno dopo.

Vi chiamavano uomini carbone,
e tanti non sono più tornati,
sepolti dai crolli o asfissiati
dal fumo degli incendi.
Ma tu ora sei lì e respiri,
con la tua sedia di paglia
che porti in macchina da casa,
e guardi il mare e pensi.

Non lo senti il vento,
non la senti la pioggia,
non lo senti il sole sulla pelle,
senti solo il rumore delle onde.

Tu non lo sai, Pasquale,
ma sei poesia che si fa vita,
luce che illumina gli occhi
di chi vive spesso al buio.

Tu non sai che quella sedia
è un'ancora di salvezza
dalle angosce di un mondo
troppo triste e indifferente.

Tu non sai che i tuoi amici
partiti e mai più ritornati
vorrebbero aggrapparsi a quella sedia
per respirare il profumo del mare.

 

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